Voti in pagella sostituiti da emoticons, buonismo nocivo? Intervista ai prof ideatori

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Niente voti in pagella per i bambini della scuola primaria “Gianni Rodari” di Modena. Al posto dei numeri, i genitori degli alunni delle classi 1A e 1 D hanno trovato le emoticons.

O meglio, la valutazione degli apprendimenti acquisiti dai bambini è stata il frutto della sintesi tra l’autovalutazione dei bambini, la cui percezione è stata da loro stessi associata a una faccina, e la valutazione redatta dai docenti che poi si sono confrontati con gli alunni.

E’ una vera e propria nuova filosofia, quella che anima l’agire didattico ed educativo di questa scuola, facente parte dell’IC3 di Modena, che comprende anche la scuola media Mattarella, una delle più innovative d’Italia, come abbiamo riferito nei giorni scorsi in merito a un corso di formazione dei docenti attraverso i Lego. Nello stesso registro elettronico della scuola “Rodari” i voti non sono mai stati resi visibili ai genitori allo scopo di spingere le famiglie a dialogare di più con i figli e con la scuola in merito al loro andamento scolastico.

“Nel percorso che ci ha portato qui – spiega il dirigente della scuola, Daniele Barca, nel servizio con cui Monica Tappa ha rivelato la novità sulla Gazzetta di Modena – sono stati coinvolti più o meno la metà degli insegnanti della primaria. Durante l’incontro di lunedì abbiamo finalmente incontrato i genitori delle due classi coinvolte. Gli insegnanti hanno spiegato le parti pedagogiche, io mi sono soffermato sugli aspetti legali e burocratici, partendo dall’articolo 1 del DL 62/2017 che pone proprio come oggetto della valutazione il processo formativo e le acquisizioni di conoscenze, abilità e competenze con finalità educative e non sommative della valutazione stessa”.

Questa storia fa tornare in mente le parole di Franco Lorenzoni, il maestro del Movimento di Cooperazione Educativa e fondatore del gruppo di sperimentazione educativa Casa Laboratorio Cenci, autore del recente volume “I bambini ci guardano. Una esperienza educativa controvento (Sellerio, 2019): “Ho insegnato nella scuola elementare per 40 anni – spiega Lorenzoni – e continuo a domandarmi come sia concepibile affibbiare a un bambino un voto in geografia, italiano o matematica nei primi anni di scuola. A chi stiamo dando quel voto? Al grado di istruzione della sua famiglia?  Al grado di ascolto che hanno avuto le sue prime parole a casa? Alle esperienze che ha avuto la fortuna di fare? Al destino che ha fatto giungere proprio qui la sua famiglia da campagne analfabete o dalle periferie di qualche megalopoli africana o asiatica? Sono convinto che quei voti non abbiano alcuna giustificazione e non contengano alcun valore pedagogico. Eppure un peso ce l’hanno, eccome! E’ a partire da quei primi voti, attesi da casa con sempre maggiore trepidazione, che la bambina o bambino comincerà a scivolare e collocarsi, come la pallina di una roulette, dentro alla casella data da una classifica arbitraria di presunti meriti, che aumenteranno o avviliranno grandemente la sua fiducia in se stesso”.

Il progetto modenese delle Rodari si chiama “Oltre le discipline”. Gli sperimentatori e coideatori dell’iniziativa chetanto sta facendo discutere sono due insegnanti della scuola primaria Rodari: Eva Pigliapoco e Ivan Sciapeconi. Oltre che maestri, i due sono autori per la casa editrice Erickson. Scrivono libri di testo e sussidi  per la didattica. Sono autori di software e giochi didattici, esperti in didattica inclusiva, valutazione, scrittura creativa, didattica per competenze e universal design for learning. Ivan scrive pure libri di narrativa per ragazzi. Amano la scuola e i loro alunni e non lo nascondono l’entusiasmo con cui si rapportano con i bambini, che ricambiano con riconoscenza e affetto. Li abbiamo intervistati a Modena.

Maestri Eva Pigliapoco e Ivan Sciapeconi, come nasce questa idea?

“Nasce da un confronto inizialmente avvenuto con il nostro dirigente e la vicepreside. Abbiamo presentato un disagio che proviamo da tempo sul tema della valutazione, tema che ci è particolarmente caro e sul quale abbiamo prodotto pubblicazioni e interventi. Abbiamo riscontrato una certa sensibilità e siamo partiti con la creazione di un gruppo di lavoro”.

Avete incontrato resistenze?

“Praticamente no. Il preside è stato subito entusiasta e ha trovato le soluzioni normative e l’organizzazione più opportuna per far partire intanto da subito le nostre classi prime con una sperimentazione”.

Che cosa non va bene nella valutazione basata sul voto o magari sul giudizio?

“Qui si apre un mondo. Diciamo che la valutazione in decimi ha la presunzione di fornire una ‘fotografia’ oggettiva del livello di apprendimento degli alunni. Questa pretesa confligge con lo spirito della normativa più recente. Il Decreto legge 62 del 2017 dice chiaramente che: ‘la valutazione ha per oggetto il processo formativo (…), ha finalità formativa ed educativa e concorre al miglioramento degli apprendimenti e al successo formativo degli stessi (…) e promuove la autovalutazione di ciascuno in relazione alle acquisizioni di conoscenze, abilità e competenze’.

Come questo possa avvenire con la sola valutazione in decimi è un mistero. Infatti, a dirla tutta, il problema non è il voto in sé, ma come esso viene dato, comunicato e usato. Se il voto non è un giudizio calato dall’alto, ma il risultato di un processo anche autovalutativo, allora può avere una sua funzione nel processo formativo”.

Si tratta dunque di stimolare l’autovalutazione. Come l’hanno presa i bambini?

“Nel modo più naturale possibile. In realtà, abbiamo trasferito nella valutazione un modo di fare che caratterizza tutta la nostra didattica. Durante i colloqui individuali, i nostri interlocutori erano i bambini e le bambine e i genitori erano presenti come spettatori, con diritto di parola. Questa modalità ha messo al centro della riflessione i veri destinatari della valutazione dando loro il giusto senso di responsabilità. In quella sede abbiamo fornito e ricevuto feedback importantissimi per pianificare gli interventi del secondo quadrimestre”.

E i genitori?

“Sono stati preparati prima nelle assemblee di classe da noi insegnanti, poi in un incontro con il preside. Diciamo che sono arrivati tutti molto convinti e collaborativi. È stato un passaggio molto significativo: abbiamo sentito il senso della reale condivisione scuola-famiglia”.

In che cosa consiste esattamente questo tipo di pagella?

“Sapevamo di rivolgerci a bambini di sei anni e pochi mesi, quindi abbiamo deciso di adottare un sistema adeguato alla loro età. Quindi, nessuna domanda espressamente disciplinare, ma quesiti su abilità, competenze, attitudini, preferenze… La caratterizzazione interdisciplinare, a nostro avviso, dovrebbe far parte della valutazione – oltre che della normale didattica – anche per le classi successive, ma in prima siamo stati avvantaggiati. È per questo che il progetto è stato chiamato Oltre le discipline”.

Le reazioni sono state positive, ma non sono mancate le contestazioni in rete. Tutto previsto?

“No. La scelta di adottare delle faccine per graduare i diversi livelli di competenza/preferenza è stata vista come un cedimento della scuola nei confronti delle emoticon e dei social. La cosa è interessante perché una modalità espressiva molto gradita dai bambini – sono anni che i docenti utilizzano le faccine sui quaderni – ha finito per condizionare e falsare tutta la discussione. Un popolo di adulti – e spesso professionisti della formazione – perennemente connesso, a Facebook ha perso di vista la riflessione sulla valutazione perché si è fissata a guardare degli smile. C’è di che preoccuparsi”.

È una sperimentazione. Proseguirà secondo le intenzioni anche alle medie? È così?

“Questo non lo sappiamo. Come sperimentatori, non possiamo prevedere gli esiti della ricerca che stiamo portando avanti. Per ora sappiamo che già dal secondo quadrimestre qualche altra classe della scuola vorrebbe aderire. Vedremo strada facendo. Ovviamente, la nostra aspirazione è avviare una riflessione e possibilmente un contagio anche oltre la nostra scuola”.

Che cosa si può rispondere a chi sostiene che in questo modo i bambini si disorientano e che c’è troppo buonismo nocivo?

“Si potrebbe partire da molti punti, ma quello più recente è fornito dalle neuroscienze. Si apprende nel divertimento e nella serenità. Al limite non è una novità sconvolgente, ma abbiamo una base scientifica per dire che evitare atteggiamenti ‘cattivisti’ produce apprendimenti migliori.

I bambini non si disorientano di fronte alla coerenza: danno per scontato che gli insegnanti che hanno favorito un atteggiamento metacognitivo durante le attività didattiche mantengono la stessa personalità anche durante la valutazione. Semmai, sarebbe molto disorientante il caso contrario.

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