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Vogliamo una scuola che rallenti, per cortesia

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Altro è la didattica, altro gli interessi economici e politici dai quali scaturiscono le varie mode pedagogiche – il più delle volte passeggere, spesso controproducenti. Queste brevi riflessioni riguardano la didattica.

Quando da piccolo frequentavo il catechismo, il mio parroco raccontò una singolare gara tra san Francesco e fra Masseo. I due avrebbero trascorso la notte a pregare e avrebbero indicato ogni Padre Nostro con un sassolino. Al mattino dopo fra Masseo mostrò orgoglioso al suo amico le mani colme di sassolini e gli domandò come fosse andata. San Francesco si dichiarò sconfitto, non aveva nulla da mostrare: si era fermato tutta la notte a riflettere sulla prima parola della preghiera, Padre.

Ho sempre apprezzato gli aneddoti, perché stimolano la riflessione e la ricerca di un senso altro, più profondo, delle cose.

Ebbene, mutatis mutandis, la scuola di oggi – mi pare – corre e si affanna, nel timore di restare indietro rispetto a una società che corre e si affanna. Tutto incita alla velocità e alla competizione e queste, a lungo andare, si traducono inevitabilmente in perdita della serenità. Chi sostiene il contrario lo fa molto probabilmente per una qualche convenienza.

E se la soluzione non fosse quella di correre ma, al contrario, di rallentare? Ci sarebbe nulla di male se la scuola si dichiarasse sconfitta rispetto ai ritmi di intrattenimento di cinema, pubblicità e videogiochi (del resto, riuscirà mai a mettersi al passo?) e ricercasse invece volontariamente il “poco fatto bene”, con calma, serenità e riflessione? Per quanto possa sembrare un’utopia, rallentare sarebbe del tutto fattibile, se non intervenissero gli interessi economico-politici menzionati all’inizio di questo articolo.
Ai miei studenti do un suggerimento provocatorio: leggere poco. E per leggere poco, mi affretto a precisare, intendo leggere con calma, riflettendo e soprattutto gustando ciò che si legge. Non è una gara in cui vince chi legge più libri. Che senso ha leggere tanto se alla fine non si interiorizza il significato di ciò che si legge?

Un altro suggerimento per i ragazzi è leggere con due domande fisse in mente: ciò che sto leggendo può rendermi migliore? In caso affermativo, come? All’università ho conosciuto insegnanti di discipline umanistiche che erano veri e propri pozzi di scienza, ma dal punto di vista umano lasciavano quanto mai a desiderare: sgarbati, poco disposti al dialogo, a volte poco rispettosi degli studenti. Hanno letto tanto senza cogliere il senso di ciò che hanno letto. E perché non hanno colto l’humanitas, che è la cifra concettuale delle letterature classiche? Perché sono andati troppo in fretta e non si sono fermati a riflettere.

L’intelligenza, al di là di ogni definizione data nei testi di psicologia, è data principalmente da due fattori: 1) la quantità di dati conservati nella memoria; 2) la capacità di mettere in relazione questi dati. Ecco, la scuola di oggi si concentra sul primo fattore, proponendo migliaia di contenuti, milioni di strumenti, miriadi di attività. Risultato: un’iperstimolazione e un’ipernutrizione paragonabili a quelle cui ci si sottopone quotidianamente a livello alimentare. Per agire sul secondo elemento, la messa in relazione dei dati, occorre pensare. E questo si può fare solo in un modo: rallentando per poi, di tanto in tanto, fermarsi.

Anche se animata dalle migliori intenzioni – e nella quotidianità vedo che è davvero così, i colleghi con cui negli anni ho avuto e ho tuttora il privilegio di lavorare sono molto coscienziosi e ligi – una scuola che corre è tuttavia una scuola che non pensa e non invita a pensare.

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