Valutazione e bocciature, Piarulli: no a selettività, scuola è un luogo protetto

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Tempo di meritate vacanze per i maturati 2016 e per il loro docenti, ma se per i primi scrutini, esami scritti e orali finiscono in fretta nel dimenticatoio – una nuova stagione della vita sta per aprirsi e le energie sono tutte, giustamente, concentrate su quella – per i secondi i fantasmi di un giudizio troppo frettoloso o non pienamente obiettivo possono gettare un'ombra cupa sulla propria autostima.

Tempo di meritate vacanze per i maturati 2016 e per il loro docenti, ma se per i primi scrutini, esami scritti e orali finiscono in fretta nel dimenticatoio – una nuova stagione della vita sta per aprirsi e le energie sono tutte, giustamente, concentrate su quella – per i secondi i fantasmi di un giudizio troppo frettoloso o non pienamente obiettivo possono gettare un'ombra cupa sulla propria autostima.

D'altra parte la valutazione, l'atto formale di dire 'bocciato' o 'promosso' assume un significato sempre più centrale in una scuola che è ormai come "l'azienda che deve adeguarsi a criteri di efficientismo dettati da una società in corsa, competitiva, tecnologica, globale" ha detto Luisa Piarulli, docente e presidente dell'Associazione Nazionale Pedagogisti Italiani, mentre occorrerebbe un rovesciamento grazie a cui anche la bocciatura potesse "essere propinata come una possibilità, un tempo in più che non intacca la dignità e la stima di sé nello studente".

Dottoressa Piarulli, l’anno scolastico è terminato, ma per un fortunatamente esiguo numero di studenti non si è concluso con la promozione. Lei che sentimenti prova in questa fase dell’anno, promuovere e bocciare sono sempre gli ultimi atti di una valutazione oggettiva?

"Un periodo intenso, materialmente ed emotivamente: ergersi a giudici del lavoro svolto nell'arco dell'anno scolastico sia dagli alunni sia – per riflesso – dai docenti, è faticoso soprattutto se si è consapevoli di segnare il percorso di un alunno/a per sempre.

È tempo di esami di maturità. I commissari esterni sono deputati a valutare il rendimento degli uni e degli altri e sappiamo anche che gli alunni, nella condizione di dover salvaguardare a ogni costo “la pelle”, sono pronti a dichiarare l'inefficienza dei propri docenti.

Ad un'osservazione più attenta si nota che ogni alunno/a riflette lo stile dell'insegnamento ricevuto; c'è chi espone con dovizia di particolari e c'è chi delle conoscenze acquisite sa trarre lo spunto per argomentare a largo raggio, operare collegamenti e azzardare ipotesi interpretative personali. Ma non tutti i commissari esterni apprezzano ora l'uno ora l'altro modo di “rispondere” e chi ne fa le spese è il povero studente.

Infine la lettura dei tabelloni esposti rivela situazioni di forte incongruenza tra classe e classe, tra scuola e scuola, nonostante criteri legislativi comuni per bocciare e/o promuovere.

Cosicchè, affermo ancora una volta che il processo valutativo, checchè si dica, non può essere oggettivo.

Quando si esamina lo studente straniero che studia ma non sa e non può esprimersi in lingua italiana né scritta, né orale in modo sufficientemente comprensibile, quando lo studente pluriripetente si “gioca” ancora una possibilità a fronte di una storia personale complessa e disagiata, è naturale che intervengano le nostre emozioni.

Mi trovo a ribadire che il tema della valutazione continua a rappresentare una questione spinosa e controversa. Mi dispiace, ma sono convinta che la bocciatura oggi rappresenti un sistema perverso e inefficace dal punto di vista pedagogico.

La penna rossa va incriminata! La pressione della penna sul foglio bianco è indice di emozioni negative che si riversano su quel foglio; la comunicazione agli alunni degli esiti di un compito in classe dove emergono 10/15 insufficienze su venti dovrebbe piuttosto rappresentare un campanello d'allarme per il docente!

Qualcuno ha scritto che il sistema migliore e più semplice di valutazione del docente – se proprio dobbiamo parlarne – è rappresentato dai “tabelloni” esposti che vanno letti in orizzontale dagli alunni e in verticale dai docenti.

Ma qualcuno potrebbe obiettare: il bravo insegnante è quello che non rimanda, che non boccia? No, assolutamente discutibile anche questo.

I grandi maestri della pedagogia hanno offerto risposte, strumenti e studi a riguardo. Espressioni oggi più che abusate come motivazione, compartecipazione, ascolto, relazione, comunicazione, progettualità… in realtà occupano uno spazio di superficie perché entrare dentro i significati è un'operazione che richiede attenzione, delicatezza e consolidata formazione.

Il pedagogista Lorenzo Milani amava dire “Agli svogliati date uno scopo!” e la sua opera “Lettera a una professoressa” calata nel nostro attuale contesto socio-culturale è più che mai attuale. I dati OCSE del 9 giugno 2016 evidenziano che la bocciatura riguarda per lo più studenti svantaggiati economicamente e culturalmente e si sottolinea che va posta particolare attenzione agli studenti che 'presentano particolari fragilità perché l'andamento scolastico non dipende solo dalla preparazione ma anche dal contesto sociale ed economico da cui provengono'. Ricordo ancora l'espressione del pedagogista Mantegazza per definire la bocciatura, ovvero 'un massacro didattico'".

Ma il docente sempre pronto a incoraggiare e a motivare i suoi studenti non dà, in fondo, una percezione falsata di ciò che succederà loro poi dopo, nel mondo adulto? Per una persona in formazione non può essere fuorviante credere che tutto il mondo lì fuori non faccia che credere in lui?

"Sono convinta che la scuola abbia il compito di preparare i giovani all'entrata nel mondo adulto, in quanto essa ha carattere formativo. Ciò significa che proprio nella scuola il giovane deve incontrare educatori pronti a credere in lui, capaci di educare, ovvero di tirare fuori il talento di ciascuno, competenti pedagogicamente allo scopo di fornire i modi per acquisire le “competenze per la vita” che consentiranno di entrare nel mondo adulto con un buon “equipaggiamento”.

Tutto ciò non significa fare i “buonisti”, ma agire nel rispetto e nella tutela della dignità di ciascuno, nella convinzione di aver posto in atto tutto, ma proprio tutto lo scibile per garantire al giovane il diritto costituzionale all'istruzione e alla formazione, compito precipuo della scuola. Il voto è un valore espresso sul compito, che dà la misura di quanto il giovane ha appreso e su che cosa ha ancora da lavorare insieme al docente. Mai frustrazione, ma autovalutazione responsabile e dignitosa. Mai un'alunna dovrà dire, come mi è stato riferito: per certi professori siamo un numero”.

Educazione e istruzione per lei sono la stessa cosa?

"E' necessario ripartire dal significato pedagogico profondo del termine educare, ovvero educĕre, trar fuori dal soggetto gli strumenti per vivere al meglio la propria vita. Istruire rappresenta l'azione dell'adulto che offre gli attrezzi, nel nostro caso la cultura. È impensabile trasmettere saperi senza quella passione che sola ne garantisce l'efficacia (E. Morin) e quindi senza emozionarci noi stessi. Tuttavia sembra essere una convinzione diffusa che alla scuola spetti istruire e non educare, soprattutto nei licei.

Occorrono autenticità e reciprocità, competenze pedagogiche assolute, attraverso le quali il processo di apprendimento diventa processo di co-costruzione, in un'ottica maieutica. Pensare di trasmettere il sapere senza passare dalla relazione con chi lo incarna è un'illusione, perchè non esiste una didattica se non entro una relazione (Recalcati)".

Io le propongo un altro dilemma che si interseca in qualche modo col tema della bocciatura: scuola selettiva o formativa? Chi si occupa di politiche educative considera tramontata da un pezzo la funzione selettiva della scuola, poiché se ne accentua maggiormente quella orientativa, ma l’abbassamento così netto del livello culturale medio dei nostri diplomati forse dovrebbe spingerci a riconsiderare la questione. Luoghi come il Giappone o la Corea del Sud mostrano che anche i sistemi di istruzione di massa fortemente selettivi possono trasmettere competenze elevate su larga scala, abbracciando certo paradigmi pedagogici per noi impraticabili. Lei che ne pensa?

"Una scuola è quel luogo protetto, ideale dove a tutti si dà l'opportunità di crescere, di esprimersi secondo personali stili e ritmi di apprendimento, pertanto esclude la selettività. Ritengo che oggi la nostra scuola viva una pericolosa spersonalizzazione: per un verso è l'azienda che deve adeguarsi a criteri di efficientismo dettati da una società in corsa, competitiva, tecnologica, globale. Chi rallenta il passo resta inesorabilmente indietro e forse “ultimo”. Chi ha doti di osservazione, di riflessione, di argomentazione viene sorpassato, a fronte di un “principio di prestazione” che rende l'apprendimento una gara fortemente competitiva che non lascia tempo e spazio alla riflessione critica.

Dall'altra parte la scuola italiana ha un potente retroterra culturale pedagogico e respira ancora le parole di Maria Montessori, di Lorenzo Milani e di altri illustri ma che non trovano terreno fertile.

Cosicché a volte abbiamo atteggiamenti di retorica comprensione e di paternalismo misto a pietà e iperprotezione, soprattutto negli istituti professionali.

Altre volte l'aumento scriteriato di diagnosi di DSA, ADHD, BES di vario genere induce ad abbassare notevolmente gli obiettivi didattici, penalizzando spesso gli studenti “etichettati” o le cosiddette “eccellenze”, in assenza di metodologie pedagogiche adeguate capaci di valorizzare l'Alterità e la Diversità.

La bocciatura, qualora si ritenesse opportuno ricorrervi, deve rappresentare una pratica da utilizzare con molta parsimonia ed essere propinata come una possibilità, un tempo in più che non intacca la dignità e la stima di sé nello studente.

Il fenomeno preoccupante della dispersione scolastica deve riguardare profondamente chiunque operi in contesti educativi e scolastici. Nei corsi delle scuole serali e nelle scuole private che propinano due/tre anni in uno (una vera lobby!) ritroviamo coloro i quali hanno vissuto con umiliazione l'insuccesso, ai quali la scuola non ha saputo dare l'opportunità di avere e fare cultura. È il fallimento della scuola formativa, dove l'espressione “formativa” abbraccia necessariamente la triade: sapere, saper essere, saper fare.

Il sistema scolastico giapponese è noto per le sue caratteristiche di intensa competitività e di forte rigore e rispecchia un modello socio-culturale che gli deriva dalla propria storia politica ed economica. Il sistema scolastico italiano, per quanto da migliorare, incarna uno stile di pensiero e di una storia scientifico-pedagogica autorevole che fanno sperare in un nuovo umanesimo dell'Infanzia e dell'Adolescenza.

Nella Corea del Sud, secondo i dati del Ministero dell'istruzione, 146 studenti si sono tolti la vita, il tasso di suicidi più alto dell'OCSE. Quindi mi torna in mente “l'imbuto di Norimberga”: i giovani non sono teste da riempire, ma Persone delle quali abbiamo la responsabilità etica e civile.

Dal sistema scolastico di quei Paesi esporterei il riconoscimento dell'autorevolezza della professione docente, a patto che questi possa garantire una buona formazione pedagogica oltre che disciplinare".

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