Valorizzazione docenti e coinvolgimento nuove professionalità educative: così si supera crisi scuola italiana. Lettera
I dati ISTAT e le rilevazioni OCSE-PISA, da cui emerge una diagnosi critica sullo stato attuale del sistema scolastico italiano e l’immagine di una scuola in affanno, di una scuola in crisi che non riesce a far fronte e a rispondere alle sfide della complessità del reale, iniziano a preoccupare, nonché a creare un clima di incertezza e di sfiducia.
Per questo motivo, l’operatività degli educatori è costantemente messa in discussione e minacciata da una sorta di anti metodologia pedagogica che potrebbe ostacolare l’ammodernamento e lo sviluppo del sistema scolastico, destrutturare la funzione formativa della scuola e relegare in una situazione di marginalità la figura e il ruolo dell’ insegnante, declassato a mero burocrate dell’educazione.
Decenni di inefficaci azioni di politica scolastica ed eccessive e inopportune ingerenze in ambito educativo, spesso negative, continuano a condizionare negativamente l’intero sistema.
La ricca, gloriosa, innovativa e importantissima tradizione educativa del nostro Paese è contagiata da una destabilizzante stanchezza e demotivazione, non appare più all’altezza delle attese, non risponde ad una chiara strategia di rafforzamento dei saperi e incontra serie difficoltà nella gestione e soluzione di problematiche complesse. Tuttavia, la difficile situazione e i dati negativi non devono creare pericolosi allarmismi o invocare soluzioni drastiche; ogni criticità della nostra scuola va analizzata tenendo conto non solo delle numerose variabili dipendenti e indipendenti che in statistica giocano un ruolo fondamentale, ma anche delle diverse e importanti proposte di riforma di questi ultimi anni che, a vari livelli, hanno trovato non pochi ostacoli e opposizioni.
In pratica, i numeri e i dati andrebbero analizzati nella loro complessità, contestualizzati, rapportati all’universo del campione esaminato e alla capacità di progettazione, valorizzazione e gestione compartecipata di tutto il
potenziale formativo e, soprattutto, prendendo in considerazione l’eccessiva frammentazione dell’assetto organizzativo e didattico delle nostre scuole.
Se si fa il confronto con la Finlandia e la Corea, Paesi ritenuti pedagogicamente più evoluti, e con la Romania, la Bulgaria e l’Ungheria, Paesi dove sembra si riesca meglio a compensare le diseguaglianze culturali tra ricchi e poveri, non si possono ignorare importanti parametri valutativi che fanno riferimento alla storia culturale di quel Paese, all’ economia, alla popolazione scolastica e a tanti altri importanti fattori che influenzano la scuola nel suo complesso e la vita professionale dei docenti.
Giusto per fare un esempio, in Finlandia, un Paese con appena sei milioni di abitanti, con un corpo docente economicamente motivato e scuole, da quella dell’obbligo all’università, molto attrezzate, accoglienti, moderne,
interamente gestite e finanziate dallo Stato, quindi, gratuite, con il più alto tasso di acquisto di libri quotidiani pro capite, con una spesa per l’istruzione pari al 6,2 % del PIL e una ricchezza diffusa che garantisce un indice ISU tra i più alti al mondo, non è difficile ottenere risultati significativi dal punto di vista culturale.
Ancora. Un paese come la Bulgaria, apparentemente poco sviluppato e con una popolazione di appena sette milioni di abitanti, a causa della delocalizzazione delle imprese, ha a disposizione importanti e preziose risorse economiche sottratte ai paesi europei, soprattutto, all’Italia, che sta utilizzando per modernizzare il Paese e l’intero apparato formativo, e la lista potrebbe continuare.
Pertanto, prospettare un’immagine negativa del nostro sistema scolastico e della nostra cultura pedagogica che ha fatto scuola nel mondo e attribuire interamente all’organizzazione scolastica e alle varie metodologie educative, i mali e le inefficienze di una società iniqua e politicamente poco incisiva ed efficace dal punto di vista della promozione sociale e della crescita culturale, è ingeneroso e, soprattutto, scorretto.
Nel nostro paese stress, incompetenza, dispersione e insuccesso scolastico, sono, soprattutto, riconducibili ad una scarsa differenziazione e valorizzazione dei diversi ruoli sociali, a connotazioni educative discriminanti, alla mancata promozione e realizzazione di moderne tecnologie didattiche in grado di promuovere lo sviluppo della personalità di tutti e di ciascuno attraverso l’operatività e l’agire formativo. Inoltre, per dovere di
completezza, non va sottaciuto lo sforzo, lo spirito di sacrificio e l’abnegazione di tanti docenti che, tra mille difficoltà, continuano ad educare, a fornire strumenti culturali di base e a formare eccellenze che, puntualmente, la politica non riesce a trattenere e a valorizzare.
Gli inadeguati livelli di competenze e conoscenze di base, non dipendono sicuramente dai compiti a casa che, comunque, rappresentano un insostituibile allenamento della mente, ma, piuttosto, sono da ricercare all’interno delle numerose situazioni di svantaggio culturale e di povertà educativa dei minori italiani, fenomeno che interessa in dimensioni crescenti aree estese del nostro Paese, evidenziate nel Piano per la formazione dei docenti 2016-2019, e mai affrontate in modo efficace. Ragion per cui, i vantaggi e gli svantaggi sociali, spesso, si traducono progressivamente in vantaggi e svantaggi scolastici.
Il vero motore del successo formativo degli studenti di alcuni Paesi è, dunque, legato non solo ai metodi educativi definiti più evoluti, ma, soprattutto, ad un ambiente di apprendimento accogliente, dotato di moderni sussidi didattici, ad un positivo rapporto di interazione con la realtà socio-familiare che favorisce l’espressione, arricchisce il pensiero, accresce il senso dell’esistere e dell’operare e alla non secondaria condizione economico-culturale delle famiglie che accentua e stimola la motivazione ad apprendere.
Purtroppo, per motivazioni diverse e non sempre spiegabili e per alcuni strani meccanismi, i complessi e plurimi problemi, in contesti educativi sempre più eterogenei e mutevoli, legati all’ interesse, alla motivazione, alle disuguaglianze sociali, al disagio adolescenziale in ambito scolastico, alla insufficiente interazione, comunicazione e
collaborazione tra genitori e insegnanti ecc., ruotano, in maniera quasi esclusiva, attorno alla relazione alunno-insegnante all’interno della quale, la comprensione, l’empatia, la dedizione, pur svolgendo un ruolo positivo fondamentale in ordine al successo e alla piena integrazione scolastica, non possono in alcun modo compensare o arginare i sempre più frequenti e complessi fenomeni di disagio esistenziale, emarginazione, discriminazione e abbandono sociale.
Per questo motivo l’attuale ricerca psico-pedagogica è orientata al coinvolgimento di professionalità plurime, ad un approccio formativo pluridisciplinare, il solo in grado di interagire positivamente con una grande diversità di modi di apprendere, con molteplici contesti differenziati e ripristinare una corretta sintonia tra famiglia, scuola e società.
Si tratta in definitiva di riconoscere alla scuola una vasta identità culturale, che implica diversi itinerari di crescita che vanno opportunamente tenuti presenti in ambito educativo.
I problemi dello stress vero o presunto, dell’insuccesso e della mortalità scolastica, per essere concretamente risolti, non hanno bisogno di riforme epocali, di alchimie educative, né tanto meno di demagogiche e drastiche soluzioni come l’eliminazione dei compiti a casa che svolgono un ruolo determinante, garantiscono un importante esercizio mentale e costituiscono una insostituibile funzione pedagogica.
La scuola italiana, per risollevarsi dalla crisi che sta attraversando, deve puntare alla valorizzazione della funzione docente e al coinvolgimento di nuove professionalità educative; deve porre particolare attenzione allo sviluppo e alla crescita del capitale culturale sociale e umano che rappresenta un importante fattore di promozione, crescita e sviluppo del nostro Paese.
Fernando Mazzeo (Pedagogista-Docente Scuola Secondaria di Primo Grado)