Se uno studente si arrampica sul tetto della scuola, cade e muore di chi la responsabilità?

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Il Tribunale di Bologna Sez. III, con la Sentenza del 06-09-2017 affronta un caso molto delicato. Un ragazzo di 12 anni era precipitato da un lucernaio in plexiglass collocato sul tetto della Scuola Media di proprietà di un Comune nella provincia di Bologna, da egli frequentata, lastrico sul quale si era arrampicato, senza alcuna difficoltà stante la struttura a gradoni dell’edificio, in orario notturno ed in compagnia di un coetaneo, allo scopo di osservare il panorama; a seguito della caduta, avvenuta da un’altezza di circa 11 metri, il ragazzo aveva battuto la testa contro il bracciolo di un divano; a nulla era valso l’immediato ricovero ospedaliero presso l’Ospedale Maggiore di Bologna, poiché il giovane perdeva la vita.

Di chi la responsabilità per tale tragico fatto?

E’ emerso che in quel comune vi era una sorta di abitudine, di tradizione risalente alla fine degli anni 70 quando ancora la copertura dell’edificio scolastico era in plexiglass: al tempo, gli studenti salivano sul tetto della scuola, praticando dei fori nel plexiglass, al fine di osservare le ragazze sotto la doccia. In quel periodo, si verificò un fatto analogo a quello per cui è causa, che vide un giovane cadere da un lucernario situato sopra gli spogliatoi femminili della palestra della Scuola Francia, nell’edificio adiacente. Le prove acquisite, tuttavia, non consentono di affermare che, negli anni a seguire, la prassi sia proseguita, senza soluzione di continuità, fino alla morte del ragazzo. Quel che è provato è, invece, che, nel periodo precedente al fatto i ragazzi avessero ripreso a salire sui tetti della scuola con una obiettiva assiduità, giacché molteplici sono le dichiarazioni testimoniali che riferiscono di siffatte arrampicate.

Ne consegue in via generale che entrambi i convenuti erano tenuti a custodire l’edificio: l’uno (il M.I.U.R.), in qualità di utilizzatore di fatto dell’immobile, adibito ad istituto scolastico, l’altro (il Comune di Zola Predosa), quale proprietario obbligato alla realizzazione delle opere di manutenzione straordinaria sul bene, opere tra cui senza dubbio rientravano anche quelle funzionali alla conservazione e alla messa in sicurezza dello stabile.

Tra il Comune e l’edificio de quo, pertanto, vi era una relazione di fatto che consentiva al primo il potere di controllare il fabbricato, di eliminare le situazioni che vi insorgevano e di escludere i terzi dal contatto con la cosa (cfr. Cass, Sez. III, 01/04/2010, n. 8005): sussisteva, in altri termini, il rapporto di custodia presupposto dall’art. 2051 c.c.

I Giudici però rilevano anche che come da costante interpretazione della giurisprudenza, “la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia prevista dall’art. 2051 cod. civ. prescinde dall’accertamento del carattere colposo dell’attività o del comportamento del custode e ha natura oggettiva, necessitando, per la sua configurabilità, del mero rapporto eziologico tra cosa ed evento; tale responsabilità prescinde, altresì, dall’accertamento della pericolosità della cosa stessa e sussiste in relazione a tutti i danni da essa cagionati, essendo esclusa solo dal caso fortuito, che può essere rappresentato – con effetto liberatorio totale o parziale – anche dal fatto del danneggiato, avente un’efficacia causale tale da interrompere del tutto il nesso eziologico tra la cosa e l’evento dannoso o da affiancarsi come ulteriore contributo utile nella produzione del danno” (cfr., per tutte, Cass., Sez. III, 07/04/2010, n. 8229). La Suprema Corte ha poi puntualizzato che, nella valutazione dell’apporto causale fornito dalla condotta del danneggiato alla produzione dell’evento, il giudice deve tenere conto della natura della cosa e delle modalità che in concreto e normalmente ne caratterizzano la fruizione (cfr. Cass, Sez. III, 24/02/2011, n. 4476).

A fronte di quanto emerso nel processo, è evidente che la caduta del ragazzo dal lucernario, conseguente alla sua salita sul tetto della scuola media, era evento certamente prevedibile da parte del Comune convenuto; sebbene fosse consapevole della pericolosa pratica posta in essere in più occasioni dai giovani del posto, l’Ente, anziché doverosamente privilegiare il prioritario aspetto della sicurezza, ha tuttavia deliberatamente preferito favorire la socializzazione tra i ragazzi, così omettendo di adottare quelle elementari misure di sicurezza (ad esempio, la chiusura dell’area in orario notturno ed in assenza di custodi, l’apposizione di sistemi antiscavalcamento allo scopo di impedire l’arrampicata ovvero di reti anticaduta lungo i terrazzi) che avrebbero potuto scongiurare il drammatico evento occorso al ragazzo.

Resta ininfluente, pertanto, la circostanza che, né al Corpo della Polizia Municipale di riferimento né al Comune considerato, siano pervenute segnalazioni ufficiali relativamente alla salita dei ragazzi sul tetto della scuola .

La giurisprudenza di legittimità, enunciando un principio a cui si ritiene di dover dare continuità, ha rilevato che “la responsabilità del custode ai sensi dell’art. 2051 c.c. non può escludersi per il solo fatto che la vittima abbia usato la cosa fonte di danno volontariamente ed in modo abnorme (ferma restando, in tal caso, la valutazione della sua condotta come concausa del danno, ai sensi dell’art. 1227, comma primo, cod. civ.), quando tale uso, benché non conforme a quello ordinario, è reso possibile dalla facile accessibilità alla cosa medesima” (cfr. Cass., Sez. III, 08/02/2012, n. 1769).

E conseguentemente a ciò il Comune veniva riconosciuto responsabile della morte del ragazzo quale custode della scuola media.

Diversamente da quanto sopra illustrato con riguardo alla posizione del Comune convenuto, dall’istruttoria espletata non sono emersi elementi di fatto tali da suffragare la tesi di parte attrice, secondo la quale il personale didattico e la Dirigenza scolastica, prima della morte del ragazzo, fossero consapevoli dell’usanza, da parte dei ragazzi, di salire sul lastrico della scuola media in orario notturno.

Come evidenziato in precedenza in esito all’escussione testimoniale , gli avventori dello spazio di aggregazione giovanile, ove si è consumata la tragedia, da tempo si arrampicavano abitualmente sui tetti dell’istituto scolastico; ciò avveniva, con una certa frequenza, sia di giorno che di notte, come confermato da numerosi ex studenti dell’epoca, i quali vi hanno assistito personalmente o ai quali episodi simili sono stati raccontati dai compagni di scuola .

Non v’è – in definitiva – prova che né il corpo docenti né il personale A.T.A. fossero a conoscenza dell’abituale ascesa alla sommità del fabbricato da parte dei ragazzi, al punto da imporre loro di comunicare al Dirigente della scuola media la diffusione, tra gli alunni, di questa preoccupante pratica; così come, del pari, in sede istruttoria non sono stati raccolti elementi tali da comprovare che la Dirigenza scolastica sia stata informata, neppure in modo informale, della prassi de qua e che, pertanto, ancorché posta in condizione di prevedere l’evento dannoso, sia rimasta inerte, non adottando le necessarie misure dissuasive atte ad impedire che detta pratica proseguisse.

In considerazione delle suddette condizioni di tempo e di luogo in cui si è verificata la caduta del ragazzo dal lucernario, il fatto colposo della vittima – in quanto imprevisto ed imprevedibile per l’Istituzione scolastica – ha costituito, nella eziologia del sinistro, un fattore esterno ed estraneo alla sfera di controllo del custode.

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