Un docente e uno studente si scontrano nel corridoio della scuola. Chi paga i danni in caso di lesioni?

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Una lavoratrice, insegnante in servizio presso una scuola di Roma mentre si stava recando nell’aula della classe per riprendere le lezioni dopo un’assemblea sindacale tenutasi in precedenza, veniva trascinata a terra investita da un alunno che in quel momento si trovava fuori dall’aula intento a rincorrere un cane evidentemente sfuggito al controllo dell’ingresso.

La caduta rovinosa le provocava lesioni al setto nasale e la frattura dei denti e non solo. In primo grado il Tribunale escludeva la sussistenza di una responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. , dovendosi ascrivere l’infortunio esclusivamente alla condotta tenuta dall’alunno e non già al rischio ricollegato alla natura dell’attività lavorativa della dipendente.

La docente si rivolgeva alla Corte di Appello, impugnando la sentenza del Tribunale del primo grado. La ricorrente tra le varie cose eccepiva che il giudice adito aveva ritenuto di escludere qualsiasi possibilità di intervento da parte del personale Ata addetto al secondo piano, in ragione dell’improvviso e incontrollabile dell’alunno, che avrebbe di fatto, poteva desumersi dal contenuto delle relazioni scritte a firma di altro docente.

Al contrario, l’assenza di una compiuta istruttoria e la parziarietà delle dichiarazioni scritte rese in merito a quanto accaduto da un docente incaricato di esercitare la sorveglianza sugli alunni per il loro rientro in classe avevano indotto ingiustificatamente a ritenere l’assenza di responsabilità della scuola, laddove, a termini dell’art. 1218 e dell’art. 2087 c.c. e a fronte delle incontestate circostanze dedotte in ricorso circa le modalità di verificazione dell’incidente, esso era imputabile sostanzialmente all’omessa vigilanza di un alunno lasciato libero di correre nei corridoi della scuola in orario di lezioni. Per la Corte di Appello di Roma, l’appello è fondato. Con L’appello con Sentenza del 30-01-2018 così si pronuncia: ”

Va premesso che in tema di responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. , ai fini del superamento della presunzione di cui all’art. 1218 c.c. , grava sul datore di lavoro l’onere di dimostrare di aver rispettato le norme specificamente stabilite in relazione all’attività svolta, e di aver adottato tutte le misure che, in considerazione della peculiarità dell’attività e tenuto conto dello stato della tecnica, siano necessarie per tutelare l’integrità del lavoratore, vigilando altresì sulla loro osservanza (cfr., Cass. n. 14468/2017). A sua volta, il lavoratore che agisca, nei confronti del datore di lavoro, per il risarcimento integrale del danno patito a seguito di infortunio sul lavoro ha l’onere di provare il fatto costituente l’inadempimento ed il nesso di causalità materiale tra l’inadempimento ed il danno, ma non anche la colpa della controparte, nei cui confronti opera la suddetta presunzione ex art. 1218 c.c. (cfr., Cass., n. 10319/2017).

La giurisprudenza, peraltro, ha costantemente affermato (cfr. tra tante Cass. n. 12347/2016) che l’art. 2087 c.c. non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva in capo al datore di lavoro, non potendosi automaticamente desumere dal mero verificarsi del danno l’inadeguatezza delle misure di protezione adottate; ma, allo stesso modo, esclude che il lavoratore possa essere chiamato – per il solo fatto di essere dotato di una elevata professionalità e di un certo margine di autonomia nello svolgimento della prestazione – a sostenere in proprio l’onere dei danni che ne derivino; conclusione questa confermata dal fatto che la legislazione in materia di sicurezza (dal D.P.R. n. 547 del 1955 al D.Lgs. n. 626 del 1994 fino al recente D.Lgs. n. 81 del 2008 ) ha sempre definito il lavoratore subordinato (e cioè il destinatario delle norme di protezione ivi contenute) come la persona che presta il suo lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro, senza fare distinzioni in base al livello di inquadramento e al grado di autonomia (per cui è certo che le norme in materia di prevenzione degli infortuni non tutelano solo i lavoratori che svolgono mansioni strettamente esecutive e manuali, ma anche quelli di categoria elevata e dotati di ampia discrezionalità).

Orbene, nella fattispecie all’esame del Collegio, essendo pacifica la circostanza relativa alle modalità di verificazione dell’evento quanto al fatto che in orario prossimo alla ripresa delle lezioni ( 10,30-10,40) la ricorrente in prime cure venne investita nei corridoi da un alunno in corsa così cadendo a terra e procurandosi le lesioni descritte in ricorso, non può invocarsi per ciò solo l’esistenza di una sorta di rischio professionale, connesso al contatto con gli alunni minorenni nell’ambiente scolastico e nell’espletamento dell’incarico, esonerando il Ministero datore di lavoro dagli obblighi di prevenzione stabiliti dalla leg ge .

Essendo quindi incontestato tra le parti che l’incidente sia accaduto sul luogo e durante l’orario di lavoro, mentre la ricorrente appellante era in procinto di eseguire la prestazione oggetto dell’incarico a lei conferito, è peraltro non conferente, nel senso che non vale a configurare una sorta di rischio elettivo ( in presenza cioè di condotta della lavoratrice avulsa dall’esercizio della prestazione lavorativa o anche ad essa riconducibile: v. Cass. 10319/2017 cit.), il fatto che, in ipotesi, la ricorrente medesima fosse inadempiente ai suoi doveri di insegnante per essersi trovata fuori nei corridoi oltre l’orario di inizio formale della lezione delle ore 10,30.

Il preteso inadempimento da parte dell’insegnante è invero irrilevante sia sul piano del nesso di causalità che su quello dell’elemento soggettivo. Da tempo la Corte di legittimità ha chiarito che “le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l’insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso, con la conseguenza che il datore di lavoro e responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente per l’imprenditore ad un eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare, invece, l’esonero totale del datore di lavoro da ogni responsabilità solo quando presenti, i caratteri dell’abnormità, inopinabilità ed esorbitanza, così da porsi come causa esclusiva dell’evento” (tra tante Cass. 21113/2009, Cass. 19559/2006; Cass. 7328/2004, tutte richiamate da Cass. da ultimo citata).

Nel rispetto di tali principi, non può di certo configurarsi una siffatta condotta da parte del lavoratore, non avendo posto in essere la stessa alcun comportamento anomalo o esorbitante tale da apparire causa esclusiva di verificazione dell’evento dannoso.”

Il Ministero veniva condannato ad oltre 3.500 euro di risarcimento danni più spese legali.

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