Tribunale conferma bocciatura DSA, “non ha le basi adeguate per studi più pesanti”

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La famiglia di uno studente frequentante la classe I di una Scuola Secondaria di Primo Grado di Roma, al termine dell’anno scolastico 2016/2017 non veniva ammesso alla classe successiva.

Come da certificazione medica in possesso della scuola e depositata in atti, sin dal settembre 2013 all’alunno veniva diagnosticato un disturbo specifico dell’apprendimento (DSA) di tipo misto, con difficoltà nella lettura, nella scrittura e nel calcolo.

Come emerge nel ricorso pur essendo in possesso della relativa documentazione, la scuola avrebbe predisposto il piano personalizzato per l’alunno con ben tre mesi di ritardo rispetto all’avvio dell’anno scolastico, e comunque gli insegnanti non avrebbero partecipato, nel corso dell’anno scolastico 2016/2017, ad alcun incontro con la struttura pubblica di riferimento (es. Centro Territoriale di Supporto), né con i professionisti esterni alla scuola che seguivano l’alunno, in contrasto con l’art.8 del decreto del Ministero dell’Istruzione n.5669 del 12 luglio 2011, con i paragrafi 6.2, 6.3, 7.4 delle linee guida allegate al decreto medesimo, con la circolare del Ministero dell’Istruzione n.8 del 6.3.2013, nonché con l’art.2, comma 1, lett. g), della L. n. 170 del 2010.

Il ricorrente lamentava anche che il piano personalizzato non sarebbe stato redatto in collaborazione con la struttura pubblica di riferimento né secondo il modello predisposto dal Ministero dell’Istruzione e comunque non sarebbe né realmente “personalizzato” né idoneo a perseguire l’obiettivo di cui all’art.5, comma 4, della L. n. 170 del 2010.

Anche l’efficacia delle misure compensative e dispensative contenute nel piano didattico personalizzato non sarebbe mai stata monitorata durante l’anno scolastico, al fine di adottare gli opportuni correttivi, in contrasto con l’art.5, comma 3, della L. n. 170 del 2010.

Inoltre, secondo il piano didattico personalizzato l’alunno, date le sue difficoltà, avrebbe dovuto compensare le prove scritte negative con verifiche orali e tuttavia non tutti gli insegnanti hanno attuato tale misura.

Il TAR Lazio Sez. III bis, Sent., con la Sentenza del giorno 11-12-2017, n. 12216 respinge il ricorso per i seguenti motivi:
“deve ritenersi circostanza pacifica che il minore, affetto dal disturbo indicato, è stato ritenuto dal Consiglio di Classe, nell’interesse dello stesso, privo dei requisiti necessari ad affrontare serenamente la frequenza del successivo anno scolastico. Giova evidenziare, inoltre, che a differenza del caso in cui la predisposizione degli strumenti previsti dalla L. n. 107 del 2010 sia stata del tutto omessa, non è dato al Collegio il potere di sindacare se gli strumenti predisposti dall’amministrazione a fronte dello specifico disturbo dell’apprendimento del minore siano più o meno adeguati, trattandosi di valutazione tecnico/discrezionale rimessa all’amministrazione e, pertanto, sindacabile solo a fronte di evidenti e macroscopici elementi sintomatici di eccesso di potere. Del resto, giova osservare che la ritardata protocollazione del Piano non dimostra che lo stesso non sia stato attivato sin dall’inizio dell’anno scolastico – come al contrario emergerebbe proprio dal fatto che alla data del 9.9.2016 la scuola aveva già comunque preso contatti con le docenti della scuola primaria di provenienza) e, peraltro, risulta che a fronte delle problematiche del minore nel mese di marzo ha deciso di adottare un potenziamento delle misure.
Ma, anche a ritenere dimostrato tale presupposto- ciò che nel caso in esame non potrebbe effettuarsi ricorrendo alla mancata contestazione ai sensi dell’art. 64 c.p.a., visto il contenuto della relazione agli atti -la questione oggetto del presente ricorso è se l’eventuale inadeguatezza degli strumenti predisposti dall’amministrazione, anche sotto il profilo organizzativo e/o della carenza di sufficienti competenze e/o mezzi oltre che della carenza di specifica preparazione del personale docente (che può, se del caso, rilevare ai fini di eventuali azioni risarcitorie innanzi al Giudice civile), possa “assorbire” fino addirittura a vanificare la valutazione rimessa al Consiglio di Classe, il cui unico parametro al fine di indirizzare la valutazione di ammissione o meno di un minore alla classe successiva, anche in caso di presenza di disturbi specifici dell’apprendimento, è – nell’esclusivo interesse del minore- quello di verificare se l’alunno possieda i requisiti minimi richiesti, non potendosi neppure addebitare all’amministrazione la circostanza pure comprensibile che il minore ad un certo punto “non avrebbe più voluto avvalersi delle misure compensative e dispensative previste nel piano didattico personalizzato”.

Ai fini del giudizio di ammissione alla classe successiva, infatti, il livello di preparazione oggettivamente raggiunto dallo studente è l’unico parametro richiesto sicché laddove, come nella fattispecie in esame, emergano lacune nel grado di formazione dello studente, la valutazione finale negativa deve ritenersi immune da profili di illegittimità (nello stesso senso, di recente, anche TAR Lombardia, Milano, III, 8.8.2017, n. 1748). E’, infatti, il dato oggettivo del rendimento scolastico e della preparazione dimostrata dallo studente in varie materie a fungere da presupposto necessario e sufficiente per la decisione di scrutinio finale.

Invero, il giudizio di non ammissione alla classe scolastica successiva, sebbene percepibile dall’interessato come provvedimento afflittivo, non ha carattere sanzionatorio, bensì finalità educative e formative, poiché si sostanzia nell’accertamento del mancato raggiungimento di competenze ed abilità proprie della classe di scuola frequentata che consigliano la ripetizione dell’anno scolastico proprio al fine di consentire di colmare lacune di apprendimento (evidenti nel caso di specie), nell’interesse specifico dell’alunno (TAR Calabria, Reggio Calabria, I, 28.3.2013, n. 194). In tale contesto, anche l’eventuale inosservanza parziale del piano didattico personalizzato non può di per sé inficiare la validità della decisione di non ammettere l’alunno alla classe successiva.

In particolare, se si lamenta che la mancata o insufficiente predisposizione di misure di sostegno o compensative abbia impedito all’alunno di conseguire la sufficienza nelle materie interessate, l’accoglimento della doglianza non può avere quale conseguenza l’ammissione alla classe superiore. Questo perché l’interessato è stato ritenuto privo delle basi adeguate per sopportare un programma di studi verosimilmente più pesante. In questi casi non può invocarsi un provvedimento giudiziario che promuova alla classe superiore uno studente che, eventualmente anche per “colpa” dell’istituto scolastico, non sia in possesso della preparazione adeguata (TAR Marche, I, 15.12.2016, n. 718).”

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