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“Ti porto un Porto dal porto di Porto” ovvero la “didattica dell’appiglio”

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Renato Marini, naturalista, psicologo e intellettuale – davvero un peccato che sia sconosciuto ai più: ho appreso più informazioni utili da lui che da tutti i professori che ho avuto – sostiene che per imparare occorrono soprattutto tre elementi: il desiderio, un maestro, la costanza nell’esercizio.

Concordo in pieno: un’istruzione di qualità dovrebbe agire sui tre fronti, sviluppando negli studenti la cosiddetta motivazione ad apprendere, formando docenti preparati (non solo dal punto di vista dei contenuti ma anche dei metodi) e insegnando agli alunni la costanza (già, la costanza può essere insegnata!).

Circoscrivo questo mio intervento al primo aspetto, quello relativo alla motivazione, e preciso fin da subito che ci sono molti modi per accendere la voglia di studiare, ma che si riconducono in sostanza a un principio base: l’alunno desidera imparare e approfondire quando è protagonista – e protagonista attivo – nell’apprendimento. Essendo protagonista, è lui a muoversi attivamente in direzione dei contenuti (o delle competenze o delle abilità) e non viceversa.

Una delle tecniche specifiche per agire in questo senso è quella che io chiamo “didattica dell’appiglio”.

Ecco un esempio di come l’ho applicata in una seconda media. Lezione di Geografia. Tre nozioni: 1) in Portogallo c’è una città chiamata Porto; 2) Porto è una città portuale; 3) nella zona vicino alla città di Porto si produce un vino liquoroso chiamato Porto.

Dopo aver fornito le informazioni, spiego che ogni dato da memorizzare deve essere sistemato in mezzo alle nozioni che già si possiedono. Immaginando che il nuovo dato sia un quadro appena acquistato, è necessario trovare un posto su cui sistemarlo (eventualmente spostando i quadri già presenti sulla parete) e soprattutto cercare un “appiglio”, vale a dire qualcosa che lo sorregga. Piaget parlava di assimilazione e accomodamento.

La consegna, che rende i ragazzi protagonisti attivi nel processo di apprendimento, è appunto quella di trovare un aggancio mentale. Gli studenti riflettono, poi qualcuno domanda: “Professore, e se inventassimo una frase?”. Rispondo dicendo che qualsiasi tipo di appiglio va bene, anche una frase: “Fatemi sentire un po’ di proposte”.

Dopo nemmeno cinque minuti ecco che uno studente esclama: “Ho trovato! Che ne dice di Ti porto un Porto dal porto di Porto?”. Originale, direi. Geniale, per certi versi: ti porto una bottiglia di Porto acquistata nel porto della città di Porto. Appiglio trovato: interrogo il ragazzo a distanza di mesi e questi ancora sa che la città di Porto, in Portogallo, è sulla costa, ha un porto e così via. La strategia dell’appiglio lo ha reso protagonista attivo, lo ha abituato a riflettere sulle cose e nel contempo gli ha fornito la motivazione necessaria per imparare a lungo termine.

Sempre lo stesso gruppo classe ha trovato un appiglio-acronimo con il quale ricordare gli stati della penisola balcanica più vicini all’Italia (a esclusione della Grecia): Slovenia, Croazia, Bosnia Erzegovina, Macedonia, Albania. L’acronimo è la parola SCEMA.

Di esempi se ne potrebbero fare tanti, gli appigli possono essere i più disparati, ma il concetto mi sembra chiaro: la “didattica dell’appiglio” abitua gli studenti a trovare agganci mentali in autonomia, essere attivi nell’apprendimento e rafforzare la motivazione.

“Non ho mai insegnato nulla ai miei studenti; ho solo cercato di metterli nelle condizioni migliori per imparare”. Così il grande Einstein.

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