Telecamere nascoste in scuole e asili, arma a doppio taglio

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Continua lo stillicidio di episodi riguardanti i presunti maltrattamenti videoregistrati con telecamere nascoste all’interno di scuole e asili. Le ultime vicende sono nell’ordine quelle descritte rispettivamente da un articolo di Repubblica e de Il Pescara alcuni giorni fa

Repubblica 14 Ottobre 2017. “A fine marzo una maestra era finita in carcere con l’accusa pesantissima di avere maltrattato i propri alunni, ma il gip non aveva convalidato l’arresto in flagranza. Poi, una nuova ordinanza del tribunale del riesame l’aveva sospesa. Una battaglia di ricorsi. Adesso, la maestra di una scuola dell’infanzia di Corleone finita al centro di un caso parecchio discusso è stata sospesa per un anno: la Corte di Cassazione ha dato ragione alla procura di Termini Imerese, il provvedimento del Riesame è diventato esecutivo. C’è un video ad accusare questa insegnante di 54 anni denunciata dai genitori di un bambino. Il piccolo aveva parlato di schiaffi alla nuca e di rimproveri pesanti.

I carabinieri della Compagnia di Corleone hanno piazzato una telecamera nascosta in classe, e sono emersi i modi alquanto sbrigativi della maestra. E si riapre il caso. Genitori e insegnanti si dividono sulla maestra. E si preannuncia un’altra battaglia legale…”.

Riflessioni

Uno spezzone di video mostra una maestra tutto sommato energica che richiama i bimbi con tono sostenuto per farsi sentire in mezzo alla baraonda e allunga una serie di scappellotti alla nuca dei piccoli. L’articolo ci racconta l’età avanzata della maestra (54 anni) ma omette la durata delle videoregistrazioni che nelle indagini è spesso lunga e soprattutto a discrezione del PM (solitamente compresa tra uno e quattro mesi).

Ciò che invece balza agli occhi del lettore è la divisione tra genitori, pro e contro la maestra, che si replica – che combinazione – in un identico disaccordo tra i giudici: PM contro GIP, Tribunale del Riesame contro il PM, ricorsi e appelli fino all’ultima insindacabile pronuncia della Corte di Cassazione. Ma davvero occorre un iter così farraginoso (e costoso sotto molti punti di vista) con innumerevoli gradi di giudizio per esprimere un giudizio (opinabile) sull’operato della maestra? La prospettiva del quadro cambia inevitabilmente a seconda degli occhi di chi guarda: maestra, genitori, giudici. Pur tuttavia le suddette categorie sono in disaccordo tra loro e si dividono in fazioni pro o contro l’insegnante. La dicotomia infatti non risparmia i genitori: una parte condanna la maestra mentre l’altra la sostiene riconoscendo l’arduo compito di gestire, educare e vigilare sui molti bambini. Neppure le colleghe sono da meno e si dividono tra coloro che deprecano senza appello tutti gli approcci educativi energici, sia verbali che fisici, e tra coloro che giustificano l’operato della maestra.

Dove sta dunque la verità? Si tratta di vera violenza nei confronti dei piccoli oppure di metodi educativi magari rudimentali e spicci dovuti anche all’alto numero di bimbi da seguire e vigilare? Siamo poi di fronte a una maestra ultracinquantenne esaurita dalla professione o a una violenta seriale? O più semplicemente i metodi educativi di una volta – alla Don Milani per intendersi – non sono più tollerati dai genitori? Non sembra esserci una sola risposta mentre, probabilmente, c’è un po’ di vero in tutte le ipotesi.

C’è però una seconda domanda: è proprio necessario che sia la giustizia a intervenire per dirimere siffatte questioni oppure vi è un organismo o persona preposta a vigilare che certi episodi non accadano? Qui la risposta è più semplice poiché il responsabile della struttura è il dirigente della struttura che ha il duplice compito di tutelare la salute professionale degli insegnanti e garantire al contempo l’incolumità della piccola utenza. E perché non è intervenuto? Ma vediamo il caso ancora più recente.

Il Pescara. Una maestra di 64 anni di Pescara della scuola “Piano T” di Zanni è stata arrestata dai carabinieri con l’accusa di maltrattamenti su minori. La vicenda ha inizio quando, nei giorni scorsi, ai militari della Compagnia di Pescara arrivano alcune segnalazioni e denunce che indicano comportamenti violenti ed intimidatori nei confronti degli alunni di una classe quinta dell’istituto scolastico, da parte di una delle loro insegnanti. I genitori raccontano una situazione critica vissuta dai figli, terrorizzati durante le ore di lezione con la 64enne che sarebbe arrivata anche a dare pizzicotti e spintoni per punirli… Sono bastati pochissimi giorni per verificare che quanto segnalato aveva fondamento: la maestra infatti spesso urlava in classe, minacciava i bambini e li puniva in modo esagerato arrivando in un caso a cacciare dall’aula una bambina strattonandola. La donna … è in attesa dell’udienza di convalida…

Riflessioni

Questa volta la protagonista è una maestra di ben 64 anni che potrebbe benissimo essere la nonna degli alunni accuditi. Non è dato vedere alcun filmato che, solo a detta degli inquirenti, parrebbe essere assai significativo con qualche spintone, pizzicotto o strattonamento. Mi pongo ora solo alcune domande, pur rimandando intonse tutte le altre perplessità espresse negli articoli già scritti sull’argomento:

  1. E’ funzionale, giusto, veloce ed economico ricorrere a indagini giudiziarie per risolvere il problema dei presunti maltrattamenti a scuola o dovremmo provvedere altrimenti?
  2. Chi è chiamato al difficile compito di valutare il metodo pedagogico-educativo delle maestre non dovrebbe essere un addetto ai lavori (es. dirigente scolastico) piuttosto che un agente di polizia addetto a sbobinatura e trascrizione degli atti?
  3. Non è forse il caso di cercare di capire perché il 90% delle maestre indagate ha superato ampiamente i 50 anni di età e i 30 di servizio? Che si tratti dei primi effetti della riforma Fornero fatta al buio, cioè senza aver prima valutato età anagrafica, anzianità di servizio, patologie professionali da usura psicofisica da Stress Lavoro Correlato?
  4. Nelle competenze del dirigente scolastico rientra anche la funzione di controllo dell’operato dei suoi insegnanti: non sarebbe il caso che risolvesse tali questioni molto prima che l’intervento delle Forze dell’Ordine si renda necessario?

L’ultima riflessione la voglio dedicare all’uso delle intercettazioni nelle attività d’indagine. Il precedente Presidente del Consiglio in un’intervista le considerava uno “spiare dal buco della serratura”, e non gli si può dare torto. Se non sono più che propriamente e onestamente usate, c’è rischio che vengano utilizzate strumentalmente distorcendo la realtà con l’estrapolazione dal contesto, l’assemblaggio di trailer, l’amplificazione del sonoro e altre tecniche simili.

Per non parlare poi della pericolosità di questo strumento di cui anche le stesse Forze dell’Ordine potrebbero essere vittima, come dimostra il solo incipit dell’articolo che segue. Perché chi di intercettazione ferisce…

Repubblica 8 ottobre 2017. “Capiscono solo le legnate”, le frasi agli atti dell’inchiesta sui 37 carabinieri indagati in Lunigiana.

Basterebbe prenderli e invece di portarli in caserma farli sparire, come fanno i cinesi, un solo colpo alla nuca, nella fossa, calce, tappi tutto ed è l’unico modo per levarli di mezzo”. Così, riferendosi ad alcuni cittadini extracomunitari, in una delle intercettazioni che la Procura di Massa Carrara ha eseguito nell’ambito dell’inchiesta sui presunti abusi nelle caserme dei carabinieri della Lunigiana. Intercettazioni ambientali e nelle auto di servizio, che hanno fotografato un modus operandi di alcuni militari…

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