Studente offende un collaboratore ATA, genitore condannato a risarcirlo

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Nella scuola dove tutto sembra dovuto, dove il senso del rispetto è smarrito, spesso sono i genitori a dover pagare le conseguenze delle azioni dei propri figli.

Fatto

Un genitore veniva condannato a risarcire un collaboratore scolastico a causa delle scritte ingiuriose che il figlio minore all’epoca dei fatti, aveva vergato sulla sua scrivania con un pennarello, durante una illegittima incursione nella scuola con altri ragazzi minorenni. La Cass. civ. Sez. III, Ord., (ud. 28-11-2018) 13-02-2019, n. 4152 conferma la condanna al risarcimento danni.

La condotta ingiuriosa ha disvalore sociale

Il ricorrente, infatti, non ha colto la ratio decidendi della pronuncia impugnata che, con motivazione sintetica ma sufficiente, ha affermato che il fatto per il quale era stata avanzata la domanda risarcitoria riguardava la responsabilità dei genitori regolata dall’art. 2048 c.c., ed in particolare del padre convivente con il figlio, tenuto conto della sicura ascrivibilità al minore F. di una condotta ingiuriosa, caratterizzata da disvalore sociale.

Il Tribunale ha applicato il principio secondo il quale, in sede civile,il giudice di merito ha il potere di rivalutare in piena autonomia il medesimo fatto già vagliato nella sede penale minorile, dove, notoriamente, è preclusa la costituzione di parte civile (cfr. D.P.R. n. 448 del 1988, art. 10) e, conseguentemente, non è applicabile la previsione dell’art. 652 c.p.p., riguardante i rapporti fra giudizio penale e giudizio civile nelle cause in cui si controverta di risarcimento danni.

Anche se uno studente viene “perdonato” giudizialmente, può essere condannato a risarcire i danni

Al riguardo, questa Corte ha chiarito che “la sentenza penale di non luogo a procedere per concessione del perdono giudiziale nei confronti di imputato minorenne non ha efficacia di giudicato nel giudizio civile risarcitorio, perchè esula dalle ipotesi previste negli artt. 651 e 652 c.p.p., non suscettibili di applicazione analogica per il loro contenuto derogatorio del principio di autonomia e separazione tra giudizio penale e civile. Ne consegue che il giudizio civile deve interamente ed autonomamente rivalutare il fatto in contestazione, sebbene, nel rispetto del contraddittorio, possa tener conto di tutti gli elementi di prova acquisiti in sede penale, al fine di ritenere provato il nesso causale fra la condotta del minore e la lesione subita dall’attore (cfr. Cass. 24475/2014).

Il Tribunale ha fatto corretta applicazione dei principi sopra richiamati che possono certamente essere estesi al caso in esame in cui la dichiarazione di non doversi procedere è stata determinata dalla mancanza di imputabilità per incapacità di intendere e di volere di un soggetto ultraquattordicenne.

La motivazione criticata resiste, pertanto, alle censure proposte: il giudice d’appello, infatti, dopo aver precisato che la pronuncia del Tribunale per i Minorenni, pur non avendo efficacia di giudicato, è liberamente apprezzabile afferma anche che “a fronte di precisi riferimenti contenuti nella sentenza e negli altri atti prodotti, le altre parti si sono limitate a contestazioni generiche in ordine ” alla sussistenza del fatto”; ed aggiunge che la stessa circostanza “che anche nel presente giudizio si continui a sminuire l’operato di ( omissis) definendolo una “goliardata” testimonia che, rispetto alla specifica condotta contestata, non vi è stata sufficiente educazione del figlio a concetti elementari quali quelli del rispetto del prossimo e dell’intima connessione fra i concetti di libertà e responsabilità

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