Storia di due insegnanti contrastivi, corre l’anno 2081

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«Il perturbante è quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare» (Sigmund Freud, Il perturbante, 1919)

Ancora una volta, naturalmente, un manoscritto. Anzi due, portati dal mare e trovati sulla spiaggia da un enigmatico Pescatore. I due manoscritti raccontano la stessa storia, con sguardi diversi. Una storia di morte e di vita; di realtà terrena e ultraterrena; di luoghi e di non luoghi o luoghi indefinibili; di passato, presente, eternità, senza confini precisi. Come forse desidereremmo che fosse davvero, pensando allo scorrere inesorabile del nostro tempo.

Un editore colto e coraggioso ne intuisce il valore e li pubblica, rispettandone l’originario ordine inverso: l’aldilà e l’aldiqua, con Gemma e Jack che ci parlano da quell’altrove. La loro storia è quella di due insegnanti contrastivi, protagonisti-narratori di un mondo del futuro ormai prossimo, in cui restare tenacemente ancorati all’umano e ai suoi valori significa essere destinati ad orribili punizioni: la morte, per Gemma, che continua ad esistere in un ‘oltre’ popolato da misteriosi personaggi, colpevole di aver educato, o preteso di educare, intere generazioni al libero pensiero; l’esilio, per Jack, processato e condannato da una commissione di valutazione come corruttore e sobillatore degli animi degli alunni con i suoi “pensieri negativi, unilaterali, rigidi, incapaci di raddoppiarsi, di mutarsi, di concepire il loro opposto, e di annullarsi, come vuole la teoria della conoscenza più ovvia e veridica”. Eccolo, dunque, “il perturbante”: bastano poche righe della fabula per capire che si sta parlando di noi docenti, della ‘buona scuola’ e degli aspetti spaventosi della razionalità contemporanea che informano la scuola decostituzionalizzata nell’ultimo ventennio.

Non siamo più nell’A.D. 2018, bensì nel 2081 RdC: Orwell docens. Dove l’acronimo RdC sta per una lunga serie di espressioni polirematiche, da ‘Rattrappimento del Cervello’ a ‘Razionalità della Cicca’, che occupano quasi per intero il Glossario finale allegato al romanzo. E molte altre se ne potrebbero aggiungere, in un ipotetico esercizio di ‘grammatica della fantasia’, per definire questo nostro tempo distopico – lo vogliamo chiamare ‘Ricettacolo del Capitalismo’ per continuare il gioco lessicale dei due Autori? – che è ormai consustanziale a uomo, società, istituzioni, natura, realtà e immaginazione. E che questo romanzo descrive molto efficacemente dalla specola della scuola oleografica verso cui la coazione al digitale e la pedagogia neoliberista ci sospingono inesorabili.

L’effetto non è solo quello che si prova vedendo i film di fantascienza di qualche anno fa che raccontavano vicende inquietanti e incredibili oggi assolutamente all’ordine del giorno. E’ piuttosto la percezione che tutte le derive della trasformazione capitalistica della scuola e della sua originale funzione emancipatrice da una condizione di minorità (culturale, sociale, esistenziale) attraverso personali percorsi di soggettivazione individuali e collettivi, siano arrivate a compimento e che questo compimento il libro ce lo descriva davvero bene, fino alla fine. Nel 2081 non ci sono più margini di libero pensiero, anche di quel libero pensiero capace di riconoscere nella scuola meccanismi di coercizione culturale o di riproduzione sociale, di denunciarli e di combatterli: la scuola è ormai radicalmente sussunta da un sistema (nel romanzo, il Regno) predatorio e rapace, che l’ha colpita con violenza per neutralizzare il pensiero, la collaborazione, la condivisione, l’ascolto e, cosa ancor più grave, il desiderio di comprendere, di scegliere e di agire in una dimensione di coraggio, di padronanza e di libertà. Quanto di spaventosamente vero se pensiamo al nostro quotidiano vissuto personale?

“La capitalizzazione della vita si era estesa ovunque. E aveva conquistato l’uomo. E aveva conquistato il suo tempo. I suoi sogni. Il suo fiato. La sua carne. I suoi organi, dati in pegno per saldare i debiti contratti da ogni abitante del Regno. Sempre era un debitore il regnicolo. Che tutto ipotecava a un creditore che non voleva la riscossione, ma il prolungamento ad aeternum del dovuto. La capitalizzazione umana, cerebrale, era stato uno slogan intoccabile. Era terroristico metterlo in discussione. E naturalmente aveva avuto come esito l’ennesima e più tragica svalutazione della vita umana stessa”.

Nel lungo racconto, la descrizione della situazione in cui Gemma e Jack (colleghi, amici e compagni della vecchia scuola) si ritrovano dopo essere stati puniti è costellata di andirivieni tra un prima e un dopo, tra realtà e apparenza, esperienza e immaginazione, in un continuo riaffiorare di ricordi, citazioni, immagini di letteratura e vita vissuta. Dove si trovano ora i due, rispettivamente? E come riallacciare un contatto tra loro? Come salvarsi da questa condizione alienante? E cos’è poi più alienante, essere spettatori lontani e impotenti di una scuola tecnofiliaca e tecnofagica, o farne ancora parte a costo dell’annullamento di sé, in un processo di conformistica automodellizzazione? Ma soprattutto, è possibile coltivare ancora una speranza di salvezza? E’ possibile ribaltare l’alienazione che tutti noi docenti divergenti oggi viviamo, quando ci accorgiamo che la scuola è diventata un non-luogo in cui non ci riconosciamo più e in cui non riusciamo più a trovare un senso in ciò che facciamo e in ciò che siamo costretti a fare? La ricerca spasmodica del contatto personale, la persistenza del valore irrinunciabile dei sentimenti e delle emozioni, il costante tentativo di dialogo, la tenace convinzione del valore profondo della cultura e della sua trasmissione perseguiti a tutti i costi da Gemma e Jack, anche oltre il confine tradizionalmente immaginato tra la vita e la morte, potranno mai riscattarci da questo eterno presente senza più meta? Da questa egemonia dello spossessamento, della cattura degli atti e della falsa narrazione che ce la consegna nella neolingua della pedagogia capitalistica?

Perché è di questo che il libro parla, attraverso la grande metafora della distopia: del sogno salvare noi stessi, la scuola, i ragazzi, il mondo dall’implacabile avanzata dell’irrilevanza dell’umano, dalla cancellazione della grande conquista occidentale moderna dell’uomo come fine cui il sistema ci sta molecolarmente educando.

E forse, ci suggeriscono gli Autori, può non essere solo un sogno.

Gianni Vacchelli e Maristella Bellosta, 2081, Mimesis Edizioni, Milano-Udine, 2018, euro 16

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