Se un lavoratore viene adibito a mansioni incompatibili con lo stato di salute, il datore di lavoro ne risponde

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La norma madre in materia di sicurezza sul lavoro è l’articolo 2087 del Codice Civile.

“L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Norma che riguarda tutti i lavoratori, nel privato come nel pubblico, dunque anche quelli della scuola. Norma, seppur considerata a livello europeo come una delle più avanzate, in Italia a dire il vero non sempre è ottemperata.

Fatto

Il caso che segue riguarda un dipendente delle poste che ha visto aggravare le condizioni del proprio stato di salute stante il mancato pieno rispetto delle prescrizioni mediche. La Cassazione Civile, Sez. Lav., 18 marzo 2019, n. 7584 sul caso di questo lavoratore adibito a mansioni incompatibili con le proprie condizioni fisiche si pronuncia sulla questione della colposa inadempienza datoriale ex art. 2087 c.c. per la mancata ottemperanza alle prescrizioni mediche esprimendo più principi di diritto.

Sul mancato rispetto delle prescrizioni mediche

La mancata corretta e compiuta ottemperanza alle apposte prescrizioni mediche, comunque evidentemente a conoscenza di parte datoriale (che non risulta averla mai univocamente negata), comporta colposa inadempienza degli obblighi contrattuali derivanti dal categorico precetto normativo di cui all’art. 2087 c.c. con conseguenti responsabilità risarcitorie in difetto di adeguata prova liberatoria ex art. 1218 c.c. da parte datoriale, prova liberatoria che tuttavia non è stata riscontrata dai giudici di merito aditi.

Sull’onere della prova

Cass. lav. n. 21590 del 13/08/2008 e n. 15078 del 26/06/2009 e altresì Cass. lav. n. – 11/04/2013, secondo cui in tema di responsabilità per violazione delle disposizioni dell’art. 2087 cod. civ., la parte che subisce l’inadempimento non deve dimostrare la colpa dell’altra parte – dato che ai sensi dell’art. 1218 cod. civ. è il debitore-datore di lavoro che deve provare che l’impossibilità della prestazione o la non esatta esecuzione della stessa o comunque il pregiudizio che colpisce la controparte derivano da causa a lui non imputabile – ma è comunque soggetta all’onere di allegare e dimostrare l’esistenza del fatto materiale ed anche le regole di condotta che assume essere state violate, provando che l’asserito debitore ha posto in essere un comportamento contrario o alle clausole contrattuali che disciplinano il rapporto o a norme inderogabili di legge o alle regole generali di correttezza e buona fede o alle misure che, nell’esercizio dell’impresa, debbono essere adottate per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

Obbligo neminem laedere

Inoltre, Cass. lav. n. 4184 del 24/02/2006 già affermava che sul datore di lavoro gravano sia il generale obbligo di “neminem laedere” espresso dall’art. 2043 cod. civ. -la cui violazione è fonte di responsabilità extracontrattuale- sia il più specifico obbligo di protezione dell’integrità psico-fisica del lavoratore sancito dall’art. 2087 cod .civ. ad integrazione “ex lege” delle obbligazioni nascenti dal contratto di lavoro, la cui violazione determina l’insorgenza di una responsabilità contrattuale.

Le norme in materia di tutela dagli infortuni sul lavoro hanno uno scopo plurimo

Cass. lav. n. 4656 del 25/02/2011: le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso, con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso ai lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, per l’imprenditore, all’eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare l’esonero totale del medesimo imprenditore da ogni responsabilità solo quando presenti i caratteri dell’abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell’evento, essendo necessaria, a tal fine, una rigorosa dimostrazione dell’indipendenza del comportamento del lavoratore dalla sfera di organizzazione e dalle finalità del lavoro, e, con essa, dell’estraneità del rischio affrontato a quello connesso alle modalità ed esigenze del lavoro da svolgere. In senso conforme, tra le altre, Cass. lav. n. 22818 del 28/10/2009.

Sul rischio elettivo

Analogamente, Cass. lav. n. 798 del 13/01/2017: in tema di infortuni sul lavoro e di cd. rischio elettivo, premesso che la “ratio” di ogni normativa antinfortunistica è quella di prevenire le condizioni di rischio insite negli ambienti di lavoro e nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia degli stessi lavoratori, destinatari della tutela, la responsabilità esclusiva del lavoratore sussiste soltanto ove questi abbia posto in essere un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, cosi da porsi come causa esclusiva dell’evento e creare condizioni di rischio estranee alle normali modalità del lavoro da svolgere. In assenza di tale contegno, l’eventuale coefficiente colposo del lavoratore nel determinare l’evento è irrilevante sia sotto il profilo causale che sotto quello dell’entità del risarcimento dovuto).

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