Se gli insegnanti sono cittadini di serie B, quelli di “quota 96” sono nell’anticamera della serie C (per il principio: “si può scendere ancora”)

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Per Quota 96Rossana Lancella – Sono circa tremila gli insegnanti che si trovano imprigionati in una bolla senza uscita provocata da un errore del MIUR, che non si vuole sanare, semplicemente riconoscendo di aver sbagliato. Sono intervenute interrogazioni parlamentari e ricorsi al giudice del lavoro, al TAR, alla Corte dei Conti, mentre alcuni giudici hanno coinvolto la stessa Corte Costituzionale.

Per Quota 96Rossana Lancella – Sono circa tremila gli insegnanti che si trovano imprigionati in una bolla senza uscita provocata da un errore del MIUR, che non si vuole sanare, semplicemente riconoscendo di aver sbagliato. Sono intervenute interrogazioni parlamentari e ricorsi al giudice del lavoro, al TAR, alla Corte dei Conti, mentre alcuni giudici hanno coinvolto la stessa Corte Costituzionale.

Perché tutto questo dispendio di energie, di costi per i singoli e per la collettività, perché tanto senso di frustrazione sparso a piene mani su quel gruppo di insegnanti, che si vedono ingiustamente privati di un diritto?
Forse che al MIUR e al Ministero del Lavoro hanno perso la capacità di leggere le carte che gli stessi burocrati hanno scritto? O forse perché …tanto si tratta di pochi insegnanti con nessuna visibilità pubblica?
Il problema, prima ancora della corretta lettura delle leggi e delle circolari che dovrebbero attuarle, è quanto e quale rispetto ha lo Stato nei confronti dei cittadini, sia uno solo, siano tremila, siano centotrentamila?
E’ la concezione dello Stato che entra in discussione e lo spazio che viene ancora garantito all’arroganza ottusa di chi detiene il potere, sia politico, sia burocratico e che tratta perfino i suoi servitori come sudditi.

I fatti
Sono pochi e molto semplici, tanto che non si capisce perché il problema sia ancora aperto.
La scuola non è un ufficio ministeriale perché, tra l’altro, l’anno scolastico si colloca a cavallo tra due anni solari; infatti c’è il problema della continuità didattica che impedisce di considerare, per gli insegnanti, la conclusione di ogni periodo (tanto più l’uscita dal servizio) con l’anno solare.
Il DPR 351/98 vincola la cessazione dal servizio nel comparto Scuola “all’inizio dell’anno scolastico o accademico successivo alla data in cui la domanda è stata presentata”. Di conseguenza, l’unica “finestra” di uscita è costituita dal solo 1°settembre di ogni anno.

Senza entrare in dettagli da azzeccagarbugli, si può ricordare che all’avvio dell’anno scolastico 2011/2012 vigeva il sistema delle “quote”, cioè età anagrafica e anzianità contributiva.

Siccome gli insegnanti, mediamente, sono dei buoni cittadini rispettosi delle leggi, tutti quelli che ne avevano interesse e diritto si apprestavano a presentare la domanda di collocamento a riposo ai sensi della legge e del relativo regolamento. Si attendeva la circolare ministeriale che avrebbe dato il via formale alle consuete procedure.

Colpo di scena: il Decreto legge 6 dicembre 2011, diventato legge 224/2011 si dimentica della naturale specificità della scuola e dei suoi dipendenti (su cui pare inutile ritornare perché siamo stati tutti a scuola e tutti sappiamo che la scuola non termina il 31 dicembre!) e cancella senza preavviso quell’unica finestra di uscita.

Non solo, ma la circolare, uscita in primavera invece che, come di consueto, a gennaio, ripercorreva quella dell’anno precedente lasciando, per il 2012, le stesse date dell’anno precedente, in sostanza abolendo la finestra del 2012, con tanti saluti per i diritti acquisiti e per le legittime aspettative.
Tutto ciò significa, avendo fatto saltare quell’opportunità, costringere chi ha già maturato il diritto alla pensione, a restare a scuola ancora fino a sei anni in più, per le donne, e sette per gli uomini: si è varata una norma retroattiva, senza che ve ne sia l’evidenza formale –perché sarebbe illegittima- ma tale a tutti gli effetti, distruggendo progetti di vita costruiti nel tempo (ci sarebbe anche da ricordare che tanto lavoro, cruciale per lo sviluppo del Paese, viene retribuito con stipendi non dignitosi per pensioni ancor meno dignitose).

Murati vivi a scuola, avendo avvertito l’indifferenza e la totale mancanza di considerazione che Parlamento e Governo sbattono loro in faccia, gli insegnanti si rivolgono ai Sindacati, che in prima battuta neanche li prendono in considerazione (a proposito: sono da ringraziare per la sensibilità e la tempestività dell’intervento!) poi trovano pochi parlamentari, che sanno di scuola, che li ascoltano e cercano di tutelarli, ma senza successo, perché in Parlamento valgono logiche che gli umani spesso non possono nemmeno immaginare; per fortuna non demordono, aprono blog raccogliendo le esternazioni più disperate e avvelenate, presentano interrogazioni ben documentate, mentre cercano di inserire qualche norma riparatoria agganciandola agli emendamenti sugli “esodati” nella Legge di Stabilità.

Nel frattempo partono le impugnative, lavoro per avvocati e giudici, discussioni sulla competenza del TAR, della Corte dei Conti, del giudice del lavoro.

Conclusione
Non sarebbe bello né utile che la brutta figura dello Stato nei confronti dei suoi più leali collaboratori proseguisse oltre.
Il caso di “quota 96” non c’entra niente con la questione degli “esodati” e nemmeno con la ricerca di finanziamenti che dovrebbero tappare il “buco” di un costo che, molto semplicemente, doveva obbligatoriamente essere stato calcolato e previsto: sarebbe educativo che il “buco” eventuale lo pagassero il ministro dell’Istruzione e gli uffici del MIUR.
Non si vede infatti cosa c’entrino i dipendenti della Scuola, che hanno sempre scritto “Scuola” con la S maiuscola e che non vanno umiliati un solo giorno di più!

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