Se dirigente emana ordine di servizio, lavoratore rischia licenziamento se non ottempera

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Una lavoratrice dipendente di un Comune aveva esposto che, non essendosi uniformata alle direttive del Sindaco, non ottemperando a specifici ordini di servizio, in data 14 novembre 2003 aveva ricevuto la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per n.5 giorni e in data 31 marzo 2004 la medesima sanzione per n. 10 giorni, fino ad arrivare al licenziamento del 5 maggio 2004 preceduto da due contestazioni.

Tutto ciò premesso, aveva dedotto l’illegittimità delle sanzioni conservative e del licenziamento per mancata affissione del codice disciplinare e del solo licenziamento perché intervenuto tra la richiesta delle pubblicazioni di matrimonio ed un anno dopo la celebrazione dello stesso, in violazione degli artt. 1 e segg. L. n. 7/63, nonché per infondatezza degli addebiti, per insussistenza del giustificato motivo soggettivo, per inesistenza di un inadempimento sanzionabile e per violazione del principio di terzietà.

Se nei gradi di giudizio pregressi aveva avuto ragione, il tutto muta in modo pesante in Cassazione che con la sentenza n. 9736 del 19/4/2018 afferma principi applicabili a tutto il settore della Pubblica Amministrazione. “Nell’ambito del rapporto di lavoro privato, questa Corte ha affermato che la nozione di insubordinazione, nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, non può essere limitata al rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori, ma implica necessariamente anche qualsiasi altro comportamento atto a pregiudicare l’esecuzione ed il corretto svolgimento di dette disposizioni nel quadro della organizzazione aziendale (Cass. n. 7795 del 2017). Più in generale il lavoratore può chiedere giudizialmente l’accertamento della legittimità di un provvedimento datoriale che ritenga illegittimo, ma non lo autorizza a rifiutarsi aprioristicamente, e senza un eventuale avallo giudiziario (conseguibile anche in via d’urgenza), di eseguire la prestazione lavorativa richiesta, in quanto egli è tenuto ad osservare le disposizioni impartite dall’imprenditore, ex artt. 2086 e 2104 c.c., e può legittimamente invocare l’eccezione di inadempimento, ex art. 1460 c.c., solo nel caso in cui l’inadempimento del datore di lavoro sia totale (cfr., tra le più recenti, Cass. n. 831 del 2016 e n. 18866 del 2016). Tali principi trovano applicazione nel rapporto di pubblico impiego privatizzato, anche in ragione del rinvio operato dall’art. 2, co. 2, d.lgs. n. 165/01.”. Ricordiamo che per quanto riguarda il Pubblico Impiego ed ovviamente la scuola il riferimento principale è l’articolo 17 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 il quale recita:

“L’impiegato, al quale,  dal proprio superiore, venga impartito un ordine  che  egli  ritenga palesemente  illegittimo,  deve  farne rimostranza allo stesso superiore, dichiarandone le ragioni. Se  l’ordine è rinnovato per iscritto, l’impiegato ha il dovere di darvi esecuzione. L’impiegato  non  deve  comunque  eseguire  l’ordine  del superiore quando l’atto sia vietato dalla legge penale”.

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