Se alla sospensione cautelare non segue una sanzione disciplinare si ha diritto alle differenze retributive

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Un lavoratore agiva in giudizio per chiedere il riconoscimento delle differenze tra il trattamento retributivo dovuto in relazione alla qualifica posseduta e l’assegno alimentare che gli veniva corrisposto durante la sospensione cautelare dal servizio, che nasceva in relazione all’adozione di un procedimento penale a suo carico.

Il processo penale si estingueva per prescrizione del reato ma l’amministrazione non aveva attivato il procedimento disciplinare nei termini previsti dalla legge.

La Corte di Cassazione Sez. lavoro, Sent., (ud. 13-02-2019) 19-03-2019, n. 7657 afferma dei principi di diritto importanti in materia che riguardano tutto il Pubblico Impiego.

Sulla natura della sospensione cautelare

Questa Corte è stata più volte chiamata a pronunciare sulla natura della sospensione cautelare (fra le più recenti Cass. nn. 5147/2013, 15941/2013, 26287/2013, 13160/2015, 9304/2017, 18849/2017, 10137/2018, 20708/2018) e, in linea con i principi affermati dalla giurisprudenza amministrativa e costituzionale, ha evidenziato che la sospensione, in quanto misura cautelare e interinale, “ha il carattere della provvisorietà e della rivedibilità, nel senso che solo al termine e secondo l’esito del procedimento disciplinare si potrà stabilire se la sospensione preventiva applicata resti giustificata e debba sfociare nella destituzione o nella retrocessione, ovvero debba venire caducata a tutti gli effetti” (Corte Cost. 6.2. 1973 n. 168). Si è sottolineato in relazione alla sospensione facoltativa che la stessa è solo finalizzata a impedire che, in pendenza di procedimento penale, la permanenza in servizio del dipendente inquisito possa pregiudicare l’immagine e il prestigio dell’amministrazione di appartenenza, la quale, quindi, è tenuta a valutare se nel caso concreto la gravità delle condotte per le quali si procede giustifichi l’immediato allontanamento dell’impiegato.

Essendo la sospensione cautelare dal servizio adottata in base ad una valutazione discrezionale dell’Amministrazione (con eccezione della ipotesi della emissione del mandato o ordine di cattura nei confronti del dipendente) non è corretto ritenere la non imputabilità dell’interruzione del rapporto sinallagmatico all’Amministrazione medesima, posto che è la stessa Amministrazione che valuta i presupposti per l’adozione della misura e ne determina i contenuti. Quando poi nella sede propria degli accertamenti definitivi emerga che la sospensione non era giustificata, in tutto o in parte, non può essere addebitabile al dipendente l’interruzione del rapporto di servizio ed il mancato adempimento della prestazione (Cons. Stato Ad. plen. 2.5.2002 n. 4). Ai richiamati principi, qui ribaditi perchè condivisi dal Collegio, si deve aggiungere che il diritto alla restitutio in integrum ha natura retributiva e non risarcitoria.

Sul potere di sospendere in via cautelare il dipendente pubblico

Il potere del datore di lavoro di estromettere temporaneamente dall’azienda o dall’ufficio il dipendente sottoposto a procedimento penale è espressione del generale potere organizzativo e direttivo e trova fondamento costituzionale, quanto all’impiego privato, nell’art. 41 Cost. e in relazione all’impiego pubblico nell’art. 97 Cost., perchè finalizzato a garantire, in pendenza del procedimento penale, la corretta gestione dell’impresa o l’efficienza e l’imparzialità della Pubblica Amministrazione.

La misura cautelare, per il suo carattere unilaterale, non fa venir meno l’obbligazione retributiva che, nei casi in cui la stessa sia oggetto di disciplina da parte della legge o della contrattazione collettiva, è solo in tutto o in parte sospesa ed è sottoposta alla condizione dell’accertamento della responsabilità disciplinare del dipendente.

I rapporti tra procedimento penale e disciplinare

I rapporti fra processo penale e procedimento disciplinare nell’impiego pubblico contrattualizzato nel tempo sono stati disciplinati dal D.P.R. n. 3 del 1957, art. 97, dalla contrattazione collettiva, dalla L. n. 97 del 2001, dall’art. 55 ter del D.Lgs. n. 165 del 2001, inserito dal D.Lgs. n. 150 del 2009 e recentemente modificato dal D.Lgs. n. 75 del 2017. Il legislatore, al fine di consentire alle Pubbliche Amministrazioni di avere tempestiva notizia dei processi penali avviati a carico di dipendenti pubblici e del loro esito, ha imposto precisi oneri di comunicazione a carico del Pubblico Ministero (art. 129 disp. att. c.p.p.) e della cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento (art. 154 ter disp. att. c.p.p.) e con l’art. 97 aveva anche attribuito all’impiegato pubblico il potere di far decorrere termini sensibilmente ridotti per la riattivazione, provvedendo egli alla notifica della sentenza stessa all’amministrazione.

Nè il legislatore nei diversi interventi normativi nè, tanto meno, le parti collettive hanno mai previsto a carico del dipendente sottoposto a processo penale e sospeso dal servizio, un obbligo di collaborazione e un dovere di comunicazione delle sentenze penali, a prescindere dalla natura e dal contenuto di dette decisioni.

Ha osservato al riguardo la Corte Costituzionale che la facoltà concessa all’impiegato di attivarsi per far cessare lo stato di sospensione non può essere trasformata in un obbligo o in un onere, “peraltro a rischio di colui a carico del quale tale onere verrebbe imposto, di sollecitare l’apertura o la prosecuzione del procedimento stesso che potrebbe risolversi in senso a lui sfavorevole. Non sarebbe difatti ragionevole che, per far cessare una situazione di incertezza che il legislatore ha ancorato al trascorrere di un termine congruo, si debba accollare, a colui che ha un interesse addirittura contrapposto all’esercizio del potere disciplinare, l’onere di sollecitarlo, tenuto conto che l’ordinamento, per esigenze di certezza del tutto analoghe, già conosce ipotesi, come quelle attinenti alla prescrizione di reati, nelle quali l’estinzione del potere punitivo in relazione al mero trascorrere del tempo non è subordinata ad alcun onere da parte del soggetto che ne beneficia, nè, tantomeno, alla conoscibilità del fatto illecito” (Corte Cost. n. 264/1990).

Il principio di diritto espresso dalla Cassazione su sospensione cautelare, diritto alla retribuzione e onere di attivazione procedimento disciplinare

“nell’impiego pubblico contrattualizzato la sospensione facoltativa del dipendente sottoposto a procedimento penale, in quanto misura cautelare e interinale, diviene priva di titolo qualora all’esito del procedimento penale quello disciplinare non venga attivato. Il diritto del dipendente alla restitutio in integrum, che ha natura retributiva e non risarcitoria, sorge ogniqualvolta la sanzione non venga inflitta o ne sia irrogata una di natura ed entità tali da non giustificare la sospensione sofferta. L’onere di attivarsi per consentire la tempestiva ripresa del procedimento disciplinare, una volta definito quello penale, grava sull’amministrazione e non sul dipendente pubblico, sicchè non rileva, nè può fare escludere il diritto al pagamento delle retribuzioni non corrisposte durante il periodo di sospensione facoltativa, la circostanza che l’incolpato non abbia tempestivamente comunicato al datore di lavoro la sentenza passato in giudicato di definizione del processo penale pregiudicante”.

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