Una scuola che non boccia è una scuola marcia. Crepet, vogliamo il male di chi abbiamo messo al mondo

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“Tutto quello che è comodo è stupido, scrivetelo nella camera dei vostri ragazzi. E una scuola che non boccia è una scuola marcia”. Lo psichiatra Paolo Crepet parla dei danni che gli adulti e la scuola fanno ai nostri ragazzi.

“Una scuola che non boccia è una scuola marcia. Un quattro in un’interrogazione è per uno studente un’esperienza mistica. E invece…”. E invece “stiamo costruendo una società in cui gli adulti vogliono il male di coloro che hanno messo al mondo. La vera trasgressione oggi è studiare, fare le cose fatte bene”. E invece? E invece “un professore universitario mi ha appena detto che i libri di più di 400 pagine non devono passare. Vuol dire che abbiamo già detto ai nostri figli che non ce la faranno mai”. Non usa mezzi termini lo psichiatra Paolo Crepet, durante la presentazione del suo ultimo libro intitolato “Il coraggio”, edito da Mondadori, per descrivere la gravissima situazione in cui versano le più giovani generazioni. I

l coraggio è quello che tutti, genitori e insegnanti dovrebbero oggi avere, quello di credere in sé stessi, nei propri figli e nei propri allievi, il coraggio che devono insegnare loro per superare le difficoltà di ogni giorno fuori e dentro la scuola, per affermare le proprie idee e le proprie vocazioni, la propria libertà e autonomia, per non rinunciare ai propri sogni e costruire la giusta dose di autostima.

Perché coraggio significa agire sapendo che la propria fiducia nel successo è molto più forte della paura del fallimento. Un insegnamento importante per tutti coloro che hanno a cuore il proprio ruolo di adulti e il destino degli adulti di domani. E invece? “Ho scritto questo libro – spiega Crepet al folto pubblico accorso ad ascoltarlo ieri a Modena – perché sono molto preoccupato. Seriamente preoccupato di questo mondo, di questa terra. Basta andare indietro di una generazione e mezza: pensare al coraggio delle donne e degli uomini che sono riusciti a tirar su l’Italia e le aziende, quando al mercato nero non c’erano nemmeno le patate. Ora che ci siamo riempiti lo stomaco di tortellini le cose sono cambiate.

A un certo punto si è cominciato a pensare che andava bene cosi, che è meglio sdraiarsi e vedere sdraiati i figli sul divano, tanto abbiamo tutto il necessario”. E’ cambiata l’educazione. “Una volta c’erano i genitori inflessibili ed erano diffuse le sberle anche quelle preventive, io stesso ne presi una bella collezione, poi s’è fatta largo una melassa, un’educazione liquida basata sul fà come ti pare, sul se lo fai, bene, altrimenti è uguale”. Crepet sa di toccare le corde delle centinaia di persone che affollano il Forum Monzani di Modena, pieno all’inverosimile com’è facile che succeda ogni volta che ad affacciarsi sulla scena pubblica è uno psichiatra. Roba da preoccuparsi sul serio. Succede oggi e tante altre volte con Crepet, succede con Vittorino Andreoli. La collettività sembra ormai psichicamente ammalata, “milioni di persone si alzano al mattino prendendo l’antidepressivo”, racconta Crepet, “e vanno a letto con le benzodazepine”. Sa di toccare le corde e va sul sicuro, lo psichiatra.

Come un pugile, riempe di montanti l’avversario ma l’avversario applaude, quasi voglia sentirsi dire le cose che sa già per poterle metabolizzare e dimenticare. I pazienti non vogliono cambiare, dirà più avanti lo psichiatra, “sono venuto qui da lei solo per sfogarmi, cambiare la mia vita è faticoso, mi dicono i pazienti quasi sempre”. E lui insiste: ma se voi sapete che ho ragione io e cioè che la Costituzione obbliga sì i genitori a mantenere in vita i figli ma non li obbliga certo a regalare tutte quelle cose che ora invece vi apprestate a regalare a Natale, né li obbliga a dare i soldi al figliuolo per andare a Ibiza con gli amici mononeuronici come lui, o per ubbriacarsi di spritz la sera fino a finire al pronto soccorso, né la Costituzione vieta ai genitori di togliere il telefonino e internet quando non c’è reciprocità, e allora perché continuate a fare tutte queste cose? Io faccio una cosa per il ragazzo solo se il ragazzo fa qualcosa per sè.

Altrimenti, cari signori, è come insegnare che nella vita tutto si può pretendere e nulla si deve dare”. Applausi. Il pugile colpisce, il pubblico applaude. “Se i vostri genitori vi hanno insegnato questo, per l’amor di Dio rispondete a questa domanda: come mai avete smesso di farlo con i vostri figli? Siete sul serio contenti di finanziare gli spritz e la marijuana ai vostri figli? Non sappiamo fare altro? Paghiamo perché camminino a quattro zampe, perché arrivino in coma etilico al pronto soccorso? Vogliamo questo? Il coraggio è quello di togliere, non quello di aggiungere”. Togliere, il nuovo verbo di una possibile rivoluzione culturale e antropologica. “Se a un ragazzino dài tutto, gli hai fatto un danno gravissimo, gli hai tolto il desiderio. Come fai a desiderare quello che hai? Come fai a non crescere depresso? La vita va scoperta. I bambini e i ragazzi sono iperprotetti, e invece devono sperimentare il dolore, le cadute, le delusioni, le frutrazioni”.

E invece? E inevece “in tutti gli asili abbiamo fatto pavimenti antitrauma. Ma perché un bambino deve rimbalzare? Avete un problema con il bernoccolo? Il bernoccolo non è un problema, è anzi opportuno avere il bernoccolo! Occorre cadere dalla bici da piccoli, altrimenti la prima volta che cadi giù a trent’anni ti ammazzi”. E’ una società che angoscia i ragazzi con le angosce che gli adulti hanno per i problemi dei figli. “Ma lasciateli vivere, questi ragazzi. Li ricattate perché li volete far stare in casa con voi a costo che siano sempre interconnessi. Spingeteli ad andare via, a viaggiare, bisognerebbe vedere gli aeroporti pieni di ragazzi e invece sono pieni di anziani. Spingeteli a studiare all’estero, magari scopriranno che i professori hanno tutti un cognome diverso, che non si eredita. Spingeteli a essere curiosi, a voler morire curiosi, a studiare, la vera trasgressione è studiare”. Ci sono tre milioni di ragazzi con meno di trent’anni che non studiano e non lavorano. “Se pensate che saranno in grado di competere in un mondo globalizzato siete degli illusi. Ci sono migliaia di imprenditori terrorizzati all’idea di lasciare la propria azienda di successo ai propri figli, perché sono sicuri che la distruggeranno in poco tempo”.

Non poteva mancare il riferimento alla scuola. “Il 99 percento dei ragazzi agli esami di maturità sono promossi. Cosa puoi fare per essere bocciato? Qualcuno ha un’idea? Non studiare non basta. Un quattro è un’esperienza mistica. E’ un’esperienza meravigliosa. Una volta presi uno. Uno. Mio padre mi stupì. Uno? Beh, fantastico, hai preso più di zero, ma vedi un po’ di recuperare quell’uno se no per te sarà un Vietnam: ciao, ciao ciao. Certo, non sono diventato un matematico, ma vi assicuro che quell’ammonimento mi servì. Una scuola che non boccia è una scuola marcia. Una scuola che insegna il principio che siamo tutti uguali insegna una grande bugia. Uno vale uno? E’ una sciocchezza. Non siamo tutti uguali. Il merito non si acquisisce in cinque giorni. Dov’è il coraggio nel dire che tutti sanno tutto e parlano di tutto? La vera trasgressione è studiare. Fare le cose fatte bene”.

E invece? E invece “non sopportiamo neppure che i nostri ragazzi possano avere il dolore. È importante la malinconia. La malinconia non è il dramma della vita. Quelli che ridono in continuazione semmai sono dei perfetti imbecilli”. E le regole? Il rispetto delle regole e della buona convivenza? Per Crepet un adolescente che non sia inquieto è molto inquietante. Non è sbagliato del tutto non riuscire a stare nelle regole. Essere dei fuoriclasse tante volte sgnifica stare davvero fuori dalla classe. “Stare fuori dalla classe è un posto scomodo ma molto utile”, precisa Crepet che riprende il caso di Laszlo Birò che negli anni ’40 inventò la penna a sfera osservando dalla finestra i compagni che giocavano a biglie e che non lo facevano mai giocare. Le palle entravano e uscivano dalle pozzanghere lasciando dietro di sé una scia. Solo un talento, un fuoriclasse, un osservatore poteva vedere in quelle immagini visionarie la penna a sfera che avrebbe cambiato l’umanità. Come Steve Jobs, abbandonato dai suoi genitori, poi ritrovatosi in un garage con pochi dollari e un’idea geniale fatta di icone.

“Altro che raccomandazioni e fortuna come sento lamentarsi tanti genitori: quale raccomanazione ebbe Birò e Jobs? La loro molla fu la rivalsa: non mi fate giocare e io qualcosa mi inventerò per farmi valere. Era il 1947 e voi oggi che cosa state facendo ai vostri ragazzi? Guardate ai risultati. Volete la società senza sognatori e senza visionari. Abbiamo ucciso l’ambizione quasi fosse un male. Ma se siamo qui è perché ci sono stati dei visionari. La verità è che tutto quello che è comodo è stupido. Scrivetelo nella camera dei vostri ragazzi e magari anche nella vostra. E dite ai vostri figli che se si iscrivono nell’università più vicina anche questo è stupido. Le cose semplici non sono le cose migliori che abbiamo fatto nella vita. La tua vita, caro ragazzo e cara ragazza, non è una maglietta da 9 euro e novanta che dopo tre lavaggi in lavatrice la puoi buttare. La tua vita è un vestito di Valentino fatto apposta per te.

La tua vita è grande”. Come quella dell’amico Renzo Piano. “Renzo Piano mi ha raccontato che da piccolo saliva sul terrazzo del suo condominio, dove le donne portavano il bucato ad asciugare, per guardare l’infinito, nascosto dagli altri condomini che ostacolavano la vista. E mentre lui da piccolo guardava l’infinito, voi invitate i vostri figli a guardare il mondo in un tablet, idea esplicitata anche alla ministra dell’istruzione in una delle sue tante uscite? Ma io dico, se ha vinto Renzo Piano guardando l’infinito dal terrazzo all’ultimo piano, e voi lo sapete che ha vinto lui, mi spiegate perchè mai ai vostri figli fate vedere il mondo dentro quegli aggeggi che vi apprestate a regalare a Natale?”

La verità è che vogliamo male a chi abbiamo messo al mondo. “Già da quando gattonano – conclude Crepet – risolviamo loro tutti i problemi. La verità è che li ricattiamo perché vogliamo che se ne stiano con noi, anche se interconnessi. Insegniamo invece ai nostri ragazzi che vadano in giro”. Non diciamo più ai nostri figli che all’estero c’è brutto tempo e che si mangia male “perché il meglio per i nostri figli non possono essere il meteo.it nè tripadvidsor per le serate al ristorante”

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