Salvare il pianeta Terra: le manifestazioni studentesche del 15 marzo e il compito della scuola

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di Francesco Sirleto docente nel liceo classico e delle scienze umane Benedetto da Norcia, Roma – Mentre scrivo, ho ancora negli occhi le straordinarie immagini delle numerose, partecipate e festose manifestazioni studentesche che si sono svolte questa mattina in centinaia (ma forse migliaia) di città grandi e piccole sparse in tutto il mondo: da Stoccolma a a Tallinn, da Oslo a Londra, da Parigi a Berlino, da Madrid a Roma, da New York a Sidney.

Manifestazioni autoconvocate, spontaneamente organizzate (anche se può sembrare un ossimoro), pacifiche, multiculturali, multilinguistiche, multietniche e aperte da un unico slogan, ripetuto in tutte le lingue del pianeta: “Salvare il pianeta Terra, prima che sia troppo tardi”.

Non si può fare a meno di commuoversi nell’osservare questi bei volti di ragazze e ragazzi, alcuni addirittura bambine e bambini delle elementari, facce di differenti colori e con il medesimo sorriso, voci che pronunciano davanti ai microfoni la stessa, inesorabile e incessante e impellente richiesta, rivolta alle Istituzioni di tutti i Paesi del mondo: “Fate presto, salvate il nostro futuro e quello dei nostri figli e nipoti”.

Non si può non commuoversi, non inorgoglirsi, nell’accorgersi che questi giovani e giovanissimi che sfilano dietro bandiere arcobaleno hanno costruito un ponte ideale (mentre alle frontiere di molti Stati si stanno costruendo o si vogliono costruire muri, barriere, recinzioni, pareti inaccessibili e invalicabili; mentre, in un lontanissimo paese, la Nuova Zelanda, un gruppo di neo-nazisti ha compiuto, poche ore prima, un’orribile strage in nome dell’odio razziale e religioso e della superiorità della razza ariana) che unisce, in una stessa lotta e in un unico obiettivo, le giovani generazioni sparse sulla superficie della Terra; quelle generazioni che non sanno se avranno un futuro e, se anche lo avranno, in quali drammatici e rovinosi aspetti esso si presenterà.

Non si può fare a meno di riflettere, guardando gli zaini che questi ragazzi si portano dietro le spalle, che è dalle loro scuole che essi sono usciti questa mattina, e non perché volessero fare vacanza e andarsene a spasso, ma, al contrario, perché probabilmente è proprio nelle scuole che questi adolescenti hanno imparato quegli strumenti, conoscitivi e critici, che hanno consentito loro di non fermarsi e di non farsi ingannare dal velo variopinto, seducente e inebriante, costruito dalla pubblicità e dalla propaganda per nascondere la triste e angosciante realtà di un pianeta che si muove a gran velocità in direzione del baratro, in direzione di una probabile (se le Istituzioni politiche mondiali non decidono di correre ai ripari e nel più breve tempo possibile) estinzione di ogni forma di vita sulla Terra.
E’ consolante, per tutti coloro che lavorano nella scuola, sapere che i loro alunni – da essi molto spesso giudicati privi di interessi e ormai del tutto dipendenti dai loro costosi dispositivi elettronici e smarriti nei labirinti virtuali degli stramaledetti social – sono, al contrario, persone che hanno a cuore l’avvenire proprio, dei loro coetanei e delle generazioni che li seguiranno.

Ebbene, se i nostri alunni, quelli che hanno sfilato nelle vie e nelle piazze delle nostre città, ci appaiono oggi sotto un aspetto differente dall’immagine opaca e grigia che si era venuta formando nelle menti della maggior parte dei docenti, forse un piccolo merito è anche di questi stanchi, disillusi e frustrati insegnanti quali noi siamo. Il compito di formare menti critiche e cittadini che possano partecipare, con consapevolezza e senso di responsabilità, e che soprattutto possano contribuire al cambiamento, in senso positivo, di un mondo sempre più interdipendente e interconnesso, rimane la missione peculiare di una scuola “aperta a tutti”, ma soprattutto aperta al mondo e al domani comune del pianeta. E’ il compito di una scuola che deve porre al centro della propria azione educativa l’alunno, il suo diritto ad apprendere, il suo diritto a instaurare relazioni positive con i propri simili e con la natura, della salute della quale non possiamo non farci carico.

A questo proposito, per non smentirci e per non tradire quello che consideriamo essere il senso profondo della conoscenza (intesa non soltanto come attività pura e disinteressata, ma anche quale formidabile strumento di cambiamento), vale la pena di concludere citando il filosofo ebreo-tedesco Hans Jonas, allievo di Heidegger (soprattutto di quell’Heidegger che definiva la metafisica occidentale come “oblio” dell’Essere, inteso come fondamento comune di tutti gli enti, un oblio dalle conseguenze catastrofiche, quali quelle manifestatesi nella storia recente dell’umanità) e, in particolare, le quattro formule nelle quali si esprime il suo imperativo etico-ecologico:
• Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana sulla Terra;
• Agisci in modo che le conseguenze della tua azione non distruggano la possibilità futura di tale vita;
• Non mettere in pericolo le condizioni della sopravvivenza indefinita dell’umanità sulla Terra;
• Includi nella tua scelta attuale l’integrità futura dell’uomo come oggetto della tua volontà.
(cit. da Il principio responsabilità. Ricerca di un’etica per la civiltà tecnologica).

Non saprei dire quanti di quei giovani che hanno manifestato questa mattina conoscano il pensiero di Hans Jonas; pochissimi probabilmente. So soltanto che del contenuto e del significato del suo imperativo etico-ecologico, che si esprime nelle succitate formule, essi si dimostrano pienamente consapevoli.

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