“Rivoglio i programmi dell’85 e il rispetto della professione”. Insegnanti alle urne: chi votare alle prossime Politiche?

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Tra i numerosi commenti che mi scrivono gli insegnanti, ve ne sono tanti che pongono esplicitamente la questione del futuro della scuola.

Poiché ci troviamo ormai a ridosso delle elezioni politiche e sapendo che gli insegnanti sono circa un milione con un indotto di almeno due milioni di voti, mi chiedo come possa non interessare avere questo popolo dalla propria parte a urne quasi aperte. Leggiamo pertanto l’impietosa ma veritiera lettera cui si è ispirato questo articolo per poi effettuare le debite riflessioni.

Gentile dottore,

mi sono iscritta alla facoltà di Scienze della Formazione Primaria nel 2002, innamorata di questa professione ed entusiasta del percorso di studi. Poi la riforma Moratti, poi la riforma Gelmini poi…. non ho nemmeno il coraggio di menzionare l’ultimo papocchio! Dopo 9 anni di insegnamento nella scuola primaria mi rendo conto che all’università ho studiato cose che oggi non esistono più. Questa scuola non è quella di cui mi sono innamorata e la professione docente, che devo ricoprire, non è quella per la quale ho studiato sei anni di università. I docenti sono bistrattati, sottopagati, manca il rispetto, la tutela della salute e non solo. Ci hanno tolto la dignità professionale e poi spogliato del nostro ruolo educativo e formativo. Opinione pubblica contro, leggi contro, dirigenti…. no comment. Non siamo tutelati. Io personalmente rivoglio i programmi dell’85. Rivoglio l’educazione di bimbi e genitori e il rispetto verso la nostra figura e il nostro lavoro. Questa scuola la stanno distruggendo e a me non piace più…

Direi che questa docente, meglio di chiunque altro, ha sintetizzato lo sfascio attuale della scuola che è divenuta terra di scontro, di lotta senza quartiere, un drammatico tutti contro tutti. Il passato prossimo, con le riforme Moratti e Gelmini (non è citata quella Berlinguer solo perché la docente è troppo giovane) rappresenterebbe il degrado, mentre il presente, con l’innominabile “Buona Scuola” e i suoi algidi algoritmi e chiamate dirette, costituirebbe il colpo di grazia all’Istruzione. E’ pur vero che le riforme evocano sempre una risposta anticorpale del sistema, una vera e propria resistenza al cambiamento ma, in questa rivoluzione copernicana perenne e incompiuta, non sembra salvarsi nessuno per i risultati nefasti impietosamente enunciati dall’insegnante: perdita di rispetto e prestigio dei docenti, bistrattati, sottopagati, opinione pubblica contro etc. Resto tuttavia convinto che in ciascuna di queste riforme – a eccezione di quella previdenziale dello sciagurato governo tecnico Monti/Fornero – ci sia stato senz’altro qualcosa di buono, ma allora che cosa non ha funzionato fin da principio nella classe politica che pretendeva, ora da destra, ora da sinistra, di cambiare il sistema scolastico? La risposta è semplice: la nessuna credibilità dei governanti, chiunque essi fossero. Come riparare a siffatto inconveniente riconquistando attendibilità? Vediamo prima come si presenta lo scenario politico attuale in vista delle prossime elezioni e poi cerchiamo di dare una soluzione pratica.

Per semplificare il ragionamento prenderò in considerazione tre schieramenti elettorali (centrosinistra, centrodestra e M5S) e andrò a valutare il loro comportamento e le loro recenti dichiarazioni inerenti la politica scolastica:

Centrosinistra: dopo la cosiddetta Buona Scuola, il suo mentore ha recentemente dichiarato che il fallimento della sua riforma è da attribuirsi all’incapacità di comunicare la svolta epocale che la riforma stessa avrebbe apportato all’istruzione. In altre parole la colpa dell’insuccesso sarebbe da attribuirsi all’agenzia incaricata della comunicazione. Che la suddetta agenzia abbia effettivamente sopravvalutato i docenti ritenendoli troppo arguti? Forse le cose stanno così per l’estensore della riforma poiché sorprendentemente non solleva alcuna autocritica sulla sua “creatura”. Ma veniamo ora ora all’attuale titolare del MIUR e alla sua recente proposta di ridurre a quattro gli anni di studio delle superiori. Desumiamo da ciò che il governo non attribuisce la benché minima importanza tanto ai titoli di studio quanto al tempo trascorso a scuola: questa può pertanto essere inopinatamente ridimensionata, se non proprio abolita. Non possiamo infine non ricordare la scellerata vicenda previdenziale, nota alle cronache sotto il nome “Q96” che, iniziata sotto il governo Monti, è stata perpetuata dal centrosinistra con la conseguente ira di migliaia di suoi elettori insegnanti presi a pesci in faccia. E per concludere sarebbe curioso sapere cosa ha votato il popolo docente al recente referendum costituzionale che è stato “personalizzato” dal presidente del consiglio poi uscitone disarcionato. Esercizio utile per comprendere il peso della Scuola nelle urne.

Centrodestra: l’ultima volta che questo schieramento parlò compiutamente di scuola, erano i tempi del famigerato slogan delle “Tre i: internet, impresa e inglese”. Servì effettivamente a vincere le elezioni, ma il seguito non fu né onore né gloria. Di recente però il centrodestra è riuscito a superarsi, rispolverando il trito e logoro stereotipo dello “scandalo” rappresentato dai tre mesi di vacanza all’anno degli insegnanti: “Un’ingiustizia – secondo il più accreditato leader dello schieramento – cui necessita porre immediatamente rimedio”. Come alienarsi le simpatie del mondo della scuola con una sola infelice battuta.

M5S: l’unico punto del programma di questo schieramento che riguarda la scuola, prevede l’abolizione della L 107/15 (la Buona Scuola appunto) in caso di vittoria alle prossime elezioni. Decisamente troppo poco presentarsi col solo proposito di distruggere il lavoro dell’avversario. Avere la faccia pulita è condizione essenziale ma non sufficiente: occorre sapere essere anche competenti in materia e propositivi.

Di fronte a questo scenario davvero poco edificante ci chiediamo con quale voglia e convinzione si recheranno alle urne i docenti coi loro familiari, sperando che le cose cambino in fretta e senza perdite di tempo. Ma come può avvenire ciò? Gli schieramenti politici hanno un solo modo: agire sulla propria credibilità ripristinando innanzitutto la verità sulla professione docente. Da subito, se ambiscono a divenire forza di governo, dovranno dimostrare di possedere idee chiare attivandosi nella tutela della professionalità dei docenti e della loro salute nel seguente modo:

  1. Avvio di studi epidemiologici osservazionali su malattie professionali dei docenti
  2. Riconoscimento ufficiale delle malattie professionali (psichiatriche all’80%)
  3. Riconoscimento dell’insegnamento come lavoro usurante
  4. Revisione del sistema previdenziale per gli insegnanti in base a malattie, età, servizio
  5. Allineamento delle retribuzioni alla media UE
  6. Presentazione periodica annuale dello stato di salute dei docenti all’Opinione Pubblica per porre fine a insulsi stereotipi e ristabilire la verità nell’interesse del ruolo istituzionale dell’insegnante a vantaggio della società intera.

Sarà questo il modo migliore per vincere le elezioni e commemorare, come davvero si conviene, il cinquantenario del ’68. Ci sarà qualcuno con cui collaborare che vorrà dare ascolto agli appelli lanciati invano agli ultimi cinque ministri da questa testata? Speriamo di sì, altrimenti alla Scuola non resterà che comportarsi come la Famiglia (anch’essa intesa come istituzione) che, rimasta orfana di rappresentanti politici, si presenterà autonomamente alle prossime elezioni col Popolo della Famiglia. E se mai nascesse anche il “Popolo della Scuola” sarebbe giocoforza auspicabile un’alleanza tra i due movimenti in virtù del loro ruolo esclusivo di agenzie educative complementari. Sono i genitori e gli insegnanti ad aver reso grande la nostra società, evolutasi e cresciuta grazie al succedersi armonico delle generazioni. Per quanto ancora assisteremo passivamente alla sistematica distruzione istituzionale di Scuola e Famiglia incitate per giunta a scontrarsi tra loro? Fantapolitica? Forse, ma a questo punto, pur di non rassegnarsi, diviene lecito anche sognare un ritorno alle origini, proprio come suggerisce l’insegnante nella sua lettera.

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