Riduzione un anno scuola superiore, meno tempo per imparare a vivere convivendo. Lettera

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Il dibattito che precede e segue la sperimentazione sulla scuola secondaria di 4 anni deve essere contestualizzato in chiave astratta, sul piano della coerenza con i principi costituzionali, in chiave empirica, sul piano dei riferimenti storici e contemporanei di esperienze in qualche modo simili.
Ma prima di iniziare una qualsiasi cosiddetta polemica, e’ bene chiedersi anche perché e a chi giova abbreviare il percorso di studi.

Teniamo presente che abbiamo un numero molto elevato di NEET, ovvero di giovani che abbandonano gli studi per poi rinunciare anche a cercare un lavoro, mentre dall’altro lato abbiamo meno delitti violenti e meno ghettizzazione e violenza razziale e religiosa che in altri paesi europei simili al nostro per dimensioni, storia e cultura.

( http://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/Archive:Crime_statistics/it)

Considerando il tema della scuola italiana in chiave storica va ricordato che la scuola popolare, rifugium peccatorum per i figli dei contadini che sfornava studenti ignoranti , e ‘stata gia’ al centro di aspre polemiche dopo la riforma Coppino del 1871 e quella Orlando di inizi novecento, polemiche che sono sfociate nella riforma Gentile, che con il doppio canale ha introdotto una scuola per la formazione delle elite (i licei) accanto ad un’altra di second’ordine per i mestieri .

Ancora oggi ci sono molti nostalgici di questo modello che sicuramente ha formato persone di valore, ma che aveva connotati di fortissima selettivita’ e di chiusura alla mobilita’ sociale.

Va ricordato che la societa’ chiusa alla mobilita’ sociale e l’economia corporativa fascista non hanno prodotto ne’ i tanto sbandierati successi militari che propagandavano, ne’ lo sviluppo industriale che si voleva, giacche’ l’industria e la societa’ italiana erano comparativamente piu’ arretrate alla fine degli anni 30 che non a cavallo della grande guerra, come gli eventi bellici e le persecuzioni razziali dimostrano ; inoltre il boom economico degli anni 60 e 70 non e’ stato costruito nella societa’ fascista, ma nella societa’ aperta al sogno “americano” , dove il figlio dell’operaio aspirava e poteva riuscire a diventare medico e quando il freno allo sviluppo economico e sociale venivano piu’ dalle chiusure di una scuola ingiustamente selettiva che dalle carenze dei giovani.

Precisato quindi che il concetto di scuola aperta a tutti, sancito dalla Costituzione, ha tanto piu’ valore quanto piu’ e’ applicato in profondita’, all’interno della societa’, se ci accostiamo al tema della scuola in ltalia in chiave empirica, dobbiamo ricordare anche i primati che essa puo’ vantare.

Tra questi spicca l’inclusione dei disabili, che e’ stata introdotta nel nostro ordinamento scolastico con la legge 117 del 1971 e con la 517 del 1977 per arrivare alla 104 del 1992.

Su questa scia molto si e’ lavorato e molto si dovra’ fare, nelle scuole italiane, per una cultura dell’integrazione e del rispetto dell’altro.

Certo che se si da sempre per scontata l’equazione giovani ignoranti=scuola che non funziona, allora perche’ non confermare anche quella societa’ con meno violenza=scuola che educa alla convivenza?

Insomma , se ci sono problemi di abbandono e di dispersione scolastica e’ piu’ probabile che essi derivino dalle disuguaglianze che ci sono nella societa’ che non dalla scuola stessa, ma in ogni caso l’accento nella scuola va posto sull’ integrazione, cioe’ sulla capacita’ di dar valore ai talenti di tutti, anche a quelli nascosti, lavoro che si riesce fare solo in un ambiente inclusivo dove , lavorando accanto agli studenti piu’ capaci e piu’ rapidi , gli altri abbiano percezione dei loro limiti e possano decidere di inseguire e dove non si cerca di costruire una anacronistica elite di patrizi , ma si mira ad elevare tutti.

Infine una considerazione basata sull’esperienza professionale di chi scrive: abbreviare di un anno il percorso di studi permettera’ ad alcuni di arrivare prima all’universita’, ma dara’ meno tempo a tutti per approfondire, per recuperare e per fare quell’attivita’ che e’ in fondo la ragion d’essere della scuola pubblica: imparare a vivere convivendo.

Prof.Michele Partesotti

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