Rembado. No a dirigenti che tornano in cattedra. Sceglieranno docenti su esperienze e competenze

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Nessuno sa ancora bene la fine che la Buona Scuola farà fare ai dirigenti che, al termine dei loro incarichi triennali, riceveranno una valutazione negativa sul loro operato.

Nessuno sa ancora bene la fine che la Buona Scuola farà fare ai dirigenti che, al termine dei loro incarichi triennali, riceveranno una valutazione negativa sul loro operato.

Eppure il ministro Giannini nei giorni scorsi ha offerto una suggestione su cui in pochi, anche tra i più ingenui, avrebbero scommesso, paventando per loro un ritorno all’insegnamento. Giorgio Rembado, Presidente dell’ANP, ci ricorda in questa intervista che la grande svolta per la dirigenza scolastica è avvenuta nel momento in cui ne sono state riconosciute le specifiche competenze gestionali, proprio nella direzione opposta a quella tracciata dalla lapidaria battuta del ministro.

Incarichi triennali e giudicati sui risultati. Secondo indiscrezioni raccolte dalla nostra redazione, chi non raggiungerà gli obiettivi sarà spostato in altra scuola e il Ministro ha parlato di “ritorno in cattedra”. Si aspettava un’uscita del genere?

“Premetto intanto che la valutazione dei risultati dell’azione dirigenziale mi trova totalmente d’accordo, è la strada giusta per premiare le migliori performance e per dare un senso alla retribuzione di risultato che fino ad oggi è stata simbolica. Trovo, invece, irrazionale pensare a un’azione dirigenziale ‘a corrente alternata’, da svolgersi in un periodo circoscritto al termine del quale tornare in cattedra, un’idea che, tra l’altro, contrasta in maniera stridente con il principio di competenza. Se la battuta del ministro non restasse estemporanea e si traducesse in una proposta concreta, incontrerebbe la nostra netta opposizione, visto che per anni abbiamo lavorato intensamente alla creazione di una cultura dirigenziale nel mondo della scuola. Tra l’altro, vorrei far rilevare che un progetto del genere contrasterebbe con l’articolato complessivo della Buona Scuola, che vede un rafforzamento dei compiti spiccatamente dirigenziali dei capi di istituto, per i quali sarà necessario un ulteriore livello di formazione in servizio. Riguardo a questo, vorrei sottolineare l’urgenza di formare e valorizzare in maniera adeguata i docenti collaboratori del dirigente, prevedendo per loro diversificati livelli di carriera. Sappiamo bene che oggi questo management intermedio nelle migliori scuole già c’è, ma siamo ben lontani dal riconoscergli il giusto peso, visto che per lo più si tratta di volontariato”.

Almeno, però, finora i membri dello staff di dirigenza potevano essere sollevati da una parte degli incarichi didattici. Che cosa pensa succederà a settembre, visto che gli esoneri non sono più previsti?

“Non sarà facile, dobbiamo ricordarci delle numerose reggenze, con dirigenti che hanno, quindi, la responsabilità di due istituti, ma anche degli istituti di titolarità che necessitano di un supporto professionalmente qualificato e destinato a compiti di organizzazione del servizio. Avere tolto gli esoneri rappresenta un passo nella direzione contraria a quella che indicavo prima: anziché riconoscere il ruolo, sempre più importante, dei collaboratori, lo si depotenzia”.

Prenderebbe in considerazione la proposta di distinguere il ruolo della dirigenza da quello della presidenza? Dove il dirigente è un professionista che ha superato un concorso e che dirige una rete di scuole da un punto di vista amministrativo, mentre il preside è un docente eletto dai suoi pari e si occupa esclusivamente della didattica?

“Ritengo di non poter condividere questa impostazione perché partirebbe da una distinzione tra le competenze di carattere gestionale e quelle legate alla didattica. Il grande passo in avanti che la dirigenza della scuola, dal suo concepimento alla fine degli anni ’90, ha compiuto è stato proprio nell’affermazione della consustanzialità dei due tipi di responsabilità, in maniera che siano riconducibili ad un’unica persona. Altra cosa è ritenere fondamentale, e rimando a quando dicevamo prima, l’individuazione di figure di supporto all’organizzazione della didattica, che devono essere preparate, motivate, riconosciute”.

Il DDL di riforma vi assegna dei poteri non indifferenti, dalla scelta dei docenti alla responsabilità del piano dell'offerta formativa. Avete anche l'ultima parola, non appellabile, sull'assunzione dei docenti dopo l'anno di prova. Sicuri di volere tutta questa responsabilità?

“Tanto per cominciare, bisognerà vedere se alle responsabilità corrisponderanno poteri adeguati, visto che è sempre in agguato nel nostro Paese il pericolo del corto circuito: creiamo dei modelli organizzativi perfetti sulla carta che poi, però, non vengono sostenuti con risorse e investimenti adeguati. In questo caso, il documento legislativo parla di una figura che coadiuvi il lavoro del dirigente, un docente tutor cui spetterà il compito di preparare un’istruttoria sul lavoro svolto dal docente neoassunto su cui poi il dirigente dovrà avere l’ultima parola. Il carico di lavoro e di responsabilità mi pare, in sostanza e giustamente quindi, condiviso”.

Nella sua esperienza da preside prima e da dirigente scolastico poi, le è mai capitato di dover confermare in ruolo docenti su cui nutriva in fondo delle perplessità e che magari, con i nuovi poteri di cui parla il ddl, avrebbe potuto, invece, allontanare dall’insegnamento?

“Probabilmente sì, ma non così di frequente come invece, dall’esterno della funzione, si potrebbe credere. Anche perché ci sono sempre stati poteri di intervento come la formazione in servizio, il supporto dei docenti esperti, i consigli di classe. Importante è che si mettano in atto strumenti per far diventare l’anno di prova un anno di formazione. In un contesto rinnovato come quello che la Buona Scuola prospetta, i maggiori poteri del dirigente devono essere finalizzati al miglioramento delle performance dei docenti”.

Per quanto riguarda la scelta dei docenti, se i dirigenti migliori che lavorano nelle scuole migliori si accaparreranno i docenti migliori, non si rischia di concentrare dirigenti mediocri in scuole mediocri con docenti mediocri?

“No, non vedo il pericolo di questa antitesi perché i dirigenti sceglieranno i docenti in base alla coerenza delle loro esperienze e delle loro competenze con gli obiettivi della propria struttura. Fino ad oggi tutto questo è mancato: un docente individuava la scuola di destinazione per interessi più personali che professionali e, pertanto, alle scuole non è mai stato possibile far combaciare le potenzialità delle proprie risorse umane con gli obiettivi perseguiti dal POF. Non ci sarà, quindi, se è questo quello che paventa, una prima scrematura in cui saranno scelti i docenti migliori, ma si cercherà in primo luogo di far convergere gli obiettivi della scuola e le competenze dei docenti".

A che punto siamo con il concorso 2015? Le notizie che abbiamo ci danno il regolamento in stallo a causa delle pendenze in Toscana e Campania. Ha notizie diverse? Ulteriori ritardi rischiano di mettere in difficoltà molte scuole …

“Non ho notizie ufficiali, ma quello che sta succedendo è ancora una volta sintomatico di ciò che avviene spesso in Italia: abbiamo un regolamento che, pur stentando a uscire, ha innovato profondamente la disciplina in materia di assunzione e formazione dei dirigenti, ma già parliamo di nuove modifiche, la riforma della riforma. Un metodo di lavoro che non riesco ad accettare e a comprendere, visto che crea solo confusione ostacolando una corretta e regolare gestione del servizio”.

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