Regionalizzazione, col via libera al progetto leghista 226 mila docenti, Ata e presidi passeranno alle regioni

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Comunicato Anief – Si parla tanto di regionalizzazione, richiesta da tre regioni settentrionali, poco degli effetti chi si determinerebbero qualora il progetto leghista andasse in porto.

Nella scuola, che si sta dimostrando compatta contro questa eventualità, una delle prime conseguenze ricadrebbe sul personale: con il “regionalismo differenziato – scrive oggi Tuttoscuola – un dipendente scolastico su 5 potrebbe passare alle Regioni”, perché “se verrà confermato l’integrativo contrattuale di 400 euro mensili di cui si parla, è facile prevedere che nei prossimi anni vi sarà un esodo di massa di dirigenti scolastici, docenti e Ata dallo Stato alle Regioni. Marcello Pacifico (Anief): Il progetto va bloccato, perché incrementerebbe il gap Nord-Sud, oltre ad essere di natura incostituzionale, come già rilevato dall’Anief, e peraltro già bocciato dai giudici

Prende consistenza l’esodo del personale dallo Stato alle Regioni nel Lombardo-Veneto: nella scuola, dopo la conclusione del concorso in atto, i dirigenti scolastici della Lombardia dovrebbero essere 1.129 e 572 quelli del Veneto, per un totale di circa 1.700 unità. I docenti (di ruolo e non) su posto comune per tutti gli ordini di scuola dovrebbero essere 94.846 in Lombardia e 48.117 in Veneto, per un totale di circa 143.000 unità. A questi docenti si dovrebbero aggiungere quelli di sostegno (di ruolo e non): 22.768 in Lombardia e 9.346 nel Veneto per complessive 32.100 unità (destinate ad aumentare in futuro).

I NUMERI DI CHI POTREBBE PASSARE DALLO STATO ALLE REGIONI

Vanno anche considerati i docenti di religione cattolica (di ruolo e incaricati) che attualmente sono circa 3.600 in Lombardia e 1.926 in Veneto per un totale di 5.500 unità. Va considerato anche il personale Ata, a cominciare dai Dsga che, per effetto del concorso in atto, dovrebbero essere circa 1.132 in Lombardia e 579 in Veneto, per un totale di circa 1.700 unità. Infine, il restante personale Ata dovrebbe essere di circa 28 mila unità in Lombardia e di 14.700 in Veneto per un totale di circa 42.700 unità. Complessivamente, per quanto riguarda le due regioni, potrebbero chiedere di lasciare lo Stato per diventare dipendenti regionali circa 226.700 persone tra dirigenti scolastici, docenti e personale ATA, pari al 22% dell’intero personale scolastico statale (quantificato oggi in un milione e 33 mila unità): non meno di un dipendente scolastico su cinque potrebbe lasciare lo Stato.

LA PROTESTA

Sinora, contro queste ipotesi, i sindacati si sono mossi con un manifesto unitario. Anief ha aderito agli scioperi di Unicobas, del prossimo 27 febbraio, e dei Cobas, nel giorno della festa della donna, l’8 marzo. Sulla necessità di bloccare il processo di regionalizzazione di diverse competenze e servizi pubblici essenziali, come la scuola e la sanità, però c’è anche l’opposizione del M5S, che la scorsa settimana, con un’impennata d’orgoglio ha creato le condizioni per un blocco politico del provvedimento: una posizione che sembra voglia portare avanti almeno sino alle elezioni europee.

Come anche riferito da Il Corriere della Sera, nel Governo si è innescata una contrapposizione tra Nord leghista e Sud grillino, con i gruppi di Camera e Senato del M5S che hanno diffuso un report costi-benefici dell’autonomia regionale: “Il ruolo del Parlamento è a rischio. No a cittadini di serie A e di serie B. No alla secessione dei ricchi”, hanno tenuto a dire i deputati pentastellati. E così, in un gioco di specchi”, il vice-premier della Lega Matteo Salvini ha prima cercato di rassicurarli, inutilmente, per poi annunciare un «vertice politico» con Conte e Di Maio, che si dovrebbe svolgere questa settimana.

Il COMMENTO DEL PRESIDENTE ANIEF

Secondo Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, “questo progetto va assolutamente bloccato, perché incrementerebbe il gap Nord-Sud, a partire dall’Istruzione e dalla Sanità. Quindi alla sua natura incostituzionale, come già rilevato dall’Anief, peraltro già bocciata dai giudici, si aggiunge questo aspetto che creerebbe forti discriminazioni territoriali, con il rischio concreto di ritrovarsi in una condizione socio-economica e dei servizi offerti sempre peggiore. Peraltro, a discapito di regioni, quelle meridionali, che dallo Stato negli ultimi decenni hanno ricevuto molte meno risorse.

“Come se non bastasse – continua Marcello Pacifico – si andrebbe incontro a un bailamme sugli organici, con posti di lavoro statali passati alle regioni, che andrebbero a ledere il diritto a ricoprirli da parte di chi non opterà per tale collocazione. E questo andrebbe a determinare ulteriori contenziosi sulla mobilità professionale, su cui già pesano le sentenze n. 242/2011 della Consulta, che hanno bloccato le nuove norme proposte dalla provincia autonoma di Trento, in riferimento all’art. 92, c. 2bis della legge 5/2006”.

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