Processi per Presunti Maltrattamenti a Scuola: 32 maestre indagate, sentenze e risarcimenti. Difesa in difficoltà

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Nel 2019 siamo già arrivati a 18 indagini per Presunti Maltrattamenti a Scuola (PMS) per un totale di 32 maestre indagate.

Stanno inoltre arrivando alla spicciolata le sentenze di primo grado: assoluzioni col contagocce, poche condanne con pene ridotte e numerose sentenze esemplari che, in certi casi, arrivano a superare persino i 4 anni di reclusione. Infine, condanne a risarcimenti da capogiro a favore delle famiglie costituitesi parte civile (anche oltre i 160.000 euro).

Da una prima impressione sembra che gli avvocati difensori siano in difficoltà di fronte a una pubblica accusa forte anche del plauso dell’Opinione Pubblica perché “i bambini non si toccano e le streghe vanno messe al rogo”. Eppure, occorre una riflessione più approfondita per ricercare i motivi di una simile débâcle che presenta verosimilmente ulteriori cause come quelle di seguito enunciate:

  • anche gli avvocati, alla stregua degli inquirenti, non hanno familiarità col “pianeta scuola” e rientrano tra i cosiddetti “non addetti ai lavori”. Chiamati a trattare di educazione, insegnamento e pedagogia hanno prevedibili difficoltà. Per meglio comprendere il professionista-cliente che si trovano ad assistere, è bene che leggano innanzitutto le competenze necessarie per divenire insegnanti enunciate dall’art. 27del CCNL del Comparto Scuola;
  • la stessa dimensione organizzativo-gestionale della scuola è a loro sconosciuta, prova ne sia il non chiamare praticamente mai in causa il dirigente scolastico (DS) il cui compito di tutelare tempestivamente l’incolumità degli alunni rappresenta invero la principale incombenza medico-legale, molto prima che debba eventualmente intervenire l’Autorità Giudiziaria (AG). Il DS ha inoltre un altro compito fondamentale quale quello di tutelare la salute dei docenti. Tale incombenza è oltremodo importante per l’elevata usura psicofisica delle helping profession di cui gli insegnanti rappresentano la più eloquente espressione. I PMS, laddove comprovati, possono pertanto essere, almeno in parte, dovuti allo Stress Lavoro Correlato di cui non è fatta la prevenzione di legge prevista dall’art.28 del DL 81/08. I dati disponibili sembrano confermare la circostanza poiché l’età media delle maestre a oggi indagate è di 56,4 anni con un’anzianità di servizio superiore ai 30;
  • i legali possiedono una visione a cannocchiale dei PMS che consente loro di focalizzarsi solo sul caso da loro difeso senza comprendere l’essenza di un fenomeno in crescita, a genesi multifattoriale, e verosimilmente legato anche alle recenti riforme previdenziali, all’anzianità di servizio e all’elevata età anagrafica di una professione riconosciuta da poco (maestre della Scuola dell’Infanzia) come gravosa e psicofisicamente usurante;
  • nonostante i punti precedenti gli avvocati sembrano restii ad avvalersi di Consulenze Tecniche di Parte (anche se in talune circostanze la via è stata loro preclusa dal giudice);
  • di fronte a una Pubblica Opinione ostile e una gogna mediatica impietosa, preferiscono adottare una strategia di riduzione del danno piuttosto che una vigorosa difesa della professionalità del proprio assistito;
  • la scelta del rito (patteggiamento, abbreviato, ordinario) è logicamente condizionato da budget limitati quali quelli di cui notoriamente dispongono gli insegnanti.

A fronte del fenomeno dei PMS, con le dinamiche che lo contraddistinguono e che abbiamo imparato a conoscere, gli avvocati che si trovano a difendere gli insegnanti possono ponderare alcuni passaggi fondamentali prima di scegliere la linea di difesa più idonea al caso in esame:

  • considerare attentamente i limiti dei metodi d’indagine adottati nella scuola dalla AG: pesca a strascico con telecamere nascoste senza limiti di tempo; inquirenti “non addetti ai lavori”; montaggio di trailer con videoclip estrapolate e dunque decontestualizzate; selezione esclusivamente “avversa” (negativa) delle videoclip; drammatizzazione delle trascrizioni degli atti; concetto arbitrario ed empirico di “abitualità” riferito ai maltrattamenti agiti. A solo titolo d’esempio si consideri il fatto che solitamente la somma delle videoclip contestate ammonta allo 0,1-0,2% di tutta l’audiovideoregistrazione (spesso superiori alle centinaia di ore), mentre il restante 99,8% non è tenuto dagli inquirenti in minima considerazione ai fini della valutazione del comportamento professionale dell’insegnante indagato, né verrà mai verosimilmente visionato per intero dai giudici trattandosi di centinaia di ore di registrazione. Per ricorrere a un’analogia, si può affermare che, della vita professionale di una maestra, rappresentata da un fotoromanzo di 1.000 immagini, si scelgono solo i 2 scatti più squalificanti e da quelli si giudica l’operato professionale dell’insegnante, ignorando completamente le altre 998 foto. A parlare chiaro in proposito è il principio di diritto della Suprema Corte che recita: “In tema di maltrattamenti il giudice non è chiamato a valutare i singoli episodi in modo parcellizzato ed avulso dal contesto, ma deve valutare se le condotte nel loro insieme realizzino un metodo educativo fondato sulla intimidazione e la violenza… attuata consapevolmente anche per finalità educative astrattamente accettabili” (Cass. Sez. 6 n. 8314 del 25.06.96). Ma anche il Tribunale del Riesame di Quartu, trattando un caso di PMS del 2017 era stato altrettanto esplicito quando, dopo aver visionato integralmente i filmati, era giunto a sospendere i provvedimenti interdittivi, nei confronti della maestra, motivando il provvedimento nel seguente modo:

i singoli episodi non possono essere “smembrati” per ricavare dall’esame di ciascuno di essi la sufficiente gravità indiziaria;

gli episodi acquistano una diversa valenza se avulsi dal contesto di un’intera giornata di lezione della durata di 5 ore in un contesto quotidiano e mensile;

le condotte della maestra, lungi dall’integrare il ricorso a sistematiche pratiche di maltrattamento, possono invece ricondursi allo svolgimento dell’attività di docenza;

l’esame integrale dei filmati induce altresì ad escludere il fumus del reato di abbandono di minori contestato alla maestra;

laddove il tono di voce della maestra risulta innegabilmente alterato, va considerata l’episodicità (pochissimi i file audiovideo incriminati rispetto ai quasi 1.000 prodotti);

l’esame del materiale non consente di ritenere che la condotta della maestra integri la soglia del penalmente rilevante, connotandosi al più come espressione di discutibili metodi didattici che esauriscono la loro censurabilità in ambito disciplinare”;

    • sottolineare il paradosso educativo per il quale oggi il genitore chiede al bimbo prescolarizzato come si comporta la maestra, anziché l’inverso, come è stato da sempre;
    • non dare mai per scontate le affermazioni dei bimbi e dei genitori “de relato” e rammentare che turbe psichiche, lesioni fisiche (quali graffi, lividi, ecchimosi, abrasioni etc) possono essere prodotte nella piccola utenza non solo a scuola ma anche a casa, tra fratelli, amichetti, compagni o in altra circostanza;
    • fare sempre presente che il rapporto insegnante-alunno può arrivare a essere di 1:29 e necessita di interventi tempestivi che talvolta divengono obbligatoriamente spicci e risolutivi: la responsabilità “in vigilando” su tutti i piccoli utenti non si interrompe mai gravando sul docente ogni momento;
    • rammentare (a tutti) che rimproveri e richiami sono indispensabili per la crescita dei piccoli e soprattutto per i cosiddetti “bimbi onnipotenti” quando si comportano da “monelli”. Saper dire i “no” che aiutano a crescere (e non a mortificare) è compito specifico dell’insegnante che, come nessun altro, conosce i bambini e la loro storia familiare. Riaffermare che i rimproveri non sono comportamenti professionali facenti parte esclusiva di una “lista nera”, ma talvolta atteggiamenti professionali necessari, se non indispensabili, al momento opportuno;
    • considerare che l’insegnante ha il dovere di contemperare i tanti e diversi stili educativi (almeno quanti sono i ragazzi) esercitando un paziente e professionale lavoro di sintesi; rammentare inoltre che è l’ambiente familiare, di fatto, il luogo più pericoloso per il minore: stando alla cronaca, a scuola avvengono al più maltrattamenti, mentre i gravi fatti di sangue hanno sempre ed esclusivamente luogo tra le mura domestiche;
    • resistere alla tentazione di ricorrere alla presentazione di scuse ufficiali, alla stesura di lettere per fare ammenda, alle ammissioni di responsabilità o alle proposte di risarcimenti alle famiglie. Chi ha cercato di perseguire la via della “ riduzione del danno” ha finora ottenuto solo inasprimenti delle pene e “l’assalto alla diligenza” da genitori che si sono costituiti parte civile per ottenere tanto ingiustificati quanto allettanti risarcimenti;
    • avvalersi di consulenti di parte che sappiano valutare le circostanze senza dare per scontata e acquisita ogni affermazione dell’accusa priva di riscontro (“clima di terrore nell’aula” non comprovato; “reiterate e violente percosse” non certificate; “azioni intimidatorie” inesistenti etc).

 

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