Perquisizione studenti, si rischia fino ad un anno di carcere

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A volte, anche in buona fede o perché accecati dal sentimento impulsivo, si possono compiere atti non solo diseducativi e deleteri ma anche che possono avere delle conseguenze pesanti.

Alcune maestre di una scuola elementare, unitamente all’insegnante fiduciaria e al dirigente scolastico, avevano eseguito perquisizioni personali sugli alunni di alcune classi.

Veniva contestato loro di aver agito in concorso e nelle ricordate qualità di aver costretto gli alunni a restare in slip e canottiera, mediante minaccia consistita, sia nel condurre gli alunni a due alla volta all’interno del locale utilizzato dal personale scolastico e nell’intimare loro di togliersi i vestiti, nonchè, nel sorvegliare, intimando loro di stare zitti, gli alunni rimasti nel corridoio in attesa di entrare in tale locale ed ivi facendoli entrare due alla volta.

Veniva contestato in particolar modo il reato di perquisizione ed ispezione personale arbitraria, il pubblico ufficiale, che, abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni, esegue una perquisizione o una ispezione personale è punito con la reclusione fino ad un anno, nonché il delitto di violenza privata, chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare, od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni.

In fase di Appello la Corte confermava l’assoluzione per un capo di reato ritenendo l’insussistenza della prova della piena consapevolezza dell’illiceità delle condotte di perquisizione degli zaini e delle tasche dei vestiti degli alunni, mentre, in parziale riforma della decisione di primo grado, le imputate venivano condannate per un capo di reato riqualificato all’interno del paradigma dell’art. 609 c.p., rilevando che la condotta consistita nel fare spogliare gli alunni non poteva in alcun modo essere ricondotta, a differenza di quella di cui al capo precedente nell’ambito dei poteri spettanti alle insegnanti di un istituto scolastico.

Il giudizio giungeva alla Cassazione, la quale pur se accoglieva le istanze di una ricorrente perché il fatto non l’aveva commesso, per una seconda ricorrente invece confermava la condanna della Corte d’Appello di Genova. Osserva la Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 18-07-2013) con la Sentenza del 27-11-2013, n. 47183 che non è dato cogliere alcun vizio motivazionale, nell’avere la sentenza impugnata escluso la consapevolezza dell’illiceità della condotta quanto all’attività di verifica dei beni degli alunni, per invece ravvisarla in un comportamento che, incidendo sulla dignità e la riservatezza personale degli stessi, si connotava in termini di ben diversa gravità, immediatamente percepibile anche da parte di chi poteva, in relazione al primo segmento di condotta, avere erroneamente ritenuto di agire all’interno dei poteri disciplinari finalizzati ad un retta comportamento scolastico.

L’invocata unitarietà tra l’attività di perquisizione dei beni e quella di ispezione degli alunni può cogliersi sul piano finalistico dell’obiettivo perseguito, ma non su quello, qui rilevante, della materialità della condotta (non casualmente diversificata anche all’interno del paradigma di cui all’art. 609 c.p.) e della natura dei beni sacrificati.

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