Perché il pedagogista nella scuola? Riflessioni sulla questione del Liceo Virgilio

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Quali responsabilità ha la Dirigente scolastica che – a detta dei ragazzi – si recava nella scuola due volte alla settimana? Troppo poco per stabilire relazioni efficaci con la vita che scorre in quei corridoi! Chi dice la verità? Perché un tetto della scuola crolla… e se ci fossero stati i ragazzi? Qual è la vera emergenza? Perché bisogna parlare solo di emergenze? Perché i capri espiatori continuano ad essere ora gli studenti, ora i dirigenti, ora i docenti, ora i genitori?

Si continua a parlare del bisogno di Educazione, dei suoi scopi, anche se già J. Dewey, a suo tempo, aveva sostenuto che l’unico scopo dell’educazione è l’educazione stessa. Si coglie una sorta di incoerenza concettuale: che cosa intendiamo per “Educazione”? Siamo certi di condividerne il senso e il significato? Tutti ne parlano, a vario titolo, ma questi tutti conoscono la storia della pedagogia? Una storia che contiene ricerche, sperimentazioni, epistemologie che potrebbero stupirci oggi e farci dire “ma non abbiamo scoperto nulla di nuovo! È stato già detto”. Ma non è stato più fatto.

E poi, nelle nostre scuole c’è ancora tempo per educare? Oppure è rimasto solo il tempo per istruire futuri manager, con tanto di certificazione delle competenze acquisite? La scuola–azienda può ancora occuparsi di formazione della Persona e di educazione nel senso più etimologico del termine?

Durante la trasmissione di Lucia Annunziata su Rai Tre del 26 novembre scorso, Alex Corlazzoli, maestro e giornalista, ha affermato con convinzione che nelle scuole occorre affiancare al Dirigente Scolastico un pedagogista. Una forte e convinta dichiarazione che condivido e che desidero specificare. La proposta non ha intenti depauperativi dei dirigenti scolastici, ai quali è certamente riconosciuto un delicatissimo compito educativo, ma tutti sappiamo quanto essi siano oberati di obblighi e responsabilità civili e a volte penali, che li hanno resi, indipendentemente dalla propria volontà, dei “burocrati”, dei manager costretti a districarsi tra mille problemi e spesso a doversi tutelare, perché se un tetto crolla probabilmente la responsabilità ricadrà sul Dirigente.

Non si mette in dubbio la portata del ruolo istituzionale di un Dirigente scolastico, anzi! Ma perché un dirigente si rivolge allo psicologo se uno studente rivela una situazione problematica? O all’assistente sociale se lo studente vive un contesto familiare più che complesso? O a un logopedista se lo studente rivela difficoltà nel linguaggio? O a un neuropsichiatra se lo studente affronta il processo di apprendimento con fatica? Cosicché potrebbe rivolgersi al pedagogista per l’ambito metodologico, didattico, relazionale, puramente educativo che riguarda studenti, famiglie e docenti. Ciascuno ha un ruolo preciso, compiti e competenze certificate. Si tratta solo di riconoscere i propri confini nell’ottica comune del benessere degli studenti, che sono persone e cittadini.

Sembra che sia ancora molto diffuso un luogo comune: confondere e scambiare il pedagogista con il pedagogo/maestro/docente. Va ribadito allora che il Pedagogista è l’esperto dei processi formativo-educativi. È un esperto in possesso di una laurea specialistica e, nella maggior parte dei casi, ha seguito master e corsi professionalizzanti post-lauream. Diversi hanno una doppia laurea. Il suo compito è affiancare, coordinare, superviosionare l’attività didattica, metodologica, di coloro che operano nei contesti scolastici, nonché aggiornare, formare e informare sui risultati di studi e di ricerche sul campo.

Se andiamo a vedere, oggi le scuole strabordano di iniziative volte a gestire l’emergenza quando si parla di bullismo e cyberbullismo, di dipendenze, di droghe o di sessualità. Abbiamo la polizia municipale, i cani antidroga, i carabinieri, gli psicologi e il personale sanitario delle Asl. Ma quando Dewey sosteneva che lo scopo dell’educare è l’educazione stessa, che cosa intendeva dire dunque? Probabilmente che prima di tutto ciò è necessario Educare, Formare le giovani generazioni per affrontare una delle età più affascinanti e complesse, dove trasgredire vuol dire misurarsi con sé stessi, sognare, sentirsi o volersi sentire potenti. Lev Tolstòj nell’opera “Infanzia, adolescenza, Giovinezza” ritrae mirabilmente tale condizione: “[…] Quando si è giovani, tutte le forze dell’animo sono tese all’avvenire […] Nei ragionamenti filosofici, che costituivano uno degli argomenti principali dei nostri discorsi, piaceva a me quel minuto, in cui i pensieri sempre più rapidamente si succedono l’un l’altro e, facendosi sempre più astratti, pervengono infine a una tale nebulosità, che non vedi più il modo di esprimerli e, presumendo di esporre ciò che pensi, dici tutt’altra cosa. Mi piaceva quel minuto, in cui, sollevandoti sempre più alto nella sfera delle idee, di colpo hai il sentore di tutta la sua inabbracciabile immensità, e divieni consapevole dell’impossibilità di andare oltre […]”.

Bellissimo! E tutto ciò ha bisogno di Asl, carabinieri, emergenza…? No, ha solo bisogno di direzioni, di dialogo, di ascolto, di condivisione, di modelli, di contenuti che possano abbracciare interessi, motivazioni, curiosità, pensiero, sogni, progetti. Null’altro. Invece perdiamo i sogni, le intelligenze, disperdiamo tesori e talenti. La scuola punisce, cura (e non certo nell’accezione di Lorenzo Milani con il suo I CARE!), cerca di sopperire a ogni vuoto educativo, talvolta umano, ma senza grossi risultati, finendo per avere apatici o arrendevoli o dispersi o seduti o ribelli come studenti. I docenti sono sfiduciati. Un’altra categoria professionale poco riconosciuta.

Gli studenti del liceo Virgilio, come di qualunque altra scuola, vanno ascoltati. Antipedagogico definire degli adolescenti “gruppo di mafiosetti della Roma bene”, con il tetto crollano anche i principi educativo-formativi! I ragazzi hanno solo necessità di conversare (con-versus, andare verso), di dibattere, di capire, di confrontarsi con il mondo adulto. Solo così ammetteranno anche gli errori, proveranno a fare chiarezza “nella inabbracciabile immensità […]”. Non chiedono altro; essi sono piante che crescono e i fiori non vanno recisi, la voce non va spezzata. Diversamente avremo sdraiati o seduti di cui tanto lamentiamo la crescita.

Gli interventi di emergenza dovrebbero valere solo per le situazioni limite che ci sono sfuggite di mano, può capitare anche in un percorso educativo-formativo solido e autorevole che coinvolge famiglie e scuola. Ma non è la regola.

Dov’è l’autorevolezza educativa oggi? I padri a volte latitano, le madri ricoprono un doppio ruolo, i docenti e i dirigenti scolastici vengono delegati e resi responsabili di ogni defaillance. I pedagogisti “sono ovunque e da nessuno parte” (R. Fornaca) perché a tutt’oggi non sono riconosciuti istituzionalmente. Un grande errore i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Ma i pedagogisti continuano ad esserci, hanno a cuore solo l’Educazione e soprattutto hanno passione. Perché mai, nonostante tutto, tanti giovani scelgono ancora questa professione? Pur sapendo di dover probabilmente lavorare “sotto mentite spoglie”? Come sosteneva Dewey, l’educazione è lo scopo, uno scopo che ci deve vedere uniti, in dialogo, in ascolto reciproco. Solo così potremo sperare nel buon cambiamento.

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