Perché è giusta la fase transitoria per i docenti precari con 36 mesi di servizio. Lettera

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inviata da Alessio Riggi – Da sempre, nella scuola, il precariato è stato affrontato dal Ministero dell’Istruzione come un percorso che veniva seguito o dall’immissione dei professori nelle GAE (Graduatorie Ad Esaurimento) o dall’uscita di un concorso riservato, o dalla possibilità di abilitarsi tramite corsi che poi portavano al ruolo. Dunque si è sempre cercato di non trasformare l’uso dei precari in un abuso.

Nel 2013, l’allora ministro Profumo, istituì i PAS (Percorsi Abilitanti Speciali), destinati a chi insegnava come precario da ormai tre anni ed i TFA (Tirocinio Formativo Attivo) per chi si affacciava all’insegnamento in quel momento ed iniziava un percorso abilitante.

Da lì a poco, nel 2016 e poi nel 2018 sono stati banditi due concorsi per soli abilitati.

Chi in quel periodo ha deciso di affacciarsi all’insegnamento e non riusciva ad accedere al TFA, poteva insegnare da precario sapendo bene quanto il percorso fosse lungo e pieno di sacrifici. Sapeva anche che il precariato non sarebbe finito velocemente ma che alla fine lo Stato avrebbe valorizzato l’esperienza con l’assunzione.

Ho iniziato questa avventura, dopo anni di studio per una laurea, tra mille difficoltà. Pur di iniziare questa tortuosa avventura ho dovuto lasciare la mia famiglia, trasferirmi a mille km da casa, in affitto, con 3 mesi di disoccupazione all’anno ed inevitabili ripercussioni sui contributi pensionistici. Ho rinunciato all’acquisto di una casa perché, da precario, non avevo garanzie da offrire alle banche. Alla fine però sarei diventato un insegnante di ruolo.

Sono passati 6 anni e molti, come me, hanno investito i loro anni migliori nel costruire una carriera, accumulare punteggio, facendo strada nell’insegnamento, magari anche prendendo spezzoni di cattedre in più scuole per poter racimolare poco più di 1.200 euro al mese. Dopo tutto questo, dopo aver costruito una famiglia ed aver contribuito alla crescita delle scuole in cui ho lavorato, nel 2019 il ministro Bussetti, spalleggiato dalla VII commissione (cultura, scienza e istruzione), propone un “concorso calderone” aperto a chiunque senza alcuna fase transitoria tra il vecchio ed il nuovo metodo di reclutamento.

Le motivazioni del ministro, legate alla ricerca di un personale giovane ed una selezione che prediliga la conoscenza alla competenza, sono comprensibili se applicate a chi si affaccia all’ipotesi dell’insegnamento soltanto oggi. Ma chi ha già investito tanti anni della propria vita insegnando da precario e sostenendo il sistema scuola, si ritrova oggi con un coltello puntato alla gola ed una minaccia chiarissima: “O superi il concorso o non lavorerai più gettando alle ortiche i sacrifici fin qui affrontati”.

E’ comprensibile che chi è in questa situazione non solo non può accettare un ultimatum del genere in qualità di docente o di lavoratore, ma non può accettarlo proprio per non rinunciare alla propria dignità!!

Una fase transitoria che preveda l’inserimento in ruolo per chi ha tre anni di servizio affiancata ad un concorso aperto a tutti i nuovi giovani laureati sarebbe accettato da tutte le parti sociali e renderebbe merito a chi ha servito lo stato, in silenzio, nelle scuole di tutta Italia.

Non prevedere la fase transitoria vuol dire prendere in giro chi lavora da anni in un progetto dello stato che cambia le regole del gioco in pochissimi mesi, dopo aver addirittura promesso una fase transitoria sia in fase elettorale (sia Lega che M5S) che al punto 22 del patto di governo.

Da padre, da educatore, da elettore, da lavoratore, da uomo con dignità propria, non posso accettare questo tradimento, questa presa in giro. Ed è per questo che oggi decine di migliaia di colleghi nelle mie condizioni chiedono giustizia! E’ una battaglia che vale le nostre vite e quelle delle nostre famiglie e che per questo combatteremo fino allo stremo, in tutte le sedi politiche e legali.

Inoltre, ancora oggi, non è terminato l’iter del concorso 2016, la cui validità per le immissioni in ruolo è stata da poco prorogata ad oltre il 2020.

Il concorso 2018, nonostante fosse non selettivo e prevedesse una sola prova orale, è ben lontano dall’essere concluso.

Ci si chiede come l’attuale governo pensi di concludere un concorso calderone, che prevede un numero spropositato di candidati (alcuni ne stimano oltre 1,5 milioni), in tempo per le assunzioni nel settembre 2020.

Il primo pensiero che viene in mente a chi di scuola si occupa è che prendano in giro l’elettorato, il secondo pensiero è che non si rendano conto della paralisi del sistema scolastico e delle immediate ripercussioni che questo concorso avrebbe su docenti precari, famiglie e studenti nei prossimi 5 anni.

Ed in questi anni, che ci separano dall’uscita del bando fino all’immissione in ruolo dei vincitori di concorso, cosa chiederebbe il governo ai precari?
Forse chiederanno semplicemente di lavorare in classe sostenendo la scuola in attesa che il concorso si concluda per poi farsi da parte, restare disoccupati, nonostante avranno servito lo stato per ulteriori 2, 3, 4 o 5 anni ancora.

Mi auguro che Bussetti ed il governo prendano provvedimenti per la stabilizzazione dei precari con almeno 36 mesi di servizio, prevedendo un percorso transitorio, e mettano fine ad una situazione che oggi appare paradossale.

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