Per una scuola sempre più smartphone free

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Un’idea innovativa e che fa discutere ma anche riflettere al tempo stesso: l’introduzione da parte del liceo San Benedetto di Piacenza dell’obbligo di riporre il cellulare dei ragazzi all’interno di buste chiuse, schermate, che potranno riaprire solo dopo il termine delle lezioni.

Questo liceo paritario è il primo istituto scolastico italiano a utilizzare la tecnologia americana Yondr, utile per schermare totalmente gli smartphone e impedirne l’utilizzo. Il Preside della scuola, Fabrizio Bertamoni, ha deciso di introdurre questo sistema per stimolare nei giovani il desiderio verso un oggetto che ormai li controlla e dal quale, più o meno tutti, dipendiamo.

Un’iniziativa che, indubbiamente, rappresenta un punto di svolta e consapevolezza da parte di chi deve occuparsi della formazione delle nuova generazioni.

Ma qual è il messaggio che stiamo dando con questa imposizione?

Partiamo dal presupposto che ormai i ragazzi di oggi si relazionano solo attraverso la tecnologia. Atteggiamento che va a discapito dei rapporti interpersonali, sia verso i propri insegnanti che verso i propri compagni di classe. Avendo sempre la possibilità di utilizzare il proprio smartphone, anche durante l’orario scolastico, i ragazzi hanno la possibilità di scegliere con chi parlare, decidendo magari di raccontare un episodio appena accaduto a un amico che frequenta un altro istituto piuttosto che parlarne con il proprio compagno di banco. Molto spesso, i ragazzi, non sanno nulla (o comunque molto poco) di chi gli sta seduto affianco più di 4 ore al giorno per 5-6 giorni a settimana. In classe parlano poco e si confrontano poco, proprio perché hanno a disposizione una “scelta” che, guarda caso, si proietta sempre verso una comunicazione online. Lo scopo di questa iniziativa è sicuramente quello di riuscire a recuperare il tempo per gli altri, tornando a far primeggiare la vita offline.

Ma veramente questa metodologia può aiutarli a tornare a parlare con gli altri?

Sicuramente non sarà semplice. Dialogare con le persone è un’arte e come tale va coltivata e accettata. Doversi disconnettere almeno 4 ore durante l’arco della giornata può rappresentare un valido aiuto, quantomeno iniziale. In quanto si innesca un distacco nei confronti del meccanismo compulsivo e di controllo continuo verso lo smartphone. Si blocca il meccanismo che crea la dipendenza, “obbligando” gli studenti a ricominciare a parlare. Il risultato, anche se non immediato, potrebbe essere anche quello di ottenere una maggiore concentrazione e attenzione nelle aule. Perché sottolineo “non immediato”? Perché la reazione fisiologica immediata di questi ragazzi, di fronte alla privazione dello strumento, sarà quella di smarrimento. Il loro pensiero andrà molto spesso al proprio smartphone, continuando a chiedersi se proprio in quel preciso istante qualcuno li sta cercando. Tutto nella norma, si sta attivando la fase di detox.

Ovviamente è importante che questo vuoto iniziale venga riempito. Ma come?

A mio avviso basterebbe introdurre all’interno dell’orario scolastico una nuova materia chiamata “consapevolezza digitale” che insegni come riconnettersi con gli altri in modalità offline. Sarebbe sufficiente un’ora a settimana. Alla disconnessione deve seguire una riconnessione. Con se stessi e con gli altri. Durante quell’ora i ragazzi dovranno riabituarsi a parlare tra di loro e a raccontare le loro sensazioni. Tornando così a dare un senso alle cose reali e a confrontarsi su emozioni vere, scaturite dalla vita offline. La riconnessione non è altro che riattivare il senso delle cose.

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