Per avere diritto al compenso per mansioni superiori, queste devono essere state svolte pienamente

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La Cass. civ. Sez. lavoro, Ord., (ud. 16-10-2019) 20-01-2020, n. 1114 tratta un caso interessante avvenuto nel comparto scuola che riguarda la richiesta di riconoscimento di compensi superiori e inquadramento superiore qualora si svolgano mansioni superiori. La Cassazione richiama alcuni principi importanti ricollegandosi a dei suoi precedenti.

Il fatto

con ricorso al Tribunale tramite i propri difensori un collaboratore scolastico denunciava di aver svolto con continuità ed esclusività, le mansioni di amministratore e responsabile dell’area informatica e delle connesse apparecchiature in uso presso l’Istituto di riferimento, avvalendosi della collaborazione di personale tecnico ed ausiliario, conveniva in giudizio il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e chiedeva il riconoscimento dell’inquadramento nella categoria C, profilo di collaboratore tecnico, del c.c.n.l. di comparto ed il pagamento delle differenze retributive; il Tribunale, con sentenza non definitiva n. 458/2009, riconosceva il diritto del ricorrente al trattamento economico proprio del coordinatore tecnico di Area C con la decorrenza invocata e, con sentenza definitiva n. 79/2010, espletata c.t.u., condannava il Miur al pagamento in favore del ricorrente della somma come da sentenza. La Corte d’appello decidendo sull’impugnazione principale del ricorrente che reclamava anche il diritto all’inquadramento e su quella incidentale del Miur che contestava il ritenuto svolgimento delle mansioni di coordinatore tecnico dell’Area C, in accoglimento dell’appello incidentale rigettava l’azionata domanda.

Per avere diritto al compenso per mansioni superiori, queste devono essere state svolte con pienezza

I giudici della Cassazioni affermano che “è pur vero che in materia di pubblico impiego contrattualizzato l’impiegato cui sono state assegnate, al di fuori dei casi consentiti, mansioni superiori ha diritto, in conformità alla giurisprudenza della Corte costituzionale (tra le altre, sentenze n. 908 del 1988; n. 57 del 1989; n. 236 del 1992; n. 296 del 1990), ad una retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell’art. 36 Cost., che deve trovare integrale applicazione, senza sbarramenti temporali di alcun genere (Cass., Sez. Un., 11 dicembre 2007, n. 25837; Cass. 23 febbraio 2009, n. 4367); il diritto al compenso per lo svolgimento fatto di mansioni superiori, da riconoscere nella misura indicata nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, comma 5, non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità di assegnazione delle mansioni, posto che una diversa interpretazione sarebbe contraria all’intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all’art. 36 Cost. (v. Cass. 18 giugno 2010, n. 14775; Cass. 7 agosto 2013, n. 18808; Cass. 24 gennaio 2019, n. 2102), sicchè il diritto va escluso solo qualora l’espletamento sia avvenuto all’insaputa o contro la volontà dell’ente, oppure quando sia il frutto di una fraudolenta collusione tra dipendente e dirigente, o in ogni ipotesi in cui si riscontri una situazione di illiceità per contrasto con norme fondamentali o generali o con principi basilari pubblicistici dell’ordinamento (Cass. 29 novembre 2016 n. 24266); tuttavia è sempre necessario che le mansioni superiori assegnate siano state svolte, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nella loro pienezza, e sempre che, in relazione all’attività spiegata, siano stati esercitati i poteri ed assunte le responsabilità correlate a dette superiori mansioni d’altra parte il divieto imposto al datore di lavoro pubblico di attribuire trattamenti giuridici ed economici diversi da quelli previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva, anche se di miglior favore, impedisce sia il riconoscimento di inquadramenti diversi da quelli previsti dal c.c.n.l. di comparto, sia l’attribuzione della qualifica superiore in conseguenza dello svolgimento di fatto delle mansioni (v. Cass., Sez. Un., 14 ottobre 2009, n. 21744; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24216)”.

Nel caso di specie, come sottolinea la Cassazione, “come ben chiarito dalla Corte territoriale, sono rimasti del tutto indimostrati i presupposti fattuali per accedere alla tutela di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 il che esclude non solo il diritto alle differenze retributive ma anche ogni comportamento abusivo della PA in danno del dipendente”.

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