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Pedagogia della differenza ed Educazione di genere. Le sfide in tema di pari opportunità nella nuova scuola

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La pedagogia della differenza è un approccio didattico nato negli anni Settanta, sulla scia dei movimenti femministi: esso si oppone alla disparità nella formazione e nella carriera delle donne, e considera la differenza sessuale il vero unico fattore in grado di mettere in discussione le modalità di organizzazione e trasmissione del sapere tipiche della pedagogia tradizionale.

Mentre quest’ultima, infatti, vive in un regime di “neutralità”(vede nel soggetto da educare un individuo “neutro”), la pedagogia della differenza si focalizza sulle differenze tra bambini e bambine, insistendo su questo punto (in maniera positiva).

Cerca infatti di instaurare un dialogo costruttivo tra la cultura femminile e quella maschile, in modo da capire perché c’è ancora una scarsa presenza della cultura femminile nella nostra società.

È da qui, dunque, che partiranno tutti gli studi sociopsicologici il cui culmine, ai giorni nostri, saranno le soluzioni delle “quote rosa” e l’istituzione di enti preposti a garantire le pari opportunità tra uomini e donn.

La corrente in Italia

Nel nostro Paese la pedagogia della differenza prende le mosse dagli studi della belga Luce Irigaray (filosofa, linguista e psicoanalista), la quale introdusse per prima il pensiero sulla differenza sessuale: tali teorie furono poi applicate alla pedagogia dalla comunità filosofica italiana Diotima – costituita da un gruppo di ricercatrici dell’Università di Verona.

La cultura scolastica, infatti, fino ad allora aveva privilegiato a lungo il protagonismo e i modelli maschili, proponendo contenuti che solo di rado davano spazio alla cultura femminile e al ruolo delle donne nella storia. Un fenomeno, questo, che succede purtroppo ancora adesso, seppur con meno vigore.

Arriviamo ai giorni nostri: la legge 107/2015, meglio conosciuta come “Buona Scuola”, ha individuato diversi obiettivi per superare le discriminazioni di genere; tra questi, l’aumento in percentuale del numero di donne impegnate nell’ambito STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics), che è tradizionalmente appannaggio della cultura maschile.

Per raggiungere questo e altri traguardi, tuttavia, nella scuola c’è bisogno di una Educazione di Genere, che tenga conto anche della componente femminile nella pedagogia.

Educazione di Genere

Con questo termine s’identifica l’insieme dei comportamenti e delle azioni messi in atto quotidianamente dai docenti (volontariamente o involontariamente) in merito al vissuto di genere, ai ruoli di genere e alla differenza tra sessi.

Lo scopo è quello di educare i giovani alle differenze tra sessi, al rispetto reciproco delle peculiarità e alle relazioni di genere.

Un’educazione di genere adeguata comporta l’adozione di percorsi finalizzati a evitare la cristallizzazione, nella mente dei ragazzi, di alcuni pericolosi stereotipi della società (asimmetrie di genere, legittimazione simbolica di dominio del sesso maschile su quello femminile, ecc.) che purtroppo ancora sono presenti, persino nella scuola.

La neutralità della scuola è davvero tale?

Si pensi infatti all’uso che si fa normalmente, in classe, del collettivo maschile, utilizzato per indicare il genere neutro (per richiamare l’attenzione dei “bambini” e delle “bambine”, o dei “ragazzi” e delle “ragazze” si fa sempre uso del sostantivo maschile).

Pur essendo un’istituzione che si dichiara neutra e neutrale, la scuola è dunque strutturata su un simbolico maschile che cancella la differenza e il valore dell’esperienza femminile, mentre l’esperienza e il sapere maschile vengono proposti come universali – e quindi determinano la norma.

In conclusione, quindi, educare nella differenza e alla differenza significa, sia per docenti che discenti, educare in un orizzonte di senso in cui l’essere donna – piuttosto che uomo – rappresenta tutto un diverso universo di vivere, sentire e giudicare i fenomeni: rappresenta il lato femminile della vita, diverso ma complementare a quello maschile.

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