Orientamento: cresce il peso delle lauree umanistiche nei lavori del futuro

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Proviamo a metterla giù in questo modo: non è raro vedere studenti delle scuole superiori indecisi nel momento in cui sono chiamati a scegliere il percorso di studi universitari da intraprendere dopo il diploma superiore. Una decisione che pone sul tavolo diversi interrogativi, che vanno dalla consapevolezza maturata rispetto alle proprie attitudini (qual è il lavoro giusto per me?), ai possibili sbocchi occupazionali che una laurea può offrire o meno rispetto ad altre (qual è il lavoro più adatto al mio titolo di studio?) .

Mentre per alcuni studenti e studentesse la valutazione di questi elementi (anche con il supporto della famiglia, degli amici o del corpo docente) avviene in maniera lineare, senza eccessive indecisioni o intoppi, per altri (più incerti e dubbiosi) mettere in fila gli aspetti prioritari della questione e scegliere l’Università in ragione delle inclinazioni e aspirazioni personali non è poi così semplice. Certo, il processo che accompagna la decisione è senz’altro più complesso e meditato, ma proprio per questo motivo orientarsi (o lasciarsi orientare) raccogliendo informazioni utili a rende questo passaggio meno “incerto” costituisce una buona prassi per tutti coloro che si trovano alle prese con un annoso dilemma: studi umanistici e studi scientifici?

Aumenta l’appeal delle lauree umanistiche sul mercato

Perché se questo dilemma in molti casi si traduce in un effetto pendolo tra studi umanistici e studi scientifici, sapere che nel lavoro del futuro crescerà il peso specifico delle lauree umanistiche rappresenta un’informazione che, in aggiunta ad altre, può a trasformare una scelta da “avventata” in “ponderata”. In effetti, la capacità delle discipline umanistiche di penetrare il mercato del lavoro sembra essere in netta ascesa, aspetto su cui tanto si è discusso nel corso dell’ultima edizione dell’ExpoTraining di Milano. Al centro del dibattito il modo in cui il mondo delle professioni sta cambiando e cambierà nel prossimo futuro, portando in auge profili in grado di ideare e riversare contenuti innovativi, originali e stimolanti all’interno degli spazi di comunicazione che la tecnologia e il web continuano a creare a ritmo incessante. Il mercato cercherà non solo tecnici, economisti e ingegneri. Cercherà con insistenza anche:

  • esperti in lingue
  • giornalisti
  • sociologi
  • filosofi
  • letterati

Profili professionali che elaborano contenuti facendo appello a competenze specialistiche spendibili a prescindere dal fatto che siano collegate o meno a un bagaglio di competenze tecniche. Professioni per cui sembra gradualmente ridursi il cosiddetto mismatch tra “percorso di studio” e “mercato del lavoro”, un’asimmetria che continua comunque a far discutere gli addetti ai lavori.

Competenze disallineate e superate. Soprattutto se il gap è digitale

Che significa competenze disallineate? Parliamo della situazione in cui la posizione occupata richiede competenze e capacità alquanto distanti da ciò che i giovani e le giovani hanno appreso all’università (o nelle scuole superiori). Un dato che viene confermato dai risultati di un’indagine realizzata di recente dal Censis per conto dell’Ebitemp. Nel report si legge come:

  • il 26,9% dei giovani italiani attualmente occupati ritiene che il lavoro svolto non abbia alcun tipo di connessione con il proprio percorso di studi o di formazione
  • un ulteriore 22,6% individua qualche elemento affinità, ma solo marginale.

Non solo. Le attuali tendenze del mercato del lavoro continuano ad ampliare la forbice tra coloro che si sentono al passo con i fabbisogni professionali richiesti, soprattutto in campo digitale, e coloro i quali, invece, pur in possesso di un lavoro temono che le proprie competenze siano ormai superate o che lo stiano per diventare.

A far luce sulla questione sono i risultati di una ricerca che Capgemini ha condotto in collaborazione con Linkedin sui fabbisogni di competenze digitali. Il 29% dei lavoratori intervistati ritiene che le proprie competenze siano già superate o che lo diventeranno entro due anni, mentre oltre un terzo del campione crede di potersi trovare in questa situazione tra 4-5 anni. Una percezione che non lascia indifferenti neanche le imprese. Tra le società intervistate da Capgemini e Linkedin (753 dipendenti e 501 dirigenti) una su due riconosce che il gap sulle competenze digitali si sta espandendo e oltre la metà delle aziende crede che questo divario stia ostacolando i loro programmi per la digital transformation, col rischio (per molte già avvertito) di aver perso terreno sul piano della competitività.

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