Nella didattica torniamo all’uso dell’italiano. Lettera

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Inviato da Fernando Mazzeo – Nei documenti ministeriali, nei documenti scolastici e all’interno delle singole attività educative e didattiche, è ormai di moda l’anglofonia.

Giusto per fare qualche esempio, parole come BACKGROUND – sfondo, ambiente socio-culturale in cui il bambino vive; BRAIN-STORMING – tempesta, furia del cervello; CIRCLE TIME – tempo del cerchio; COOPERATIVE LEARNING – apprendimento cooperativo; MASTERY LEARNING -apprendimento per la padronanza; PROBLEM SOLVING –apprendimento come il risultato di un’attività di scoperta e per soluzione di problemi; ROLE PLAYING – gioco dei ruoli; TEAM TEACHING – insegnamento di gruppo; FLIPPED CLASSROOM – Classe capovolta; AUTHENTIC TASCKS –Compiti autentici; STORYTELLING – Raccontare storie; WEBQUEST –ricerca in rete ecc., dal punto di vista educativo e culturale, stanno favorendo la perdita della nostra identità linguistica e condizionando la nostra ricca e gloriosa tradizione pedagogica.

In modo particolare, le parole inglesi sembra siano diventate dei rivelatori magici di verità, in grado di risolvere, a tutti i livelli, ogni difficoltà e ogni povertà culturale e relazionale

Le WebQuests, ad esempio, nate per favorire nella didattica dell’inglese l’acquisizione di un lessico specifico e la conoscenza di registri linguistici diversi, stanno diventando uno strumento didattico sempre più diffuso per costruire veri o presunti nuovi modelli di conoscenza e sviluppare abilità trasversali multidisciplinari.

Nonostante l ’Accademia della Crusca abbia già da tempo lanciato l’allarme sull’utilizzo indiscriminato della lingua inglese, sull’impoverimento della nostra identità linguistica e, soprattutto, sulla grave situazione in cui versa la scuola italiana relativamente alle competenze nella lingua madre degli alunni, negli ambienti educativi, sempre più spesso, si fa riferimento ad espressioni estratte da altre culture e trapiantate nella nostra.

Alla crisi dello studio della lingua italiana, contribuisce anche il Ministero dell’ Istruzione che, sovente, nelle comunicazioni ufficiali, negli atti pubblici e nelle direttive sulla valutazione, sulla didattica e su ogni altro aspetto della vita scolastica, utilizza un registro linguistico eccessivamente burocratizzato con l’ abuso di parole anglosassoni.

In questa prospettiva, in un tempo di impoverimento delle conoscenze e delle regole della grammatica e della sintassi della lingua italiana, pur dando il giusto peso ad una vasta geografia di differenti sistemi di comunicazione che, come fatto di cultura, hanno un certo peso sulla formazione dell’adolescente, riappropriarsi della nostra lingua e dei nostri linguaggi, anche attraverso espliciti riferimenti alle origini latine della lingua italiana, rappresenta un motivo di orgoglio e di
vanto per una nazione che, a livello internazionale, sta perdendo importanza ed è in lento declino.

Poiché è nei materiali linguistici che traspare il senso e il valore di una civiltà e di una cultura, occorre, a livello educativo e didattico, richiamare l’attenzione sul fondamentale ruolo pedagogico delle tradizioni linguistico-lessicali di un popolo e di una nazione ed avviare una graduale pulizia della parola per imparare ad usare “l’idioma gentil sonante e puro” (Alfieri) con quella proprietà che permette “l’eleganza dello stile” (Leopardi).

Non si può negare, che gli stessi docenti stanno vivendo un periodo di profondo disagio a causa di una eccessiva confusione nella comunicazione verbale e concettuale e di una costante contaminazione, semplificazione, alterazione, manipolazione e banalizzazione del lessico.

Per delineare un nuovo modello educativo più funzionale ai bisogni e agli interessi della persona, non servono arlecchinate lessicali.
Perché l’italiano continui a svolgere un importante ruolo pedagogico per la nostra cultura e per le nostre tradizioni, è necessaria un’operazione di riappropriazione semantica e la sostituzione, senza tanti preamboli, delle parole straniere con termini conformi e vicini alle caratteristiche di una lingua neolatina che ha dato vita a capolavori letterari che il mondo ci invidia.

L’obiettivo della nostra scuola deve essere sempre quello di rendere l’alunno consapevole del fatto che la lingua racchiude un particolare tratto dell’identità di un popolo e di una nazione. E, in un certo senso, in essa batte il cuore di questa nazione, perché nella lingua, nella propria lingua, si esprime ciò di cui si nutre l’anima umana nella comunità di una famiglia, della nazione, della storia.

Occorre, dunque, a livello educativo, concentrarsi su una precipua antropologia linguistica, l’italiano, e, soprattutto, agire sul nostro linguaggio per poter agire sul cuore e sventare le insidie di una sudditanza trasmissiva e comunicativa.

Sul piano didattico, occorre, dunque, utilizzare la dolcezza, il valore e la forza del nostro lessico. Ad esempio, la diffusa moda nelle nostre classi dello Storytelling (Raccontare storie), nato come strategia di comunicazione persuasiva in ambito politico, economico ed aziendale, utilizzato dagli esperti di marketing, che vuol dire informare e regalare emozioni forti e riconducibile alla nostra fiorente cultura della fiaba e del mito, andrebbe sicuramente sostituita con la metodologia del libroforum (fare discussione su un libro), che presenta agganci concreti con una didattica che tende a valorizzare l’attività e la presenza dell’alunno come elemento operante che discute e verifica giudizi ed opinioni, anche sulla scorta degli studi e delle ricerche fatte.

Per concludere, la nostra lingua, in quanto sistema complesso e plurifunzionale, va studiata bene e non svenduta o sottovalutata.

Fernando Mazzeo

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