Neet, lo Stato attivi politiche di incentivo allo studio e all’ingresso nel mondo del lavoro. Lettera

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Inviato da Mario Bocola – In Italia ci sono molti giovani che sono considerati neet, ossia sono coloro che non studiano e non lavorano ma nemmeno si adoperano per cercare un lavoro.

Sono purtroppo gli sconfitti della società, cioè coloro che saranno mantenuti dallo Stato pur non avendo fatto un giorno di studio e di lavoro. E la condizione di questi giovani che non possiedono le competenze di base minime per l’accesso al mondo lavorativo crescono in maniera esponenziale. Questo sicuramente avrà una pesante ricaduta sul tessuto sociale perché solo chi lavora oggi sarà in grado di mantenere le nuove generazioni.

Nel futuro, invece, i giovani che non hanno conseguito un titolo di studio e non hanno mai lavorato come potranno mantenere e quindi pagare le pensioni alle generazioni future? Saranno soltanto giovani che saranno sostenuti dai sussidi sociali offerti dallo Stato. Tuttavia lo Stato italiano non deve trasformarsi in un ammortizzatore sociale, bensì, deve mettere in atto tutte quelle politiche di incentivazione allo studio e all’ingresso lavorativo dei giovani. Ci sono realtà dove le famiglie che hanno genitori disoccupati e figli che non lavorano vengono sostenuti economicamente dai nonni che godono, se fortunati, di una pensione in grado di mantenere una famiglia.

Il quadro, dunque, si presenta allarmante e poco si sta facendo per far capire che la situazione nel nostro Paese per i giovani neet è veramente preoccupante. Lo Stato non deve trasformarsi in un ente assistenzialistico, ma deve sostenere e incentivare politiche attive per il lavoro. In questa direzione l’Italia rispetto agli altri paesi europei è molto addietro e ne è prova l’elevato tasso di disoccupazione proprio dei giovani che hanno conseguito un titolo di studio e sono alla ricerca di un lavoro che non c’è.

Non c’è perché non possiedono quelle competenze di base che il mondo del lavoro oggi richiede. È una prospettiva veramente preoccupante di cui la politica deve farsi carico perché un’alta disoccupazione giovanile non produce ricchezza per uno Stato, non produce competitività, non produce sviluppo, ma soltanto un deserto culturale. Stiamo crescendo una generazioni di giovani che sono dei disperati della società perché non avranno speranza ed opportunità di fare crescere il Pil di questa nazione. E la colpa più grande ce l’ha la scuola che non fornisce gli strumenti idonei perché questi giovani senza futuro possano inserirsi nel tessuto lavorativo di questo Paese e farlo progredire.

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