Maturità, parla un Presidente: commissione deve guardare il percorso dello studente, non solo l’esame

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Pubblichiamo una testimonianza sugli Esami di Stato 2019, al debutto nella nuova formula. A parlare è un Presidente. La testimonianza è anonima, come indicato nell’invito a inviare le impressioni su questa esperienza, per cogliere novità e criticità. 

Maturità 2019, com’è andata veramente? Raccontaci la tua esperienza da commissario o Presidente

“Da una settimana ho pubblicato i risultati degli esami di stato della commissione di mia pertinenza e dopo 13 anni di incarichi da presidente, meno due in quanto membro interno nella mia scuola, ho potuto constatare come, ancora una volta, tutto quello che viene proposto e messo in atto nella scuola e per la scuola è solo il risultato maldestro dei capricci o delle fantasie del ministro di turno.

Non si è mai voluta fare una riforma di sostanza che possa realmente proiettare la nostra scuola nello scenario europeo e mondiale. Le “riformicchie”, altro non sono che esperimenti sul campo per tastare il polso di docenti e alunni alla ricerca di un consenso per la notorietà del governo transitorio di turno.

Mi servirebbero giorni, se non addirittura settimane, per esprimere il concetto di riforma ed innovazione e altrettanti per far capire, a chi ci amministra, che in quasi quarant’anni di servizio sono più le cose che ho appreso che quelle che ho insegnato.

Vorrei poter accennare al disagio di una comunità scolastica, in continuo cambiamento, che si trova davanti il muro di una scuola impreparata, anacronistica, arrangiata, con le sue fatiscenti strutture e i suoi androni a mo’ di palestra.

Mi piacerebbe portare con mano i vari ministri e governatori, che si sono alternati in queste passerelle di notorietà, nei corridoi di scuole difficili da chiamare tali. Dove mancano i banchi, le sedie, i laboratori, le attrezzature, gli armadi, i computer, gli spazi per i ragazzi con ritardi cognitivi e le aule per gli insegnanti. In questo disagio sociale, da anni istituzionalizzato, escono comunque diplomati. Ragazzi che credono ancora nel rispetto degli insegnanti e nel ruolo che la scuola comunque occupa.

Ho assistito quest’anno ad a un esame di stato che si è sintetizzato nello sguardo smarrito di chi non sapeva cosa potesse essere una discussione pluridisciplinare, di come collegare l’immagine di Einstein o quella di un trattore con la lingua inglese o la letteratura italiana. Di chi ha visto nella figura di un Leopardi che mira l’infinito, un pescatore col suo mare di fronte o, ancora, nell’immagine di alcune antenne di ponti radio di ultima generazione, la seconda guerra mondiale.

Un modo come un altro, quello delle buste, per ridere e ridicolizzare, per umiliare e fare dello studente di turno il motivo di discussioni con amici.

Qualcuno in passato ha scritto libri e ha fatto la propria fortuna sugli “strafalcioni” degli studenti. Non è questo quello che meritano. Soprattutto chi per cinque anni ha seguito sempre con serietà ed impegno un percorso scolastico non sempre facile e non sempre comprensibile e, a volte, inspiegabilmente legato alle fisime dell’insegnante di turno. In tanti hanno evitato le assenze strategiche, e si sono sempre premurati di fare i compiti a casa anche quando il docente, annoiato per problematiche esterne all’istituzione che rappresenta, non si è preoa neanche la briga di correggerli.

Molti hanno creduto e costruito il percorso scolastico in vista di un risultato finale gratificante, che potesse ripagare, almeno in parte, delle migliaia di chilometri percorsi in quelle gelide mattinate sugli autobus che portavano a scuola.

Chi sperava fino in fondo in un risultato d’esami che rispecchiasse la propria carriera, costruita con sacrifici ed impegno, oggi “acronimizzata” nel PECUP, è rimasto profondamente deluso.

La commissione di turno, strafatta dall’afa di un’estate atipica o annoiata per la solita seconda guerra mondiale e Primo Levi, sentiti per più e più volte, non riesce oramai ad ascoltare, non certo ciò che ripete il candidato ma quello che non dice e che, con grande speranza, ha costruito in cinque anni.

Eppure di fronte alla stessa commissione, che continua a sente senza ascoltare, ci sono le carte: i voti dei tre anni, i crediti, la condotta, i giudizi, insomma c’è la vita dello studente che, in questo istante, si è fermato per un’incertezza o per la battuta infelice del commissario figo che sa sempre tutto e ci tiene a dimostrarlo, mettendo, nel contempo, a disagio il candidato stesso.

Nessuno legge le famose competenze, così tanto discusse ma ancora non capite. Nessuno si sofferma sui sacrifici di anni e sui quaderni riempiti. Si giudica il momento, la perplessità o la difficoltà del candidato, il suo imbarazzo e la sua emotività. In tre quarti d’ora ha bruciato un’onorata e brillante carriera.

Come è possibile che quella commissione stia ragionando come un luminare chirurgo che si presenta solo all’ultimo momento in camice e guanti in sala operatoria pronto per tagliare, perché solo lui sa farlo. Come si può giudicare senza prendere in esame i trascorsi di cinque anni di brillante carriera scolastica.

Chi ha avuto la furbizia e l’opportunità di copiare, durante le prove scritte, e la fortuna di trovare la busta idonea per l’argomento giusto, si è trovato di colpo proiettato in un posto dove in tutto un percorso scolastico non c’era mai stato. Un gradino ben più in alto alle proprie capacità, senza la necessità di avere alle spalle la sostanza del sapere. Ha sempre optato per apparire e questo giova molto agli esami di stato.

Una commissione tronfia di sé stessa e totalmente cieca da non vedere il vuoto alle spalle di chi ha avuto la fortuna di toccare le corde giuste.

Importante, oserei dire indispensabile, è che il presidente annuisca e che tra le frasi, ripetute a raffica di chi ha confuso il sapere con le mnemoniche nozioni, si riesca ad ingrossare il già stracolmo orgoglio personale dei membri interni, assolutamente certi di aver sempre agito bene e per il bene degli alunni. Così si generano nel candidato le frustrazioni e le delusioni, cadendo in ginocchio sul proprio sapere perché qualcuno ti ha spinto senza ritegno nell’umiliazione che non avevi mai subito.

Per cinque anni sei stato, con meritato orgoglio per il tuo lavoro riconosciuto, sempre avanti ai furbi e ai parassiti che hai avuto attorno. Tu, attore principale del tuo sapere e del sacrificio, oggi sei schernito ed umiliato dalla furbizia di chi ti ha tenuto sempre il fiato sul collo e dalla superficialità di una commissione d’esame che, nel suo essere transitoria, ha voluto anche sottolineare la superficialità deleteria di un giudizio affrettato senza guardarti dentro.

Crolla il ruolo di educatori e formatori e nell’ implosione di un’etica professionale si riesce, purtroppo con l’aggravante di non averne coscienza, ad inclinare una personalità, facendola vacillare sulle proprie certezze e preparandola ad un mondo adulto di ingiustizie e delusioni.

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