Maltrattamenti, genitori denunciano maestre su racconto dei figli. Video li smentisce, i fatti

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Più volte ho espresso perplessità sulla “Giustizia” che coi suoi discutibili metodi d’indagine (pesca a strascico, decontestualizzazione e drammatizzazione) entra a gamba tesa nella scuola senza alcuna competenza in merito a educazione e insegnamento.

Occuparsi di certe questioni spetta al dirigente scolastico che è un addetto ai lavori e per giunta responsabile dell’incolumità degli alunni oltreché della salute dei lavoratori.

L’analisi di un atto processuale di un Tribunale del Riesame (TdR) – molto ben strutturato – ci consente di cogliere le perplessità di cui sopra, espresse per la prima volta da un collegio di giudici, circa la conduzione delle indagini in ambiente scolastico. Il lettore pertanto perdonerà il frequente ma necessario rimando alle citazioni testuali del documento originale.

La vicenda

L’episodio riguarda una scuola dell’infanzia in cui la denuncia ai danni delle maestre parte, come il più delle volte, dai genitori allertati direttamente dai figli o da loro inusuali comportamenti a casa. Il giudice del TdR precisa nell’atto che “… i genitori erano giunti alla conclusione che nell’istituto non venisse svolta l’attività didattica, che i bambini fossero costretti a stare a lungo seduti a disegnare, che non ricevessero affetto e che venissero trattati con troppa severità dalle maestre”. Ricorda inoltre che gli esiti dell’attività d’indagine, secondo il PM e il GIP, “davano conferma delle accuse dei genitori che sostenevano che le insegnanti presentavano scarso interesse verso l’effettivo apprendimento dei bambini a loro affidati, posto che l’attività didattica risultava quasi assente… si adiravano coi piccoli per delle inezie e li costringevano a rimanere seduti per lungo tempo senza poter giocare e parlare… I termini che le maestre utilizzavano erano diseducativi e umilianti”.

L’analisi del giudice del TdR

Il giudice del TdR premette che “Secondo consolidato principio della giurisprudenza di legittimità, nel momento in cui è chiamato a verificare la persistenza del requisito della gravità degli indizi di colpevolezza, il Tribunale non può procedere ad una valutazione parcellizzata dei vari dati probatori, ma deve verificare se l’insieme degli elementi sottoposti al proprio vaglio, coordinati ed apprezzati globalmente secondo logica comune, sia tale da assumere la valenza richiesta dall’art. 273 c.p.p. (Condizioni generali dell’applicabilità delle misure cautelari)”. Ai fini sopra indicati – prosegue il giudice del TdR – non solo i singoli episodi non possono essere “smembrati” per ricavare dall’esame di ciascuno di essi quella sufficiente gravità indiziaria, ma la valutazione globale non può prescindere dal vaglio della lettura alternativa della difesa dell’appellante”.

I contrasti col PM e il GIP non sono finiti e, anzi, si acuiscono in merito ai fatti perché il giudice del TdR sostiene che “… le accuse mosse dai genitori, principalmente sulla scorta di quanto appreso dai figli, non hanno trovato alcun riscontro nelle riprese audiovisive. Quanto agli altri episodi ripresi e contestati deve sottolinearsi come acquistano una diversa valenza se avulsi dal contesto di un’intera giornata di lezione della durata di 5 ore in un contesto quotidiano e mensile. Le condotte della maestra, lungi dall’integrare il ricorso a sistematiche pratiche di maltrattamento, possono invece ricondursi allo svolgimento dell’attività di docenza che ha fra le sue finalità anche quella di fornire risposte educative proporzionate alla condotta degli alunni e alla loro età, ma anche a frequentissimi atteggiamenti palesemente affettuosi e protettivi della maestra nei confronti degli alunni”.

La visione attenta dei filmati da parte del giudice del TdR consente allo stesso di rilevare inoltre: a) alcune significative incongruenze dell’accusa (bambini che vengono sgridati senza motivo invece erano stati giustamente redarguiti perché protagonisti di una lite); b) l’adeguatezza dei toni usati dalla maestra a seconda delle diverse circostanze; c) il clima di confusione e vivacità vigenti nella classe anziché quello di paura e intimidazione denunciato dai genitori; d) la presenza della maestra in classe mentre ne è denunciata l’assenza ingiustificata (L’esame dei filmati induce altresì ad escludere il fumus del reato di abbandono di minori contestato alla maestra)… e via discorrendo. Il giudice del TdR infine precisa che “Laddove il tono di voce della maestra risulta innegabilmente alterato, va considerata l’episodicità (pochissimi i file audiovideo incriminati rispetto ai quasi 1.000 prodotti -che sono poi già frutto di una selezione)”.

Il giudice del TdR affronta da ultimo la spinosa, ma essenziale, questione delle denunce dei genitori: “…si tratta di materiale la cui affidabilità e pregnanza probatoria deve essere vagliata con particolare rigore trattandosi di informazioni provenienti da fonti assunte de relato… considerato che la fonte diretta è costituita da minori in tenera età”.

Riflessioni

Oggetto della nostra meditazione sono unicamente le perplessità nonché le evidenze della vicenda rifiutandoci di condannare o assolvere preventivamente alcuno e in particolare la maestra in causa.

  1. Posto che tutti i giudici (PM, GIP, TdR) hanno visto gli stessi filmati, viene da domandarsi perché non arrivino alle stesse conclusioni. Premesso che nessuno di loro è un “addetto ai lavori” in materia di insegnamento/educazione, la grande differenza consiste nell’approccio alla questione. Il giudice del TdR, comprende la necessità di un’analisi integrale e non parcellizzata o scotomizzata della vita reale di classe. Rifugge cioè dallo “smembrare” la realtà per ricostruirla assemblando i filmati con l’intento di validare una tesi precostituita.
  2. Solamente la visione integrale dei filmati consente di: smascherare falsità e incongruenze; riconoscere il vero clima di normale confusione e vivacità della classe; verificare la veridicità o meno delle accuse dei minori riportate ai genitori; cogliere la bontà dei metodi educativo-didattici delle maestre; infine constatare che non vi è stato alcun abbandono del posto di lavoro e, tantomeno, dei minori.
  3. Il caso in esame ha avuto inizio tre anni fa e ancora il sistema giudiziario non è stato in grado di esprimersi sul rinvio a giudizio o meno della maestra. Possiamo per certo dire che sta costando molti soldi all’erario e soprattutto anni di sofferenza e infelicità all’insegnante e alla sua famiglia. Sempre più la giustizia, coi suoi tempi e i suoi metodi, appare incapace di offrire un’adeguata e rapida soluzione ai presunti maltrattamenti a scuola.
  4. Scrive ancora il giudice del TdR: “Ad avviso del Collegio, l’esame del materiale non consente di ritenere che la condotta della maestra integri la soglia del penalmente rilevante, connotandosi al più come espressione di discutibili metodi didattici che esauriscono la loro censurabilità in ambito disciplinare…”. E qui sta appunto la soluzione a tutto che ritroviamo in apertura di articolo. Chi adotta le sanzioni dopo aver attuato la vigilanza coi propri collaboratori? Il dirigente scolastico al quale compete la tutela della salute dei docenti così come la salvaguardia dell’incolumità dell’utenza. Questo resta l’unico modo per prevenire l’entrata della giustizia nella scuola e i conseguenti danni.

Ma nonostante tutto, di fronte alla questione dei “presunti maltrattamenti a scuola”, si continua ad assistere al silenzio assordante di MIUR, politica e sindacati col solo risultato di veder screditate l’intera categoria professionale delle maestre e l’istituzione scolastica.

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