Maltrattamenti agli alunni? Se ne occupi la Scuola ma non la Giustizia

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Oramai sono abituato a essere interpellato laddove sarebbero avvenuti presunti maltrattamenti ai danni dei bimbi nelle scuole pubbliche (il privato è un’altra storia).

Visiono come al solito accuratamente le sequenze filmate (spesso di una noia mortale) e vi trovo al massimo delle energiche sgridate (sempreché il magistrato abbia autorizzato anche la registrazione audio e non solo quella video).

Magari vola qualche scappellotto di troppo che, negli anni ’70, passava sotto silenzio anche perché, parlandone a casa, rischiavi il rincaro della dose da parte dei genitori. Oggi che padre e madre sono divenuti i sindacalisti dei figli e l’alleanza scuola-famiglia è solo un bel ricordo, si assiste invece a una lotta senza quartiere. A sedare la rissa non basta più neanche il dirigente scolastico ma viene inopinatamente interpellata l’Autorità Giudiziaria che trasforma la palla di neve in valanga. Come? Presto detto. Come per incanto, la trascrizione dei filmati con l’estro di Agatha Christie rende appassionante ciò che alla vista era risultato noioso e trasforma in noir il quotidiano svolgersi delle lezioni. Tanto per restare nel pratico citerò gli addebiti a due maestre che cercavano di svolgere al meglio il loro dovere dandosi reciprocamente una mano per superare situazioni difficili. Costoro avrebbero avuto:

  • volontà di sottoporre il soggetto attivo e passivo a sofferenze fisiche e morali;
  • atteggiamento aggressivo, prepotente e violento;
  • responsabilità di un gravissimo quadro di oppressione e intimidazione;
  • responsabilità di un clima di tensione e di paura generalizzato;
  • responsabilità di un disegno criminoso
  • manifesta intesa criminale collaudata tra le due insegnanti indagate;
  • responsabilità di una disciplina innaturale di silenzio e immobilità basata sulla paura.

A confutare quanto sopra vi erano tutti i filmati e il clima che si respirava nella classe: assolutamente normale in ogni momento, disciplinato, corretto e soprattutto sereno. Come confermavano le testimonianze delle colleghe della scuola e del dirigente scolastico, nonché i riscontri oggettivi e puntuali dell’indagine ispettiva avviata dall’USR di competenza che evidenziava la “necessità di un confronto interministeriale (MIUR-MGG) ai fini di un intervento in favore della privacy violata dei docenti e dell’immagine della scuola lasciata sola di fronte a un indiscriminato ludibrio collettivo”. Infatti, come sempre, i giornali avevano crocifisso immediatamente le maestre sottoponendole alla gogna mediatica.

Riflessioni di ordine generale

Sembra di assistere alla classica tempesta nel bicchier d’acqua che si trasforma in tsunami. Quest’ultimo, a sua volta, travolge tutti i protagonisti a cominciare dalla piccola utenza con le relative famiglie, per finire con le maestre, l’intera categoria professionale e la società tutta.

Due sono le cause principali che rendono drammatica una situazione che sarebbe facilmente gestibile altrimenti:

  • La sfiducia dei genitori nell’Istituzione Scolastica che induce gli stessi a sporgere direttamente denuncia all’Autorità Giudiziaria, anziché più opportunamente rivolgersi al dirigente scolastico o all’Ufficio Scolastico di riferimento (UST/USR). Quest’ultimo avrebbe potuto attivare all’uopo un’indagine ispettiva evitando di veder intrapreso un percorso legale lento, farraginoso, ad alto costo per la comunità e soprattutto senza le necessarie competenze tecniche.
  • La scelta di affidare la sbobinatura dei filmati, nonché la loro trascrizione, al personale dell’Autorità Giudiziaria che non è certamente ricompreso tra coloro che sono considerati “addetti ai lavori” in materia di educazione/insegnamento/sostegno. Da questa decisione non può che scaturire una trascrizione romanzata, esagerata e soprattutto non aderente, né rispondente ai fatti occorsi.

Le 14 stazioni di una Via Crucis consolidata:

  1. sospetto di maltrattamenti da parte dei genitori di un alunno o di personale della scuola;
  2. denuncia all’Autorità Giudiziaria senza ricorrere all’intervento dell’istituzione scolastica (dirigente scolastico; UST; USR che possono attivare solo tardivamente l’indagine ispettiva come nel presente caso) con indagini ispettive decisamente più celeri;
  3. avvio delle indagini e posizionamento di telecamere nascoste per un lungo periodo che talvolta viene prolungato (la casistica riporta un minimo di 15 gg fino a un massimo di 4 mesi);
  4. contestazione dei reati alle maestre (spesso si comincia col contestare l’art. 572 che quasi sempre viene derubricato al 571 cpp). Si noti tra l’altro una circostanza assai significativa: quasi mai è stato operato un arresto in flagranza di reato a telecamere installate, evidentemente perché gli elementi non erano pienamente significativi e non richiedevano interventi immediati e urgenti a tutela della piccola utenza;
  5. sbobinatura dei filmati effettuata da non addetti ai lavori (nessuna competenza tecnica in educazione/insegnamento/sostegno);
  6. trascrizione dei filmati effettuata dal medesimo personale incompetente in materia, risulta spesso impropria/interpretata/esagerata/ingigantita (rimproveri diventano urla, i buffetti schiaffi, il contenimento violenza etc);
  7. spettacolarizzazione dell’inchiesta, violazione della privacy e gogna massmediatica per imputato e familiari a seguito di fuga di notizie (vedi come esempio l’episodio occorso a Latina su tutti: striscioni allo stadio e sui ponti dell’autostrada, scritte sui muri della scuola con nome e cognome delle maestre indagate);
  8. frequente costituzione di parte civile da parte di famiglie che chiedono risarcimenti per non meglio comprovati danni psichici nei propri bambini. Vi è spesso qualche sprovveduto che ritiene di potersi arricchire alle spalle delle disgrazie altrui;
  9. sospensione cautelare dall’insegnamento per un periodo imprecisato e, a seconda dei casi, arresti domiciliari;
  10. intervento dell’USR che per parte amministrativa sospende lavoro e retribuzione alla maestra lasciando solo l’assegno alimentare;
  11. condanna dell’insegnante che ricorre al patteggiamento (quindi senza che vi sia ammissione di colpevolezza come riconosciuto dalla sentenza C. Cass. n°4170 del 2-02-2016) unicamente per abbattere lo stress psicologico, i tempi del processo nonché i relativi costi. Si aggiunga inoltre che il patteggiamento rappresenta una sorta di “riduzione del danno” anche per il PM che, dopo aver speso migliaia di euro di denaro pubblico (si veda fattura al processo 2016 di VR), sarebbe in imbarazzo nel dover giustificare i costi dell’attività investigativa in caso di assoluzione dell’imputato;
  12. sfiducia conseguente dei genitori degli alunni che non vedono più nella scuola un punto di riferimento sicuro per la crescita dei loro ragazzi;
  13. sentenza: dopo 2-3 anni vi si arriva solo in caso di patteggiamento, mentre il processo ordinario richiede tempi più lunghi. Nella speranza che si arrivi alle stesse conclusioni assolutorie di casi famosi come Brescia, Rignano Flaminio e quello più recente di Treviso, vi è la certezza che i giornali dedicano ampio spazio solo in caso di condanna che fa notizia a differenza di un verdetto di assoluzione;
  14. svilimento della categoria professionale delle maestre con conseguente rottura dell’alleanza scuola-famiglia e indebolimento delle due agenzie educative, nonché impoverimento della società tutta. Le nuove generazioni cresceranno con un riferimento in meno, divenendo sempre più fragili.

Conclusione

I panni sporchi si lavano in casa ed è la Scuola che deve pensare a se stessa senza poter pensare che qualcun altro (la Giustizia) possa fare il lavoro (sporco) al suo posto. Si eviterebbero così evidenti equivoci, tempi lunghi nell’intervento a tutela dei piccoli, nonché sperpero di denaro pubblico. Smetteremmo infine di gettare discredito e infamia, con la gogna massmediatica, sull’intera categoria professionale che, vedendo perpetuare la dinamica di cui sopra, vedrebbe lesi i propri diritti e disprezzati i propri sforzi. Chi mai restituirà alle maestre la debita dignità?

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