Maltrattamenti a scuola e stress maestre: un nuovo spiraglio dal Procuratore Capo d’Isernia?

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Gli episodi di “presunti maltrattamenti” a scuola sono quasi quotidiani ma non riusciamo ad assuefarci perché riguardano bimbi piccoli e indifesi.

Ci fanno talvolta perdere l’obiettività necessaria ad analizzare un fenomeno in prepotente crescita che, per fortuna, non ha fatto ancora registrare fatti gravi (come quelli che avvengono dentro alle mura domestiche) limitandosi a scappellotti, strattonamenti, schiaffi etc.

Ma l’indignazione, esprimendosi in gogna mediatica, processi pubblici sommari e insulti alle maestre inquisite, non arriva a proporre soluzioni di sorta se non proposte demagogiche quali l’installazione di telecamere (che ricordiamo essere una prevenzione secondaria e non primaria) e l’inasprimento delle pene come deterrente.

Dunque occorre l’analisi che nessuno sembra voler fare. Il MIUR? Silenzio assoluto. Il Ministero di Grazia e Giustizia (MGG)? Nonostante le centinaia di processi incardinati, nemmeno una riflessione sul fenomeno nel suo complesso. Un tavolo interministeriale MIUR-MGG? Inimmaginabile.

Una proposta di riflessione sulla questione da parte delle parti sociali? Solo timidi cenni da parte di Anief e Gilda e silenzio assoluto dai sindacati più rappresentativi. In compenso vi è la politica, che si riempie la bocca di telecamere (dannose, dispendiose e inutili) per le quali non vi sono nemmeno i soldi.

Avendo avuto prima cura di mescolare tutto in un unico calderone quasi fossero la stessa cosa: il pubblico col privato, gli asili con i reparti di lungodegenza, le residenze per anziani con i nidi e via discorrendo. Insomma una grande insalata russa che continua a montare col solo risultato di vedere le Forze dell’Ordine a spiare maestre e sperperare ingenti risorse pubbliche in attività d’indagine quanto meno dai metodi discutibili (vedi precedenti articoli) col conseguente intasamento dei tribunali.

Dopo questa sconsolata ma necessaria premessa cerchiamo di vedere se ci può essere qualche segnale di inversione di rotta. Questo per fortuna ci viene dalle parole del Procuratore Capo d’Isernia Carlo Fucci che, in conferenza stampa, ha presentato l’ultimo caso in ordine di tempo di “presunti maltrattamenti” a Venafro (IS), cercando di darsi una spiegazione del fenomeno anziché lasciarsi alla facile condanna degli episodi e delle insegnanti. Vediamo le affermazioni rilasciate all’ANSA in conferenza stampa venerdì 18 gennaio commentandole attentamente una ad una.

CF: “Il rapporto con i bambini di quell’età richiede una preparazione che non può essere affidata soltanto alla capacità della ‘buona madre di famiglia’, serve altro e questo è ormai un dato certo. Riqualificazione del personale e piani di decompressione, perché il rapporto con i bambini può creare problemi alle insegnanti. È comprensibile che, occuparsi ogni giorno di venti bambini con esigenze diverse, può creare momenti di ‘sfasamento’ dell’insegnante”.

Riflessione: il procuratore capo non punta subito il dito sul misfatto ma va alla ricerca delle cause. Pur non essendo uomo di scuola né tantomeno buona madre di famiglia, afferma senza alcuna titubanza che il rapporto con tanti bambini prescolari (fino a 29 dice la legge) necessita di professionalità qualificata e decompressione perché soggetto a “sfasamento” (noi lo chiamiamo burnout).

CF: “Forse servono più maestre, occorre prevedere interruzioni nel rapporto: ma questo rientra nelle competenze della pubblica istruzione.”

Riflessione: Fucci poi si avventura nello spinoso terreno delle proposte. Forse occorrono più maestre, un minore numero di alunni per insegnante, pause di lavoro… ma tutto ciò rientra nelle competenze del MIUR e il procuratore capo capisce di aver già detto troppo, magari sconfinando in un terreno che non gli è proprio.

CF: “Si può anche parlare di telecamere, che naturalmente necessita di un intervento normativo, ma è necessaria una maggiore prevenzione. Quando interveniamo lo facciamo su un dato patologico, quindi c’è repressione che al contempo ha una finalità preventiva. Un fenomeno che non può essere eliminato a livello generale, ma può essere ridotto di molto”.

Riflessione: La questione delle telecamere viene rimandata correttamente da Fucci al dibattito parlamentare che ha luogo in questi giorni, senza però dimenticare che possono rappresentare un aiuto ma non certamente la soluzione. Le videoregistrazioni altro non sono – ricorda il Procuratore Capo d’Isernia – uno strumento di prevenzione secondaria e al massimo un deterrente.

CF: “I presunti maltrattamenti a scuola sono una questione che va affrontata, probabilmente, a livello nazionale”.

Riflessione: È questa l’affermazione che, seppur più corta, ci offre maggiore speranza. Sembra un’affermazione banale ma non lo è affatto. Oltre 200 casi di presunti maltrattamenti dal Piemonte alla Sicilia, dal Veneto al Molise, dalle Marche alla Calabria, passando attraverso tutte le altre Regioni fino a Lombardia, Emilia-Romagna e Lazio. È veramente un problema nazionale. Ma in realtà il problema è doppio, se non addirittura triplo. Riguarda infatti la tutela dell’incolumità degli alunni, quindi i metodi d’indagine adottati per le inchieste, infine la proposta risolutiva vera e propria che MIUR e MGG sono chiamati a condividere uscendo dal loro torpore. Se l’intervento di Fucci è il benvenuto, non ci si dimentichi delle centinaia di processi che hanno evidenziato incontestabili problemi nei metodi d’indagine adottati dall’Autorità Giudiziaria nella scuola: inquirenti non addetti ai lavori che nulla sanno di insegnamento, educazione e sostegno, decontestualizzazione delle immagini, estrapolazioni di trailer selezionati ad arte, drammatizzazione delle trascrizioni, autorizzazione alle videoregistrazioni ad libitum per centinaia di ore (pesca a strascico), atti di contenimento di disabili interpretati per violenze e via discorrendo. Ne danno atto documenti processuali in ogni luogo dove il confronto serrato tra giudici nei tribunali dimostrano quanto inadatti sono nella scuola i metodi usati per perseguire la criminalità. A parlare chiaro in proposito è il principio di diritto della Suprema Corte che recita: “In tema di maltrattamenti il giudice non è chiamato a valutare i singoli episodi in modo parcellizzato ed avulso dal contesto, ma deve valutare se le condotte nel loro insieme realizzino un metodo educativo fondato sulla intimidazione e la violenza… attuata consapevolmente anche per finalità educative astrattamente accettabili” (Cass. Sez. 6 n. 8314 del 25.06.96). È però altrettanto assurdo pretendere che un magistrato veda tutte le centinaia d’ore di videoregistrazione effettuate: quanto costerebbe all’erario dello Stato e quanto ulteriormente si ingolferebbe il nostro sistema giudiziario? Ma in qualche modo la cosa va risolta. Come possiamo dar torto al seguente Tribunale del Riesame che, visionati i filmati di un presunto maltrattamento, sospende sapientemente l’interdizione dall’insegnamento di una maestra perché ritiene che:

  • i singoli episodi non possono essere “smembrati” per ricavare dall’esame di ciascuno di essi la sufficiente gravità indiziaria;
  • gli episodi acquistano una diversa valenza se avulsi dal contesto di un’intera giornata di lezione della durata di 5 ore in un contesto quotidiano e mensile
  • le condotte della maestra, lungi dall’integrare il ricorso a sistematiche pratiche di maltrattamento, possono invece ricondursi allo svolgimento dell’attività di docenza
  • l’esame integrale dei filmati induce altresì ad escludere il fumus del reato di abbandono di minori contestato alla maestra
  • Laddove il tono di voce della maestra risulta innegabilmente alterato, va considerata l’episodicità (pochissimi i file audiovideo incriminati rispetto ai quasi 1.000 prodotti)
  • l’esame del materiale non consente di ritenere che la condotta della maestra integri la soglia del penalmente rilevante, connotandosi al più come espressione di discutibili metodi didattici che esauriscono la loro censurabilità in ambito disciplinare.

Conclusione. Un problema spinoso per la scuola (la categoria delle maestre), le famiglie (i bimbi), le istituzioni (MIUR e MGG coi tempi infiniti e i costi) e la politica. Ma la soluzione c’è e non sono né le telecamere, né le Forze dell’Ordine e si chiama “dirigente scolastico”. Smettiamo di sparare alla mosca col cannone e ripensiamo a come funzionavano bene le cose solo cinque anni fa. Non basterebbe semplicemente ripristinarle ricordando che tocca al dirigente scolastico, in quanto datore di lavoro, tutelare l’incolumità dell’utenza e la salute dei lavoratori? Non è in fondo questo il messaggio che ci ha lasciato Fucci? Non smetterò mai di affermare che la scuola è ambiente sicuro e che la miglior tutela dell’incolumità degli alunni passa inevitabilmente attraverso la salute degli insegnanti.

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