Malattie professionali docenti, Ministero economia nega i dati

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Siamo all’inizio del terzo millennio, ma ancora non è dato conoscere quali siano veramente le malattie professionali degli insegnanti.

Qualcuno potrebbe replicare che invece si parla di burnout da oramai diversi anni e la legge che tutela la salute dei lavoratori (art. 28 DL 81/08) prevede addirittura il monitoraggio e la prevenzione dello Stress Lavoro Correlato (SLC).

Tra gli operatori sanitari più aggiornati (e alla moda) circola poi il neologismo coniato di recente: rischi psicosociali. Ma burnout, SLC e rischi psicosociali non sono diagnosi mediche, né hanno valenza di malattia professionale. Senza una diagnosi non esiste una malattia, senza malattia non esiste nemmeno la cura e, soprattutto, la relativa prevenzione e il conseguente indennizzo. Ciascuno tragga ora le sue conseguenze domandandosi a chi giova una siffatta situazione che consente di risparmiare, alle spalle dei lavoratori, i soldi per la prevenzione e per i risarcimenti da causa di servizio.

Senza dubbio dobbiamo dare una risposta seria alla domanda: “Quali sono le malattie professionali degli insegnanti?”. Per ora disponiamo di studi territoriali dai risultati incontrovertibili: le inidoneità all’insegnamento presentano una diagnosi psichiatrica nell’80% dei casi. Sia ben chiaro che in questo caso stiamo parlando di vere e proprie “diagnosi mediche” operate non da un singolo medico (e magari di parte) ma da un intero Collegio Medico di Verifica (CMV) dipendente dal Ministero Economia e Finanze (MEF) e operante in tutto il Paese nei capoluoghi di regione dal 2010.

Sulla base di questo dato allarmante, tre anni fa (ALLEGATO 1), il sottoscritto insieme all’ Università Cattolica di Milano richiese al MEF (Ufficio III) di rendere pubbliche le statistiche dei verbali medici delle CMV per riconoscere ufficialmente le malattie professionali degli insegnanti, ma la risposta (telefonica e dunque unicamente verbale) esitò in un inspiegabile diniego. Le motivazioni addotte consistevano nella rigidità del sistema informatico e nella mancanza di risorse umane per effettuare il lavoro statistico. A nulla valeva ribattere che ci bastava avere accesso alle cartelle sanitarie cartacee per effettuare le elaborazioni a spese nostre. Nei tre anni trascorsi da quel diniego, ho cercato così di sensibilizzare diversi sindacati per ottenere quei dati, forte del fatto che alle Parti Sociali non potevano certamente essere negati sia per la trasparenza dell’accesso agli atti, sia per la tutela della salute dei lavoratori che il sindacato è sempre chiamato a promuovere.

Tra i vari sindacati sollecitati, il primo a raccogliere l’invito è stato quello della Gilda-Unams che, in data 31.05.18, ha inoltrato la medesima richiesta al titolare dell’Ufficio III del MEF (ALLEGATO 2). La risposta negativa del ministero è pervenuta a stretto giro recando, stavolta per iscritto, le stesse motivazioni avanzate tre anni prima: “il sistema informativo in uso, stante la sua attuale configurazione, non consente l’estrazione delle informazioni secondo le specifiche e le categorie di dati richieste da codesta Associazione” e ancora “Il livello di dettaglio delle informazioni e la necessaria elaborazione dei dati comportano un impiego di mezzi e di risorse umane che, alla luce dell’assetto e del carico di lavoro, non appaiono sostenibili da parte dell’organizzazione amministrativa”, per concludere che “In assenza di una codificazione dei dati e di una funzionalità che consenta il filtro nei termini richiesti, la domanda presentata da codesta associazione non può essere accolta”.

In altre parole la situazione è rimasta immutata negli ultimi tre anni, ma ciò che indispone è che lo rimarrà anche per i prossimi trenta a meno che il sindacato non esiga fortemente quei dati che consentono di riconoscere, prevenire e risarcire le malattie professionali della categoria professionale insegnante. Se il sistema informatico del MEF non è adeguato, lo si modifichi (ogni sistema informatico o database può essere aggiornato in base alle specifiche prescelte) o lo si sostituisca. Se poi non ci sono fondi, si quantifichi immediatamente la spesa e se ne chieda la copertura alla politica sollecitata dal sindacato. Infine si dia subito libero accesso alle cartelle cliniche, e allo stesso sistema informatico in dotazione al MEF, affinché professionisti medici, legati al segreto professionale per superare ogni problema di privacy, avviino da subito gli studi scientifici improcrastinabili sulla categoria professionale dei docenti. La risposta di indisponibilità del MEF ad effettuare un lavoro, non significa che altri non possano farlo in sua vece. Di sicuro non è possibile perdere altro tempo e accettare passivamente il veto del MEF all’utilizzo di dati imprescindibili che appartengono ai lavoratori.

La politica non ignori la questione e i sindacati si riapproprino del loro compito di tutelare la salute dei lavoratori: è imbarazzante dover ripetere che, all’alba del terzo millennio, non conosciamo ancora le malattie professionali degli insegnanti.

Con la partecipazione attiva degli insegnanti, della politica, delle istituzioni e dei sindacati si può venirne a capo confidando anche nell’evangelico adagio: “Bussetti e vi sarà aperto”.

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