Maestra sospesa, famiglia si rivolge ai carabinieri. Invasività genitori e norma su sospensioni, una riflessione

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In Friuli Venezia Giulia da giorni non si parla praticamente che di quanto accaduto in una scuola in provincia di Gorizia dove una maestra di una scuola elementare di Farra d’Isonzo, come ha reso noto la stampa, “è stata sospesa dall’insegnamento per sei mesi dal gip di Gorizia come misura cautelare adottata al termine di indagini dei carabinieri avviate dopo le confidenze di alcune mamme.

Gli investigatori hanno accertato che l’insegnante aveva instaurato in classe un clima «mortificante e insostenibile», con ripetute minacce, offese, ceffoni sulla nuca, urla e umiliazioni come reazione agli errori commessi dai bambini durante l’attività didattica”.

A ciò è seguita una reazione da parte di diverse famiglie che hanno invece manifestato piena solidarietà nei confronti della maestra. Alcune considerazioni sono dovute. Come prima cosa lascia perplessi il fatto che le famiglie interessate abbiano deciso di rivolgersi direttamente ai Carabinieri e non alla scuola, almeno questo è quello che sembra emergere. Ciò denota una mancanza di fiducia nei confronti del sistema scolastico? Dell’apparato complessivo di vigilanza? Sia esso periferico che centrale? Così come lascia perplessi la reazione di diverse famiglie che hanno manifestato solidarietà alla maestra. Atto comprensibile.

Ma se gli inquirenti hanno adottato un provvedimento che comunque non ha condotto all’arresto, come accaduto in altri casi, significa che qualche elemento importante è in loro possesso. Ed allora qui sorge un semplice quanto profondo interrogativo.

In questo contesto storico e sociale alle famiglie è stato riconosciuto troppo “potere” di invasività nelle scuole, lo abbiamo registrato in altri casi, non ci si deve dimenticare che il docente è anche pubblico ufficiale nell’esercizio della sua funzione, ha un ruolo delicato ed importante, forse dei paletti andrebbero collocati.

La vigilanza è dovuta, ma con determinati limiti e con il dovuto rispetto. E comunque in Italia esiste il principio generale della non colpevolezza, è vero, ma i processi si fanno nelle Aule di Tribunale, la Giustizia deve avere il suo ordinario corso senza che venga tirata per la canonica giacchetta.

Quindi, prima di tirare le somme, in casi come questi, è meglio attendere l’esito sostanziale e procedurale dell’intera vicenda.

Come è noto in materia di sospensione cautelare nella scuola l’abrogazione dell’art. 506 del D.Lgs 297/1994, ha ripristinato norme del DPR n. 3 del 1957, che prevedevano tre ipotesi di sospensione cautelare: la sospensione cautelare disposta dall’autorità giudiziaria procedente una misura cautelare restrittiva della libertà personale (art. 91, comma 1, DPR n. 3/57); la sospensione cautelare in caso di procedimento penale particolarmente grave ( art. 91, comma 1 DPR 3/1957); la sospensione cautelare per gravi motivi anche prima che si sia esaurito o iniziato il procedimento disciplinare ( art. 92, comma 1, DPR 3/1957). In merito a questa ultima ipotesi, che è quella più ricorrente nel settore scolastico, in base al citato articolo, il ministro puo’, per gravi motivi, ordinare la sospensione dell’impiegato dal servizio anche prima che sia esaurito o iniziato il procedimento disciplinare.

Per il personale docente si può desumere che è obbligatoria in caso di misura cautelare restrittiva della libertà personale (art. 91, comma 1, DPR n. 3/57); in caso di condanna anche non definitiva per peculato, corruzione, concussione (art. 4, comma 1, L. 97/2001) . Facoltativa in caso di procedimento penale particolarmente grave (art. 91, comma 1 DPR 3/1957 ); per gravi motivi anche prima che si sia esaurito o iniziato il procedimento disciplinare (art. 92, comma 1, DPR 3/1957. La Corte di Appello di Bologna sezione lavoro, con Sentenza del 29 aprile 2016 ha affermato che il CCNL Comparto Scuola 2007 all’art. 91 stabilisce che al personale docente “continuano ad applicarsi le norme di cui al Titolo I, Capo IV della Parte III del D.Lgs. n. 297 del 1994” (ovvero gli articoli dal 492 al 508): è pertanto chiara la volontà delle parti sociali di mantenere in vita, recependola, la legge previgente la c.d. privatizzazione del pubblico impiego.

L’adozione del provvedimento di sospensione cautelare non è – con riferimento al personale docente – pertanto condizionata dall’ulteriore requisito dell’esercizio dell’azione penale (rinvio a giudizio) richiesto per il personale ATA. Non osta a tale conclusione il fatto che l’art. 91 rinvii alle norme disciplinari, posto che la sospensione cautelare è strumentale all’esercizio del potere disciplinare.”

Il provvedimento adottato dal MIUR in caso di sospensione cautelare, può dunque essere considerato legittimo, “essendo sufficiente alla luce della normativa contrattuale collettiva la sola apertura del procedimento penale Per completezza va in ogni caso precisato che, anche a volersi argomentare diversamente, la mancanza di una specifica disposizione legale e/o contrattuale non precluderebbe all’amministrazione di appartenenza di disporre la sospensione cautelar e del dipendente – ferma restando la verifica della legittimità dei motivi posti alla base della decisione – poiché tale facoltà è espressione del potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro (cfr. per tutte Cass. n. 2361/98).”

Dal punto di vista penale, Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 04-02-2016) 26-02-2016, n. 8074 afferma dei principi importanti in materia. “ L’abuso del mezzo di correzione si pone infatti come abuso di un potere di cui alcuni soggetti sono titolari nell’ambito di determinati rapporti (di educazione, istruzione, cura, custodia, ecc.), potere che deve essere esercitato nell’interesse altrui, ossia di coloro che possono diventare soggetti passivi della condotta.

Con più particolare riferimento all’ambito scolastico, il concetto di abuso presuppone l’esistenza in capo al soggetto agente di un potere educativo o disciplinare che deve essere usato con mezzi consentiti in presenza delle condizioni che ne legittimano l’esercizio per le finalità ad esso proprie e senza superare i limiti tipicamente previsti dall’ordinamento.

Ne consegue che, da un lato, non ogni intervento correttivo o disciplinare può ritenersi lecito sol perchè soggettivamente finalizzato a scopi educativi o disciplinari; e, d’altro lato, può essere abusiva la condotta, di per sè non illecita, quando il mezzo è usato per un interesse diverso da quello per cui è stato conferito, per esempio a scopo vessatorio, di punizione esemplare, per umiliare la dignità della persona sottoposta, per mero esercizio d’autorità o di prestigio dell’agente, etc..

I mezzi di correzione, oggetto di esercizio illecito, devono ritenersi solo quelli per loro natura a ciò deputati, che tendano cioè alla educazione della persona affidata alla propria cura e, quindi, allo sviluppo armonico della personalità, sensibile ai valori della tolleranza e della pacifica convivenza. Si è a tal riguardo affermato che l’uso sistematico della violenza o di trattamenti afflittivi della personalità del minore, anche se sostenuto da animus corrigendi, non può rientrare nell’ambito della fattispecie di abuso dei mezzi di correzione, ma concretizza, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, gli estremi del più grave delitto di maltrattamenti (tra tante, Sez. 6, n. 53425 del 22/10/2014, B., Rv. 262336; Sez. 6 del 14/06/2012, n. 34492, V.G., Rv. 253654).

L’esercizio della funzione correttiva con modalità afflittive e deprimenti della personalità, nella molteplicità delle sue dimensioni, contrasta infatti con la pratica pedagogica e con la finalità di promozione dell’uomo ad un grado di maturità tale da renderlo capace di integrale e libera espressione delle sue attitudini, inclinazioni ed aspirazioni.

Pertanto quando un siffatto esercizio, nel contesto della famiglia ovvero di rapporti di autorità o di dipendenza, si ripeta con abituale frequenza nei confronti dello stesso soggetto, l’intento correttivo resta escluso e si versa nell’ipotesi criminosa dell’art. 572 cod. pen., dei maltrattamenti in famiglia avverso fanciulli (Sez. 6, n. 2609 del 25/09/1995 – dep. 1997, Aprile, Rv. 207527). Perchè si possa ravvisare la fattispecie di cui all’art. 571 cod. pen. occorre in definitiva che la condotta rientri nell’esercizio di un potere educativo o disciplinare (sono da escludersi invero atti che non sia finalizzati ad una finalità di “correzione”) e che non siano usati mezzi di per sè illeciti sia per la loro natura che per la potenzialità di danno.”

A sua volta, per la configurabilità del reato di maltrattamenti l’art. 572 cod. pen. occorre in ogni caso che la vittima sia sottoposta ad una serie di sofferenze fisiche e morali in modo abituale, instaurando l’agente un sistema di sopraffazioni e di vessazioni che avviliscono la sua personalità (tra tante, Sez. 6, n. 3570 del 01/02/1999, Valente, Rv. 213516).

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