Lingua 2 come classe di concorso, “i tempi sono maturi”. Un’esperienza

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Secondo Margareth (16 anni), le “leggine”, cioè le leggi prodotte dalle commissioni parlamentari permanenti in sede deliberante hanno il pregio di essere varate in breve tempo ma mettono in pericolo il principio democratico.

Secondo Margareth (16 anni), le “leggine”, cioè le leggi prodotte dalle commissioni parlamentari permanenti in sede deliberante hanno il pregio di essere varate in breve tempo ma mettono in pericolo il principio democratico.

Questo poiché vengono votate da non più di una ventina di parlamentari senza che gli altri sappiano nulla e si prestano alla corruzione grazie alle spinte delle lobbies.

Marghareth, studentessa di seconda di un istituto tenico commerciale, è arrivata dal Ghana solo due anni orsono senza conoscere una parola della lingua italiana. Assistere a una sua interrogazione è un’autentica emozione. Colpisce la sua sicurezza nel cogliere il significato delle domande, colpiscono la precisione e l’intelligenza delle risposte. Vien voglia di dare un dieci a lei ma soprattutto alla scuola italiana che spesso nella solitudine di tanti suoi insegnanti sta fronteggiando con competenza ed efficacia, con tanti oneri, pochi onori e pochissimi emolumenti l’emergenza indotta dalle immigrazioni massive soprattuto nel Centro Nord del nostro Paese. L’apprendimento della lingua italiana per i bambini e i ragazzi provenienti da decine e decine di Stati diversi è stata e continua a essere un’emergenza non solo didattica nelle nostre aule. Eppure la scuola italiana ce la sta facendo.

Con i suoi insegnanti sottopagati, con i consigli di classe sempre allertati, con i collegi dei docenti perennemente animati da propositi che appaiono velleitari e che invece si traducono il più delle volte in miracoli che sono ben più di un solo miracolo. Non c’è solo Margareth. C’è la sua sorella gemella, i suoi compagni albanesi, turchi, cinesi, magrebini, georgiani.

Ci sono gli studenti della Moldavia e altri, centinaia di migliaia (730.000) di altri studenti arrivati in Italia da ogni parte del mondo con un carico di speranze e con una lingua che “la capiscono solo loro, prooof!”. Le scuole si attrezzano, istituiscono corsi annuali e biennali di L2 (lingua italiana per stranieri). Quando non basta interviene la complessa normativa sui Bes, i bisogni educativi speciali, che si preoccupa anche del disagio di tipo linguistico dei nostri alunni. I consigli di classe predispongono il Pei (progetto educativo individualizzato) prima per obiettivi minimi, poi per obiettivi sempre più alti, fino ad abbandonare progetti e strategie perché sempre più spesso gli alunni stranieri diventano i più bravi della classe.

Basta leggere i risultati pubblicati sulle vetrate delle scuole a fine anno; alunni taliani “rimandati” anche in Italiano e alunni stranieri spesso con voti alti anche in Italiano. Simion Puiu, by Moldavia, si è appena diplomato discutendo una tesina in Scienza delle Finanze sugli 80 euro di Renzi. Lo ha pure contattato la redazione di Porta a Porta quando Bruno Vespa ha saputo. Gli esempi di veloce integrazione linguistica, pur tra tanti esempi di fallimento, nelle scuole italiane, non si contano più.

E sarebbe un disastro se non fosse così. Già, perché nel corso di un intervento agli Stati generali della lingua svoltosi a Firenze, la ministra Giannini ha ribadito che è del 10 per cento la percentuale di studenti stranieri nelle nostre scuole. “La lingua italiana – ha insistito la ministra, secondo la quale si rende necessaria una nuova generazione di maestri e professori, formati per insegnare loro la lingua italiana – deve diventare strumento di inclusione e integrazione dei tanti alunni stranieri”.

Giannini ha poi confermato che “ci sarà una nuova classe di concorso, i tempi sono maturi”. Si riferisce alla proposta di istituire una classe di concorso ad hoc, in modo da alleggerire il compito dei tanti docenti di lettere che attualmente si occupano dell’insegnamento di L2 nel tempo lasciato loro libero dalla didattica di routine nelle loro aule. E il sottosegretario Toccafondi, rispondendo all'interrogazione della senatrice Montevecchi, ha confermato le intenzioni di istituire “una classe di concorso per l'insegnamento dell'italiano come lingua straniera”, precisando che “il regolamento sulle nuove classi di concorso è emanando”.

Nonostante il crescente numero di studenti stranieri all’interno delle scuole di ogni ordine e grado , “è bene precisare che non esiste ancora una classe di concorso specifica per l’italiano L2 – spiegano all’Università per stranieri di Perugia – e quindi una figura docente espressamente inquadrata su questo ruolo.

All’interno della scuola pubblica sarà quindi possibile inserirsi come docente di un insegnamento disciplinare d’ambito umanistico previo adeguamento alle normative ministeriali in materia di reclutamento ed accesso all’insegnamento”. La professoressa Marcella Donà insegna Italiano e Storia presso l’Istituto Tecnico Economico “Barozzi” di Modena. Da alcuni anni svolge all’interno della sua scuola l’insegnamento di L2 per alunni stranieri appena arrivati dall’estero e inseriti in classe sia pure privi della conoscenza della nostra lingua.

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Professoressa Donà, da quanto tempo svolge questa attività a scuola?

“Questo è il mio terzo anno nel quale mi occupo di insegnamento della lingua italiana come L2”.

Quali sono le difficoltà incontrate dagli insegnanti di Lettere nell’ambito di questo servizio?

“Le prime difficoltà sono di tipo organizzativo: pianificare e concordare l’orario, avvisare gli alunni, i docenti, le famiglie, trovare un’aula disponibile (ma dall’anno scorso abbiamo un’auletta solo per noi..), acquistare libri o altro materiale didattico. Ma, per fortuna, di tutto questo e di molto altro si occupa la Funzione Strumentale, io sono solo una delle docenti impegnata ‘sul campo’, con i ragazzi. Voglio precisare che, nell’Istituto nel quale lavoro, non necessariamente i corsi di L2 sono gestiti da insegnanti di Lettere, a volte anche colleghi di lingue straniere o di altre discipline, che avevano esperienza nel settore, hanno tenuto i corsi”.

Come hanno risposto gli studenti?

“E’ difficile dare una risposta univoca: per quanto riguarda la mia esperienza, posso dire che in generale, apprezzano sia il lavoro che viene svolto, sia il rapporto che si stabilisce tra noi insegnanti e loro. In genere lavoriamo con 8-10 ragazzi per gruppi di livello (livello1, cioè i neo-arrivati e livello2, per chi deve approfondire le strutture più complesse della lingua italiana e ampliare il lessico) e il numero così basso favorisce la relazione. Quando si sentono più sicuri, i ragazzi riescono a parlare delle loro difficoltà, chiedono spiegazioni riguardo aspetti della lingua e della cultura italiana e interagiscono in modo positivo e costruttivo”.

Quali sono le difficoltà manifestate in genere dagli studenti stranieri?

“Le difficoltà? Pensiamo a come si potrebbe sentire ognuno di noi, catapultato da un giorno all’altro in una scuola cinese, russa, marocchina… La non padronanza della lingua è sicuramente l’aspetto più evidente ma non è l’unico”.

Quali sono gli altri problemi?

“Questi ragazzi devono fare i conti con una mentalità nuova, un’organizzazione scolastica a volte molto diversa da quella a cui erano abituati, la mancanza di amici, l’isolamento dopo la scuola, a volte si riuniscono con nuclei famigliari che quasi non conoscono.

Per esempio?

“Spesso ho incontrato alunni che, dopo essere stati allevati dai nonni, si ritrovavano a vivere con genitori e fratelli praticamente sconosciuti, altre volte devono accettare i nuovi compagni/e del genitore”.

Per quanto riguarda l’ambito più strettamente scolastico?

“Anche qui non posso fare un discorso omogeneo: la lingua d’origine può essere più o meno lontana da quella italiana e così l’apprendimento risulta più o meno faticoso. Per spiegarmi meglio, un ragazzo o una ragazza provenienti da un Paese sudamericano dove si parla lo spagnolo o dal nord Africa, dove il francese è lingua di studio, troveranno alcune somiglianze con l’italiano che l’aiuteranno, almeno in una prima fase, ad apprendere più velocemente rispetto ad un cinese. Ma incidono anche altri fattori”.

Per esempio?

“Per esempio le aspettative della famiglia, l’inserimento dello studente in un gruppo di pari, la scolarizzazione dei genitori, le opportunità di usare la lingua al di fuori della scuola… Per tutti però, la lingua dello studio, il linguaggio settoriale specifico di ogni disciplina e l’italiano scritto, rappresentano ostacoli che richiedono tanto lavoro individuale e tanto tempo”.

E’ vero che almeno in certi casi, i risultati si vedono già dopo pochi mesi? Com’è possibile?

“Come ho detto prima, dipende da tanti fattori ma è vero, a volte in pochi mesi alcuni alunni riescono ad esprimersi e a padroneggiare le strutture di base della lingua. Ritengo però, almeno per la mia breve esperienza che l’apprendimento di una lingua non si esaurisca in un quadrimestre”.

Quali sono le nazionalità di provenienza in relazioni alle quali si notano le migliori performances?

“Credo che non si possa fare un discorso generale, potrei citare un’alunna brasiliana, una ucraina e un ragazzo marocchino che hanno lavorato tantissimo e hanno raggiunto ottimi risultati”.

Quali sono le difficoltà incontrate da questi alunni all’interno delle classi?

“Con i coetanei, la difficoltà nello stabilire un rapporto d’amicizia. A volte però trovano qualche studente del proprio Paese e allora diventa un po’ più facile farsi capire. Poi come ho già detto, le difficoltà riguardano l’ambientamento generale. Spesso questi ragazzi restano muti e apparentemente apatici all’interno della classe per poi aprirsi e partecipare nel piccolo gruppo, quando si riuniscono agli altri allievi per imparare l’italiano”.

Come giudica la proposta di istituire una classe di concorso specifica per l’insegnamento della lingua italiana agli alunni stranieri?

“Credo che sia una buona proposta. La presenza di studenti stranieri in Italia si aggira intorno al 10 per cento e servono persone qualificate per insegnare loro la nostra bellissima lingua. Non basta la laurea in Lettere”.

Tempo fa qualcuno aveva proposto l’istituzione di classi differenziate per alunni stranieri, poiché i medesimi stando alle preoccupazioni di tanti genitori, rallenterebbero la didattica. Esiste davvero questo problema?

“E’ un argomento complesso: da una parte penso che, se i ragazzi stranieri potessero avere una classe solo per loro, dove lavorare con insegnanti preparati nell’insegnamento dell’italiano come L2 ma anche dove poter affrontare tematiche relative alle culture d’origine, all’area matematica e al linguaggio specifico delle altre discipline scolastiche, certo potrebbero entrare poi nelle classi comuni con un bagaglio di conoscenze molto più solido. Spesso ho visto ragazzi abbattersi perché le difficoltà possono diventare insormontabili. Dall’altra parte non so come, all’interno di un Istituto superiore questa classe ‘speciale’ potrebbe integrarsi ed essere vista dagli altri studenti. Non sono d’accordo comunque con chi pensa che il lavoro in classe venga rallentato dai ragazzi stranieri”.

La presenza di alunni stranieri può rappresentare un arricchimento per gli alunni italiani?

“Ho lavorato tanti anni in una scuola elementare con altissima presenza di bambini provenienti da tutto il mondo, da cinque anni insegno alle superiori e mi sento di dire che la presenza di ragazzi stranieri è stata soprattutto un arricchimento per me. Sono convinta che il mio essere italiana vada difeso e affermato, sono legata alle tradizioni, alla religione alla cultura del mio Paese ma lo scambio e l’arricchimento reciproco, il riconoscersi come parte di un’unica umanità dovrebbe essere il fondamento per una cultura del rispetto e della conoscenza tra le diverse realtà del mondo. Non so come i miei studenti percepiscano la presenza di ragazzi stranieri in mezzo a loro: secondo me, sono talmente abituati che la vivono con estrema naturalezza e spontaneità, come solo un adolescente sa fare”.

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