L’importanza di dare un senso alla didattica a distanza. Lettera

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inviata da Barbara F. Rubini – Gent. Ma Ministro Azzolina, sono una docente di scuola secondaria di I grado.

Vorrei sentitamente ringraziarla per le belle parole con le quali ha elogiato tutti quegli insegnanti – e sono davvero tanti – che si sono presi a cuore i loro ragazzi, attivandosi da subito con tecniche, talvolta rocambolesche, per la didattica a distanza.

            Ma questa mia non ha la finalità di porgere solo un doveroso ringraziamento a Lei e ai nostri colleghi, ma anche quella di ringraziare sinceramente tutti quei ragazzi che, pur con tutte le difficoltà di ogni singolo caso, hanno sin dall’inizio risposto con una partecipazione viva, attiva, volenterosa, entusiastica.

Si tratta di una situazione anomala, grave, complicata da comprendere per bambini appena cresciuti. Su questo vorrei cominciasse la mia riflessione e Le chiedo, in un momento in cui è certamente oberata di impegni lavorativi e sommersa da decisioni da prendere, di ascoltare quanto sto per dirle, proprio per loro, i nostri ragazzi della scuola media.

Ogni scuola che si rispetti ha provveduto dal 9 marzo ad attivarsi tramite la DAD: ognuno ha impiegato le proprie risorse, i propri mezzi in termini logistici; nel giro di pochi giorni i nostri allievi hanno potuto fruire di lezioni, videolezioni, videoconferenze, documenti condivisi…Ogni scuola che si rispetti sta provvedendo a redigere delle opportune griglie valutative che tengano conto non solo delle conoscenze fino a marzo apprese, ma dell’impegno, della cooperazione tra pari e con i docenti, delle competenze chiave di cittadinanza, quali l’imparare a imparare, di cui forse, solo ora, abbiamo davvero compreso appieno il senso.

I media ci stanno tuttavia tempestando di notizie che vengono fornite con un taglio sensazionalistico, senza tenere presente la realtà dei fatti.

“Quest’anno per la scuola media tutti promossi” – era stamane uno dei titoli di un noto telegiornale. In questo modo, in maniera semplicistica, veloce, immediata, il mezzo di disinformazione ha tuonato una sentenza, rischiando di vanificare tutto il lavoro di quei docenti che Lei stessa ha lodato.

Sappiamo bene che andare a scuola è un diritto, sappiamo bene che ognuno dei nostri alunni dovrebbe farlo per ottenere un bagaglio di abilità, conoscenze e competenze utili nel proprio percorso di studi e di vita; eppure, è ben noto, la motivazione, alla loro età, nasce più dal raggiungimento di un obiettivo concreto e valutabile che dalla volontà di imparare. Forse è comprensibile sia così, lo è sempre stato, per tutti.

Laddove il Suo Ministero decidesse di annullare un esame conclusivo del primo ciclo d’Istruzione, di non pretendere almeno un orale, magari in videoconferenza, quale sarebbe la lezione di vita che daremmo ai nostri ragazzi?

È una emergenza. E nelle emergenze abbiamo visto medici in prima linea, personale sanitario rischiare la vita; abbiamo appurato che intere categorie di lavoratori si stanno adoperando, oltre ogni orario o vincolo lavorativo, in maniera volontaria, al fine di salvaguardare il nostro futuro.

La cosiddetta scuola media viene spesso trattata alla stregua di un’ancella dei due cicli scolastici, come momento di passaggio dalle fondamenta gettate dalla scuola primaria alle varie specializzazioni della scuola secondaria di II grado: siamo un semplice trait d’union? O forse questa scuola è quella dei momenti di crescita più complicati, quella del passaggio dall’età infantile a quella adolescenziale?

Voglio pensare che si tratti di un momento importante per i giovani. E a fronte di questa mia certezza, vogliamo invece dire ai nostri ragazzi che per loro sarà tutto semplice e immediato? Come si sentiranno coloro che, sin da subito, hanno profuso ogni forza o capacità volendo fermamente adempiere al loro dovere, studiare? Sì perché studiare, nella nostra società, è percepito come un dovere prima che come un diritto.

So di un numero – mi auguro limitato – di colleghi che abbraccia la causa sindacale secondo la quale la didattica a distanza non sarebbe un nostro obbligo lavorativo. Non sarebbe, se non fossimo in piena emergenza. Ma lo siamo. È una questione di buon senso! Per prima io stessa ero tra coloro che protestava di fronte a una Scuola affossata da Governi incapaci e superficiali, i cui responsabili non avevano mai messo piede in aula. Ora mi preme tuttavia sottolineare che la nostra è un’emergenza anche culturale; vi è la necessità di dire ai giovani che solo rimboccandosi le maniche si può arrivare ai propri obiettivi, che solo così il Paese può rinascere più forte di prima e, soprattutto, che c’è tanto di bisogno del loro impegno, sin da ora.

Mi piace citare le sue stesse parole: La didattica a distanza non è ‘disumanizzata ‘, anzi: da quello che vedo, dai racconti che mi arrivano dalle nostre scuole, la comunità educante si ritrova innanzitutto intorno alle emozioni, al confronto su ciò che stiamo vivendo, ai momenti di silenzio insieme, alle lacrime e ai sorrisi.

Se la didattica è qualcosa di umano, non riduciamo tutto a un “sei politico”, a un premiare un manipolo di non volenterosi, vanificando gli sforzi degli altri. E mi permetta ancora di richiamare la sua splendida lettera, nella fattispecie la citazione dello scrittore H.B. Adams: se la nostra influenza di docenti non può e non deve fermarsi, allora permetta ai ragazzi di credere che il valore del merito sia ancora tale.

Theodore Roosvelt Jr, il cui volto è scolpito sul monte Rushmore, ci dice una grande verità che abbiamo il dovere morale di trasmettere ai nostri giovani: È duro fallire, ma è ancor peggio non avere mai provato ad avere successo; in questo mondo non otteniamo nulla senza l’impegno.

La ringrazio infinitamente

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