L’aspirante preside più giovane d’Italia: servono dirigenti autorevoli, non autoritari

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Se alle prove del concorso da dirigente scolastico dovesse andare bene – come è successo durante la preselezione passata con 90,9 – Danilo Gatto potrebbe diventare il preside più giovane d’Italia.

Nato il 6 marzo di 28 anni fa, a Sant’Agata di Militello in provincia di Messina, il prof Gatto insegna in Sicilia, regione notoriamente in siccità di cattedre, grazie al diploma di scuola superiore. E’ anche laureato in ingegneria civile, ma ai fini della carriera da docente in materie tecnico pratiche (laboratorio di scienze e tecnologie meccaniche) e di futuro preside il titolo magistrale non gli ha cambiato molto, se non nell’approccio mentale e d’insieme delle situazioni, senza trascurare i dettagli. Nella sua visione, il nuovo preside deve essere più autorevole e meno autoritario.

Professor Gatto, quali sono le capacità e le qualità che oggi sono richieste a un preside?

Sicuramente il dialogo. Il dirigente scolastico deve avere soprattutto competenze relazionali. Svolge un ruolo a diretto contatto con gli studenti e con gli “stakeholder” della scuola.

Gli stakeholder… un termine inconsueto nella scuola. Sono i “portatori di interesse”, cioè tutti coloro che hanno a che fare con un determinato ambiente.

Parliamo infatti delle relazioni che il dirigente scolastico deve avere con tutti coloro che vivono il mondo della scuola: studenti, docenti, staff, dsga, collaboratori scolastici…

Sono tante figure, quindi anche tanti compiti gestionali. Quali potrebbero creare maggiori difficoltà a un preside?

Sicuramente la gestione dei conflitti che si possono creare all’interno di un’istituzione scolastica; ce ne sono di tutti i tipi: conflitti con i docenti, con i genitori, con gli alunni.

E’ questo che toglie il sonno ai presidi?

C’è anche il tema della sicurezza. Sotto questo aspetto i dirigenti scolastici ricoprono un ruolo delicato anche in virtù delle nuove disposizioni, tipo il decreto legislativo 81 del 2008, ma anche per i tanti aspetti previsti dalla legge 107. Credo che queste siano fra le responsabilità maggiori dei dirigenti scolastici.

Il dirigente scolastico è spesso criticato: lo è a torto o a ragione?

Ultimamente questa figura viene percepita come una sorta di sceriffo per i  pieni poteri decisionali. Da un lato credo che sia una critica vera, ma bisogna considerare che oltre ai doveri ci sono molte responsabilità. E’ il rappresentante legale dell’Istituto con tutto ciò che ne consegue da punto di vista penale, civile, organizzativo.

Quindi le critiche sono motivate?

No. Non sempre sono motivate. Ma non è questo il punto. Io credo che un dirigente scolastico debba instaurare con i tutti propri collaboratori, dai docenti al personale Ata, un rapporto umano. Deve saper impartire un  rimprovero duro dove è necessario, e gratificare dove c’è il merito.

Se lei diventasse dirigente scolastico come si comporterebbe?

Cercherei di essere più presente e più attento possibile alle problematiche che si vivono all’interno della scuola, sempre favorendo il rapporto umano. Cercherei di essere più autorevole e meno autoritario.

Il distinguo è fondamentale, ma il limite è molto labile. La figura del preside autoritario giustifica le critiche mosse?

Sì! Se il preside diventa solo autoritario si crea un clima di tensione che non porta a nulla. Il dirigente scolastico deve saper mediare nei conflitti che possono insorgere, compresi quelli fra docenti e genitori. Bisogna cercare di costruire un’alleanza fra scuola e famiglia, includendo ovviamente i docenti. Ecco, se io fossi preside, comincerei proprio nel considerare i docenti come miei colleghi e non come dei subordinati.

Parla del patto educativo evocato da più parti anche per contrastare i casi di bullismo o di aggressioni subite dai docenti da parte di alcuni genitori?

Sì, in effetti anche io ho constatato che gli episodi di bullismo e cyberbullismo sono sempre più frequenti. E’ necessario un patto educativo, di corresponsabilità fra tutti gli attori che operano all’interno della comunità scolastica.

Ha sempre insegnato in Sicilia, dove non ci sono cattedre?

Mi sono diplomato nel 2008/2009 come perito industriale, specializzazione meccanica. Mi sono iscritto all’Università, alla facoltà di ingegneria, e contemporaneamente ho iniziato subito a lavorare con una messa a disposizione e iscrizione alle graduatorie di terza fascia. Mi sono diplomato con il massimo dei voti e ho avuto qualche punteggio in più utile a lavorare nella scuola. Poi ho accumulato titoli di servizio e nel 2014 ho partecipato al percorso abilitante speciale. Ho anche insegnato nella scuola dove ho studiato e i miei prof a quel punto sono diventati colleghi. Nel 2016 ho partecipato al concorso a cattedra, arrivando secondo, e l’anno successivo sono diventato di ruolo.

Questo percorso così fresco di studi e di esperienza da docente lo ha facilitato nella prova preselettiva?

Lo sforzo è stato notevole. La preparazione è fondamentale, ma lo sforzo mnemonico c’è stato. Condivido la critica.

Dove ha trovato maggiori difficoltà?

Per me personalmente l’area più ostica è stata la numero due, proprio quella riferita alla leadership. Io sono laureato in ingegneria e lì invece si parlava di sociologi, economisti, psicologi. C’erano riferimenti anche ad autori contemporanei. Era difficile trovare riferimenti anche nei libri di testo. Ho comprato corsi online e ho cercato di memorizzare il più possibile le risposte alle domande che mi risultavano più difficili.

Ma dopo tutto quello che mi ha detto sul ruolo autorevole e non autoritario del preside? Gli ingegneri hanno un quadro generale di ciò che si vuole costruire.

Credo che mi abbia aiutato molto questo aspetto. Un ingegnere riesce ad avere una visione della scuola più complessiva. Riesce a vedere alcuni aspetti che non sono sempre facili da individuare, soprattutto rispetto alla sicurezza sul lavoro: sfugge a molti dirigenti.

Accetterebbe anche una presidenza al Nord?

Sì, sì, sì, assolutamente!

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