“Lascuolasecondome”: appello all’unità della classe docente. Lettera

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inviato da “Lascuolasecondome” – Caro Collega “La scuola secondo me…”: chissà quante volte ti sarà capitato di iniziare un discorso con questa frase e, soprattutto,quante volte tisarà successo di non poterlo finire.

Il fatto è che, fin dalle prime parole, hai la vaga sensazione di essere partito col piede sbagliato, di esserti lasciato trascinare da un gioco vano e perverso in cui ogni entusiasmo, ogni desiderio e ogni tuo sogno svanirà, ancor prima che questa frase finisca, nell’impotenza e nella rassegnazione della tua stessa condizione.

C’è sempre un’inflessione eroica e,al tempo stesso, patetica nei discorsi di noi insegnanti, come di chi ha sperimentato tante volte il fallimento di un’idea inseguita per un’intera vita senza riuscire mai a realizzarla: insegnare.

In questi anni di grandi trasformazioni, più subite che condivise, non sono mancati i richiami alla mobilitazione e alla protesta,le manifestazioni, gli scioperi, gli appelli degli intellettuali(di cui gli insegnanti ritengono di far parte) in difesa dell’istruzione e della scuola pubblica, purtroppo caduti mestamente nell’oblio e nell’impotenza di una categoria delusa, divisa, demotivata, inascoltata e rassegnata alla sconfitta.

Chissà quante volte ti sarà capitato di sentire dei discorsi convincenti, di emozionarti davanti a lettere aperte d’insegnanti nostalgici come te, di assistere a programmi di denuncia che in genere ti lasciano insoddisfatto, perché chi parla, raramente conosce i problemi così bene come te.

Quante volte ti sarà capitato di ascoltare le testimonianze di colleghi sfortunati come te, di sottoscrivere appelli d’intellettuali che promuovono un ritorno alla cultura, all’istruzione, a una vera scuola.

Quante volte ti sarai indignato per una legge scritta male, per un provvedimento sbagliato, per un ordine insulso da rispettare, per un’accusa sbagliata o per una responsabilità che non è tua. Quante volte avresti voluto urlare la tua insoddisfazione, avresti voluto che qualcuno ti capisse, ti rappresentasse, che dicesse con te come realmente stanno le cose.

Chissà quante volte hai scioperato, hai sfilato sperando di far sentire più alta la tua voce, disentirti meno solo, disentirti ascoltato.Quasi sempre,te ne sei andato deluso,perché eravate troppo pochi, o perché non eravate abbastanza,perché dai portoni, dalle finestre, dai balconi, dalle serrande, la gente ti guardava senza capire il senso della tua protesta, quando avresti voluto urlargli in faccia che la tua era anche la loro protesta.

Chissà quante volte te la sei presa con i sindacati, perché non ti sentivi rappresentato, senza capire che anche lorosoffrono della tua stessa malattia,la mancanza di strategia, la sindrome da accerchiamento, l’isolamento.

Chissà quante volte ti sei indignato a essere considerato un fannullone, un laureato che ruba lo stipendio che non merita, che non lavora abbastanza,né a casa né a scuola, che ha un sacco di privilegi, che ha troppe vacanze,e chissà quante altre accuse infondate, quante cose avresti voluto o non avresti voluto dire, fare o sentire.

Quante volte ti sei indignato con i politici, che ti imponevano riforme sempre più stringenti, che ti chiedevano sempre di più, senza darti niente in cambio.

Quante volte te la sei presa con i Dirigenti, che ti accusavano di non saper insegnare, di non sapere gestire le classi, di non lavorare abbastanza, o con i tuoi stessi colleghi, che invece di schierarsi dalla tua parte, preferiscono appoggiare il Dirigente, lasciandoti solo.Troppo spesso avresti voluto protestare, ma non l’hai fatto. Hai preferito startene buono, in disparte, per non avere dei problemi, per non crearti dei nemici, senza accorgerti che più agivi così, più la rivalità e l’arroganza dei tuoi avversari cresceva.

La verità è che tutte queste situazioni soffrono degli stessi mali:l’impotenza, la rassegnazione e la solitudine in cui ci hanno e ci siamo costretti.

Abbiamo imparato a inviarci delle mail, dei messaggi, degli appelli, ci siamo crogiolati nella solitudine della nostra professione, ci siamo compiaciuti per quanto eravamo bravi a raccontarci la nostra condizione, abbiamo solidarizzato, ci siamo emozionati e da soli abbiamo finito per autoescluderci e isolarci.

Senza rendercene conto, abbiamo accettato di dividerci in mille sotto categorie che non contano un bel niente, senza capire che la nostra professione non ha una carriera, perché noi nasciamo, cresciamo, invecchiamo e ce ne andiamo in pensione da insegnanti.

Abbiamo imparato perfino a pubblicizzare la nostra scuola, nascondendo la polvere e le magagne sotto la cattedra e diventando i rappresentanti di un prodotto che non ci piace,senza capire che se fuori della scuola ci vedono così, è perché noi per primi nascondiamo la verità dicendo che tutto va bene.
Abbiamo perfino accettato di farci valutare e di auto-valutarci, pur sapendo che il nostro parere non contava niente.

Abbiamo considerato nemici i genitori dei nostri alunni, abbiamo imparato a escluderli, accusandoli di non essere dei buoni educatori, dimenticando che anche loro sono vittime di questa società imbalsamata e regredita.

Abbiamo considerato nemici anche i nostri alunni, li abbiamo contestati, accusati di essersi addormentati, di non capire niente, di non sapere neppure protestare, come invece noi sapevamo fare, senza capire che sono loro le prime vittime di questa scuola che non insegna neppure a protestare, perché per primi i loro insegnanti non sanno ribellarsi.

Pensavamo di avere il diritto di protestare, e non ci siamo accorti che nessuno ci ascoltava, perché nessuno poteva sentirci.

Abbiamo inviato i nostri appelli ai politici, e abbiamo continuato a farlo anche quando ci siamo accorti che a loro non interessavano i problemi della scuola e degli insegnanti.

Alla fine siamo rimasti da soli a raccontarci tutto questo, a confondere la scuola con la nostra categoria, a difendere i nostri ragazzi dalla barbarie di una scuola sempre più povera di cultura e di risorse, convinti che prima o poi qualcuno ci avrebbe sentiti.

Eppure la soluzione a tutto questo è sempre stata a portata di mano, davanti ai nostri occhi.

Piuttosto che dividerci sarebbe necessario allearci, unirsi con tutti quelli che hanno a cuore la scuola pubblica,rompendo definitivamente il nostro isolamento.

Piuttosto che nascondere la verità, come sempre accade, è’ necessario far conoscere anche all’esterno ciò che succede nelle nostre scuole,perché soltanto con l’informazione e con la conoscenza si può raggiungere una piena consapevolezza.Soltanto quando anche le famiglie vedranno in che condizioni studiano i loro figli potremo chiedere e ricevere il loro aiuto.

L’isolamento si può spezzare attraverso l’informazione e la cultura,attraverso la nascita di un movimento aperto a tutti e capace di organizzare un meeting annuale della scuola pubblica, con feste, concerti, dibattiti, mostre, concorsi, testimonianze di alunni, intellettuali, artisti, cantanti, insegnanti, lavoratori, genitori e persone comuni,così da creare una cassa di risonanza così potente da non poter essere ignorata.

La scuola secondo me…: non vuole essere soltanto un movimento di protesta, non vuole sostituirsi ai sindacati o alle associazioni di categoria, e non è neppure un’organizzazione di soli insegnanti, ma un movimento di persone che si uniscono per ridare senso e dignità e voce a tutti coloro che hanno a cuore l’istruzione pubblica,per cambiare la scuola nei prossimi anni condizionando con la forza dei numeri, delle idee,dell’entusiasmo e dell’impegno culturale le scelte politiche dei prossimi governi.

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