L’arte di insegnare in scuole difficili. Lettera

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Inviato da Laura D’Angelo – Non tutte le scuole sono uguali, ci sono delle scuole in cui fare l’insegnante è l’ultima delle priorità, in cui devi essere psicologo, educatore, assistente sociale, sorvegliante, vigilante.

Delle scuole in cui devi reinventarti continuamente, in cui non c’è tempo per innamorarti delle tua materia, della sua condivisione all’interno di un reciproco scambio umano, in cui devi mettere da parte profondità d’intenti e di ideali. Ci sono scuole in cui fare lezione nel senso vero e nobile del termine non è sempre facile, alle volte è come un traguardo, alle volte risulta impossibile. Sono cresciuta con l’Institutio oratoria di Quintiliano, con Tacito e Omero, con le “belles lettres” di un ideale e gentile percorso umanistico, a contatto con la purezza della parola, con la dignità del pensiero, con l’impegno e l’onestà della prova, con l’umanità della cultura nella sua valenza formativa umana e morale.

Ci sono scuole invece in cui l’abbrutimento del materialismo della nostra società rende il nostro lavoro simile ad una missione. Scuole difficili, che per alcuni possono essere l’ultima possibilità per avvicinarsi al mondo della cultura e trovare la propria strada, che per altri sono un parcheggio, un diversivo mattutino per occupare il tempo e basta. Non è semplice, perchè in queste scuole non conta insegnare e basta, ma il più delle volte è necessario disciplinare, educare, scolarizzare, portare e diffondere legalità, regole di vita civile, modelli di cittadinanza, regole di civile convivenza.

È difficile perchè per dare contenuti a questi ragazzi non basta soltanto insegnare. Ci vuole una forza continua. Un vocabolario che per i più è incomprensibile. L’errore è adeguarsi, abbassare le aspettative. Lo diceva anche Gramsci che non tutto quello che è complesso deve essere semplificato. Che spesso semplificazione equivale ad una banalizzazione degli insegnamenti. Sono esigente, lo so, forse anche un’illusa, ma ci sono scuole in cui il romanticismo del nostro mestiere lascia spazio alla cruda realtà del mondo reale. Ed è qui che l’istruzione deve fare davvero la differenza.

Ma in che modo? Non dimentico mai di guardare negli occhi i miei alunni, di pensare alle loro insicurezze, alle fragilità dell’ età adolescenziale, a quello che potrebbero dare loro a me, in termini di arricchimento umano e professionale. È necessario che la scuola sia davvero un’istituzione, che il docente sia un punto stabile di riferimento, che la didattica sia davvero didattica, intesa come formazione umana e sociale, perchè solo così la cultura, con i suoi contenuti, ha il terreno fertile per tirare fuori il meglio da ognuno di noi.

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