La scuola…il precariato…l’insegnante tecnico pratico: è necessario riflettere! Lettera

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Preside lascia la scuola

La docente Crivaro Samuela – Con l’acronimo ITP ci riferiamo alla figura dell’ Insegnante Tecnico Pratico, oggi però ci sorge un dubbio: forse questo acronimo in realtà significa “Insegnante Tecnico Per caso”, questo perché si è innescata la polemica sul titolo di accesso alle graduatorie di istituto per questa categoria di insegnanti: il diploma diviene “abilitante alla professione”.

Non mi è mai piaciuto l’acronimo ITP, perché in qualche modo tende a “selezionare” un gruppo di insegnati “diversi dagli altri”, ma sappiamo benissimo che non lo sono, poiché appartengono alla categoria docenti a tutti gli effetti! Allora perché non definirli semplicemente insegnanti, docenti, o professori, senza specifico acronimo? Perché nonostante tutto nel comparto scuola preferiamo distinguerli dagli altri!

Non voglio soffermarmi sulla figura professionale dell’ITP, ma esprimere le mie considerazioni su quanto accaduto e accade in questi ultimi mesi, perché purtroppo le istituzioni scolastiche e i docenti si stanno adeguando ad un “sistema fallato” da tempo e ciò ha provocato la rivendicazione di diritti seppur leciti, ma che vanno a calpestare la dignità dell’individuo e della sua professionalità.

Se prima l’abilitazione all’insegnamento concedeva a molti docenti il passaggio dalla terza fascia, alle graduatorie ad esaurimento (GAE), con il concorso 2016 tanti altri docenti si sono aggiudicati la graduatoria di merito; ma quali sono i requisiti per partecipare al concorso?

Sicuramente il requisito fondamentale è il possesso dell’abilitazione all’insegnamento! Purtroppo l’ultima abilitazione (parlo degli ITP), risale al 2014: il percorso abilitante speciale.

Il Percorso Abilitante Speciale (PAS), svolto nell’anno accademico 2013/14 è un percorso di formazione per conseguire l’abilitazione all’insegnamento, rivolto ai docenti della scuola con contratto a tempo determinato che hanno prestato servizio per almeno tre anni nelle istituzioni scolastiche statali e paritarie. Trattasi di un corso di durata annuale riservato ai soggetti di cui all’art.15, comma 1-ter del D.M. n.249 del 10 settembre 2010, a conclusione del quale, previo superamento di un esame finale, si consegue il titolo di abilitazione all’insegnamento nella scuola secondaria di primo e secondo grado. Le attività formative in cui si è articolato il corso erano finalizzate:

  • Alla verifica e consolidamento della conoscenza delle discipline oggetto di insegnamento per la specifica classe di concorso ed al perfezionamento delle relative competenze didattiche;
  • Alla promozione e perfezionamento delle competenze didattiche per l’insegnamento della specifica disciplina nella scuola secondaria di secondo grado (nel caso specifico degli ITP), anche alla luce della revisione dei percorsi ordinamentali di cui ai decreti del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n.89, 15 marzo 2010 n.87, n.88 e n.89 e alle relative Indicazioni nazionali e Linee guida; in particolare come progettare curricoli nella disciplina e come gestire segmenti didattici in classi della Scuola Secondaria di Secondo grado (nel caso specifico degli ITP);
  • All’acquisizione delle competenze didattiche atte a favorire l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità, secondo quanto disposto dalla legge 5 febbraio 1992 n.104, e successive modifiche;
  • Dimostrare di aver acquisito metodologie didattiche finalizzate all’applicazione delle competenze disciplinari e l’approccio pedagogico-didattico.

I docenti abilitati sono dunque soggetti che hanno almeno tre anni di esperienza lavorativa alle spalle (che in realtà avrebbero dovuto ottenere un contratto a tempo indeterminato, come ribadito dalla Corte Europea) e che hanno acquisito competenze specifiche per poter insegnare. Non dobbiamo dimenticare che questa abilitazione è stata ottenuta anche da docenti che avevano più di tre anni di servizio (anche dieci e oltre) e nello specifico gli ITP hanno dovuto attendere ben nove anni per potersi abilitare, poiché l’ultima abilitazione risale al 2005 (S.S.I.S. – scuole di specializzazione all’insegnamento secondario).

Cosa è accaduto? I docenti che non hanno potuto abilitarsi, spinti dalla ragionevole e indubbia equità e parità diritti, rivendicano il diritto di poter accedere al concorso 2016, poiché dal 2014 non sono stati instituiti altre abilitazioni, quindi ricorrono per poter rivendicare il proprio diritto di partecipare al concorso!

I docenti abilitati, vincitori e non del concorso, hanno assistito alla pubblicazione di un calendario successivo alle prove concorsuali e addirittura alla pubblicazione delle graduatorie di merito, con un elenco di docenti non abilitati che hanno acquisito il diritto di partecipare al concorso; vengono dunque invitati a partecipare alle “prove suppletive” e successivamente inseriti a pettine (a pieno titolo o con riserva) nelle graduatorie di merito già pubblicate. Tutto ciò ha comportato ai docenti abilitati e vincitori di concorso un “cambio di posizione” nella graduatoria di merito (addirittura scavalcati) e in molti hanno perso quest’anno il diritto di passare di ruolo. Ciò che non si è ben compreso, che fra i non abilitati che hanno sostenuto le prove suppletive, ci sono docenti che è vero, non hanno potuto abilitarsi, ma altri che non hanno voluto farlo e altri ancora che ad oggi, rispettando i requisiti dei colleghi che giustamente hanno seguito la regolare procedura di accesso, non potrebbero abilitarsi, in quanto non hanno maturato i 36 mesi di servizio nella specifica disciplina.

Ma cosa accade ancora? Per gli ITP il solo titolo del diploma di scuola secondaria di secondo grado, diviene abilitante, quindi, se prima l’accesso alla II fascia era vincolato dal possesso dell’abilitazione all’insegnamento (descritta precedentemente) e chi non ne era in possesso veniva collocato in III fascia nelle graduatorie di istituto, oggi un ricorso consente ai diplomati di inserirsi in II fascia alla stessa stregua degli abilitati. Tutto ciò ha delle conseguenze: gli ITP in III fascia, con anni di esperienza alle spalle, che non sono stati “attenti” nell’impugnare un ricorso, si sono visti scavalcare da chi non ha un giorno di servizio, quindi loro rimangono in III fascia (anche chi ha maturato un punteggio di 70, 80, ecc..) e i ricorsisti passano in II fascia (con un punteggio di 12, 19, ecc..), ovviamente tengo a precisare che fra questi vi sono anche docenti che hanno anche loro anni di esperienza, ma nella maggior parte dei casi così non è.

Tutti i docenti sono partiti da zero alla prima convocazione e tutti hanno diritto ad iniziare, ma con quale criterio, mi chiedo! Una graduatoria a soli titoli, grazie ad un ricorso che rivendica un diritto, che comunque i colleghi con anni di esperienza hanno già, può essere così stravolta? Come è possibile che l’esperienza lavorativa possa essere marginale e addirittura non importante, per lo svolgimento di una professione?

In questi ultimi mesi, è venuto a mancare il buon senso, è stata calpestata la dignità dei lavoratori, è stato assegnato un ruolo non per meritocrazia, ma in base alla legge del “vince il più furbo”. Non voglio fare insinuazioni e non voglio affermare che i ricorsisti in generale non hanno preparazione, perché ovviamente fra tutti, ci saranno elementi validi e preparati, ma ciò che affermo e voglio ribadire sono parole chiave e che devono essere alla base di qualsiasi istituzione scolastica: meritocrazia, rispetto, dignità, esperienza. Del resto ogni docente è tenuto a valutare i propri discenti in base a determinati criteri.

Se l’abilitazione all’insegnamento aveva l’obiettivo di formare un docente per l’espletamento del ruolo dell’insegnante, affermando che l’insegnante tecnico pratico è già abilitato di suo, con il solo titolo del diploma, ciò significa che l’abilitazione per l’esercizio della professione non serve, ciò significa che anche l’assistente tecnico ha il medesimo titolo e che forse l’ITP non insegna e in definitiva ciò significa che abbiamo perso di vista il vero obiettivo dell’insegnamento e cioè l’alunno. Possiamo tutti dare lezioni nella nostra vita pur non essendo abilitati: per esempio, da genitori impartiamo ai nostri figli quelli che sono i valori morali e garantiamo loro un’istruzione.

Nella vita “ideale”, il sacrificio ci permette di raggiungere i nostri obiettivi, l’esperienza ci garantisce maggiore professionalità e il perseverare ci assicura un miglioramento.

Nella vita “reale” tutto ciò che possiamo fare è divenire spettatori, questo perché i nostri sacrifici e le nostre aspettative vengono improvvisamente spazzate via da un “cavillo burocratico”, la dignità dei lavoratori viene calpestata da “truffe legalizzate” e se riusciamo a raggiungere il nostro obiettivo non lo faremo mai alla stessa stregua degli altri, perché nel frattempo abbiamo imparato che ci sono “vie facili” e strade alternative, dimenticando il percorso e puntando al prodotto, come se ciò che è e siamo riusciti ad essere dipendi solo ed esclusivamente dal raggiungimento di un titolo che ci distingue senza esperienza alcuna, non considerando che quello stesso titolo accompagnato dall’esperienza, ci permette di esercitare al meglio la nostra professione!

Concludo citando alcune mie righe scritte in conclusione dell’elaborato prodotto al termine della mia abilitazione:

-“qualsiasi lavoro che una persona intraprende ha bisogno di tempo per essere modellato. L’esperienza è la conoscenza acquisita attraverso il contatto diretto con la realtà e deriva da una serie di avvenimenti, di eventi, che segnano una persona. Un docente che sa ripartire dopo ogni problema e punto di rottura, che sa rimettere sul piano della riflessione le proprie concezioni implicite e gli stereotipi, i giudizi confezionati sugli studenti, sulla professione, sull’educazione…
…Io spero che qualcosa cambi nelle istituzioni, lo spero per me, per voi e per i nostri figli. La scuola dovrebbe dare e non togliere e dovrebbe essere costruita intorno agli studenti. È prioritario creare un gruppo di lavoro che condivida valori, responsabilità e competenze professionali, che si impegni costantemente a riflettere sul proprio operato per risolvere problematiche attraverso una verifica costante, al fine di creare in un primo luogo un’identità pedagogica riconosciuta da tutti i docenti, quindi una reale comunità professionale.”-
“Per essere genuinamente pensanti noi dobbiamo sostenere e protrarre quello stato di dubbio che stimola a una completa ricerca, in modo da non accettare un’idea o asserire positivamente una credenza finché non siano trovate fondate ragioni per giustificarla.”
(J.Dewey, Come pensiamo, La Nuova Italia, Firenze 1994)

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