La Scuola in Italia è solo una questione di soldi?

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Nell’articolo 34 della Costituzione Italiana, si legge: La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.

Come molti degli articoli della Costituzione, questo è ancora un auspicio, più che un dato di fatto. Sì, perché l’Italia è ancora ben lontana dalla completa uguaglianza nell’istruzione, ancora soggetta a discriminazioni che, prima di toccare genere e cittadinanza, partono da questioni di reddito e di ceto sociale. Molto di più rispetto agli altri Paesi Europei.

È quanto evidenzia un recente rapporto dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), dal titolo Uno sguardo sull’istruzione 2018. In Italia la discriminazione emerge già in età prescolare (0-3 anni), quando si tratta di iscrivere i propri figli agli asili nido. La maggior parte di questi sono infatti privati, con rate pesanti da pagare, e non tutti riescono ad accedere alle poche strutture pubbliche. I dati dell’Istat contavano nell’anno scolastico 2014/2015 appena 13.262 strutture per la prima infanzia, di cui il 36% pubblico e il 64% privato. Un numero sufficiente a coprire poco più del 22% di tutti i bambini della fascia d’età 0-3 anni.

Il risultato? Che soltanto il 24% dei bambini frequenta l’asilo nido, contro una media dei Paesi di area OCSE pari al 34%. Fra questi, i bambini di estrazione sociale benestante hanno, come si può intuire da questo quadro, molte più probabilità di accedervi. Parliamo del doppio delle possibilità: 32% contro il 16%. Lo stesso vale per i bambini che hanno una madre con un livello terziario d’istruzione, fra i quali si registrano 10 punti percentuali di iscritti in più rispetto ai bambini che non ce l’hanno (31% contro il 21%).

Questa è solo la prima di una lunga serie di contraddizioni nel sistema scolastico, più o meno palesi, in cui il reddito e l’estrazione sembrano ancora avere il loro peso, rendendo lenta e complessa la mobilità intergenerazionale.

Uno fra tutti il dato più allarmante: in Italia, prendendo a campione la popolazione compresa fra i 25 e i 64 anni avente genitori con un livello d’istruzione non superiore al primo, soltanto il 19% è riuscito ad avanzare nell’istruzione rispetto alla generazione precedente. La media OCSE supera il dato italiano di ben 44 punti percentuali.

La domanda che dovremmo ancora porci è: dove va un Paese i cui figli faticano a superare i genitori? Già, perché proprio il Censis, lo scorso anno, ci aveva messo in guardia sull’emergenza lavoro, in cui i figli sono più poveri dei genitori.

50esimo Rapporto Censis: l’Italia non è un Paese per giovani

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