La scuola, gli insegnanti e gli alunni da coinvolgere o appassionare. Lettera

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Inviato da Emanuele Grazzini – Buongiorno Sig. Direttore. Mi presento, innanzitutto. Mi chiamo Emanuele Grazzini ed ho 55 anni.
Sono docente di Economia Aziendale negli Istituti Tecnici Commerciali (quello che resta).

Ma in epoche passate ho insegnato Matematica Applicata, Diritto ed Economia e la Geografia Economica. Tutto questo è stato possibile grazie alla strutturazione del corso di Laurea ed al piano di studi formulato. Il mio primo contatto con la scuola risale al 1989, all’indomani del congedo dal servizio militare obbligatorio. Poi nell’anno 2000 smisi di insegnare per rientrare nella scuola nel 2007. Svolgo anche la professione di Dottore Commercialista.
Tra i miei connotati caratteriali c’è n’è uno che osservo come un imperativo categorico: parlo solo delle cose che conosco, in cui sono preparato e di cui ho esperienza, evitando, come si dice dalle mie parti, “di insegnare al gatto a miagolare”. Questa precisazione non è casuale.

Quel distacco di 7 anni dall’insegnamento mi fece avvertire il cambiamento (in peggio) della scuola. Due cose per tutte: l’abolizione degli esami di riparazione con promozione alla classe successiva anche nel caso di insufficienze (il famoso 6 sottolineato) e la ristrutturazione del piano di di studi dell’istituto tecnico commerciale, il cui nucleo fondante è stato diluito in un vero e proprio coacervo di discipline che non si sa quale attinenza abbiano con la formazione che si vuole ottenere. Non è però questa la sede per dilungarmi sul tema.

Nel suo intervento lei parla di lavori sempre più specializzati, della necessità che gli alunni siano sempre più preparati in ambito tecnico e scientifico, siano dotati di maggiore creatività e via discorrendo.
Successivamente, lei auspica un cambiamento della didattica al fine di ridurre la dispersione scolastica.
Invita poi i docenti ad appassionare, coinvolgere e orientare tutti gli studenti, perchè apprezzino la scuola e capiscano che la preparazione oggi è più importante di quanto lo fosse ieri.

Complimenti e grazie per i “preziosi” consigli.

In effetti con il trascorrere del tempo si è creata una situazione tale per cui le competenze da insegnare, chiudere un bilancio, redigere un rendiconto finanziario, valutare lo stato di salute di un azienda, sono state sempre più relegate sullo sfondo. A nulla vale, oggi, agli occhi di questo modo di concepire il lavoro dell’insegnante, un docente che è competente, chiaro, disponibile, connesso con il mondo lavorativo.
Vale, invece, il docente, di cui però si da solo una rappresentazione allegorica, che sa “sedurre”, “coinvolgere”, e arriverei a dire “ipnotizzare” gli alunni.

E la prova di questo è il proliferare di convegni tenuti da psicologi in cerca di lavoro, che ripetono come un mantra le esortazioni che lei scrive. Mi creda, non se ne può più. L’ultima indicazione che mi ha riferito una collega era che prima di spiegare i contenuti della disciplina, l’insegnante avrebbe dovuto creare “il gruppo classe”.

Ora, a prescindere dal fatto che per quanto mi riguarda trovo difficile rendere “seduttiva”, “appassionante” e “coinvolgente” per alunni 14enni la redazione di una fattura alla sesta ora di un Sabato, solo chi ha insegnato ha avuto modo di capire che il rapporto che si instaura con i propri alunni è diverso da classe a classe.
Nel corso della mia carriera ho avuto alunni che per me si sarebbero buttati nel fuoco ed altri ai quali sono rimasto indifferente. Eppure sono sempre la stessa persona.

Lo sa da chi apprendo se in quella data classe sono stimato o meno? Dai collaboratori scolastici (personale ATA). Sono loro i principali confidenti degli alunni. E se gli alunni stimano un insegnante, stia tranquillo che non lo si viene a sapere dai colleghi o dal Dirigente Scolastico o durante i consigli di classe.

Cambiando argomento, il suo intervento (?) si ascrive alla corrente di pensiero che saluta con favore la riduzione a 4 anni del ciclo della secondaria. Non entro nel merito. Sull’argomento avrei fin troppo da dire, ma sono contrario.
Ma le rispondo come ho fatto ieri ad un giornalista de Il Sole 24 ore, quotidiano che, non disinteressato, è favorevole a questa soluzione. Alcuni anni fa sulla rivista “internazionale” apparve un articolo che si soffermava sull’importanza quasi ossessiva che la famiglie coreane davano alla formazione dei loro figli. Non paghi dell’istruzione fornita dalle scuole statali (ma si hanno motivi per ritenere il loro sistema scadente?) le famiglie mandavano i propri figli a fare formazione aggiuntiva.
In Italia, invece, si vorrebbe toglierli da scuola un anno prima. Per farli entrare prima nel mondo del lavoro. Si da il caso, però, che il PC con cui sto scrivendo questa mail è fatto in Corea del Sud e non in Italia.

Ma come i Bravi di Don Abbondio capiscono che a metterla sulle chiacchiere avrebbero avuto persa la partita, allo stesso modo e per quanto mi riguarda, capisco che dietro le parole con cui viene “indorata la pillola” c’è tutto un mondo che vede con favore la ritirata della scuola pubblica. E probabilmente a questo mondo appartiene la Fondazione che Lei dirige ed il quotidiano economico che ho citato. Senza contare che, se si tolgono risorse dal capitolo di spesa della Pubblica Istruzione, forse restano soldi da destinare altrove. Oppure, per dire alla massa che così “ridurremo le tasse”. In effetti la riforma Gelmini fece risparmiare parecchi soldi, che però dovettero essere impiegati per pagare gli arretrati di stipendio ed i TFR dei dipendenti Alitalia (così, da Il Sole 24 Ore).

 

Per concludere, Signor Direttore, le dico che per risponderle a tono ho impiegato quasi un ora del mio tempo. Mentre lei questo intervento lo ha senz’altro scritto in pochi minuti.
Però, se devo essere sincero, la stessa creatività che lei chiede agli studenti, non l’ho trovata nel suo articolo, che non contiene altro che ovvietà.

Distinti saluti.

Dott. Prof. Emanuele Grazzini

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