La scuola delle menzogne. Lettera

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Inviato da Maria Grazia Montini – Sicuramente la scuola nella sua interezza ha bisogno di essere ripensata e non per divenire” buona”, ma per ritrovare se stessa come luogo di vera formazione.

Che ci sia bisogno di giovani competenti nelle varie arie lavorative è necessità imprescindibile, che questa necessità apra la porta ad un diverso futuro è incontestabile. Ma dopo tanto parlare mi chiedo, perché non creiamo un sistema valutativo meno incastrato nelle maglie di uno psicologismo a buon mercato, di un sentimentalismo che produce solo danni?  E ancora, perché i docenti maltrattati e vituperati da più parti non investono sul loro vero ruolo di educatori e formatori? Educare all’errore , educare l’allievo ad accettare la critica se questa è, come dovrebbe essere , costruttiva , potrebbe essere l’unico modo per ridare spessore all’insegnamento nel senso più largo del termine. Innanzitutto , questo modello educativo , servirebbe ad affrontare i propri limiti per superarli, ma soprattutto aiuterebbe lo studente a capirsi , a prendere coscienza di sé , ad affrontare le diverse sfide che nel mondo non edulcorato di  voti immeritati dovrà affrontare.

E sono tante. E’ vero ,viviamo il peso di una società fragile in cui i ruoli sembrano essere venuti meno, dove educare ai no sembra essere unico motivo di dissenso, di contestazione e frustrazione risolvibile unicamente ricorrendo al TAR, ma è pur vero che molte volte non è il timore del ricorso a far desistere il docente dal liberarsi da un buonismo deleterio e fuorviante, ma il non saper discernere il ruolo dai ruoli.

Le società fragili, si distinguono per la fragilità dei loro membri, così troviamo famiglie fragili, figli fragili, professori fragili; o meglio, professori che in continuità di intenti parlano di fragilità familiari per giustificare la loro fragilità genitoriale e professionale.  
Lo sforzo, oserei dire, questo sconosciuto , non è più parola usata , sembra , anzi , essere parola volutamente dimenticata insieme a ciò che lo designava meglio, cioè il sacrificio. Perché lo sforzo è sempre accompagnato da  sacrificio. Ma oggi nessuno vuole sacrificarsi perché si ha tutto a portata di mano, pronto per l’uso. Così l’essere bravi a scuola esula , in molti casi, da sforzi e sacrifici, basta saper utilizzare la vecchia tecnica dell’arrangiarsi. Il demerito sostituisce il merito, per la gioia di mamma e papà ai quali nulla importa se la votazione tanto agognata nasconde crepe di ignoranza . Si sa , ogni scarafone è bello a mamma soia ,ed è ancora più bello se il percorso scolastico conferma le nostre aspettative.

Le Università , d’altro canto, pur denunciando competenze non acquisite nei diversi  e vari percorsi liceali, facilitano l’ingresso ad alcune loro facoltà con una sorta di semplificazione che permette alle matricole di iscriversi dove meglio credono tranne che a poche, pochissime a dire il vero, facoltà a numero chiuso. L’analfabetismo da ritorno tanto denunciato, non viene sanato se a far da leone è un sistema scolastico malato. La scuola che educa e forma non deve, e non può,  rinunciare ad una valutazione oggettiva dello studente . Ben vengano , pertanto, le prove invalsi, non per sottolineare anacronistiche disparità , ma per risanare ciò che va risanato a Nord come a Sud . Dare meno potere nell’attribuzione del voto finale ai consigli di classe, lasciare libero il docente di esprimere una sua personale valutazione senza che su di essa interferiscano votazioni all’unanimità che mirano ad alzare crediti a questo o a quello, sarebbe buona cosa. Condurre l’esame finale in maniera diversa  , puntando ad una oggettiva e seria valutazione delle prove scritte , ridarebbe spessore al diploma elargito dallo Stato. Affidare gli scritti a dei commissari esterni garantirebbe sicuramente una correzione più equa, meno tesa a coprire crepe e falle. E soprattutto, ridarebbe alla nostra lingua scritta , l’importanza che merita. La prova di Italiano , infatti, non può essere abbandonata alla benevolenza di docenti che già nel corso dell’anno hanno ammantato uno scritto , di così grande importanza, con voti stratosferici.  Voti che dovrebbero contemplare correttezza lessicale, nonché capacità argomentative , critiche, originalità. Non lamentiamoci se i nostri ragazzi non sanno più scrivere, non meravigliamoci se le Università lamentano un cattivo uso della lingua italiana, è da anni che molti professori di lettere hanno rinunciato a lasciare i fatidici crediti scolastici per dare spazio ad altre materie e salvare gli allievi da inevitabili bocciature. Ma chiediamoci, le poche competenze acquisite in uno scritto di italiano non si ripercuotono un po’ su tutte le discipline? Pensiamo alla carenza di vocaboli, alla struttura distorta di una frase, all’uso grammaticale scorretto. Per non parlare del latino o del greco scritto, materie che, ad  anni alterni, caratterizzano la seconda prova dell’esame di Stato. Quanti fra i ragazzi usciti con 100 sono riusciti a tradurre senza copiare ? Pochi, pochissimi. Eppure nessuno osa cambiare quello che andrebbe veramente cambiato all’interno del sistema scuola , nessuno denuncia ciò che andrebbe veramente denunciato. Perché fortemente ingiusto, fortemente illegale , fortemente e maledettamente antieducativo. Ben venga allora la mediocrità meritata e non l’eccellenza immeritata. Ben venga la scuola delle competenze non artefatte , dei giudizi che fanno da stimolo affinché l’alunno possa riconoscere se stesso attraverso i propri limiti e quindi superarli per superarsi. Non si è bravi docenti nella menzogna. E , soprattutto, la scuola non dovrebbe educare all’inganno.

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