La scuola dei numeri e non dell’istruzione e formazione. Lettera

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Preside lascia la scuola

Inviato da Luca Pignataro – Concordo pienamente con la lettera di Mario Bocola a proposito dell’impossibilità di fare lezioni serie. Aggiungo che ciò vale per tutti gli ordini di scuola, dai ragazzini delle medie ai “ragazzoni” del liceo, dove imperversano ormai amenità come le interrogazioni programmate – pretese dagli alunni e garantite dai docenti coordinatori – tali da vanificare qualsiasi metodo di studio serio. Per non parlare, ovviamente, degli alunni che si lagnano di un’insufficienza e vanno a protestare col dirigente che poi rimprovera non l’alunno per non avere studiato, ma il docente per aver osato mettere un brutto voto. Tanto, l’importante è mantenere le iscrizioni, se no “si perdono cattedre”, giusto?

Concludo con una citazione di un recente articolo del professor Stefano Zecchi Università per tutti senza esami o meriti: così iniziò lo sfascio della nostra scuola :

“[…] Nei primi anni ’70 all’interno del Pci si sviluppa un dibattito sulla necessità o meno di sostenere l’ingresso dei docenti nella Cgil, che allora non aveva una propria rappresentanza organizzata tra gli insegnanti. Responsabile culturale del Pci era allora Giorgio Napolitano. Una parte del partito, ritenendo la classe docente una professione liberale, come quella dei magistrati o dei giornalisti, sosteneva che essa non dovesse entrare nel sindacato. Il partito avrebbe esercitato sui docenti – dall’esterno – una «egemonia culturale» affinché aderissero in modo collaterale alle posizioni comuniste. Prevalse, invece, sotto la pressione dei movimenti sessantotteschi, una visione radicale, quella «operaista», che omologava l’insegnante della scuola di massa all’«operaio massa», la scuola alla «fabbrica», lo studente al «lavoratore». A differenza delle altre professioni liberali, quella della docenza entra così a vele spiegate nel sindacato, che finisce per condizionare tutta la legislazione dello Stato sulla scuola. Inizia una sistematica demolizione dei principi meritocratici di selezione degli insegnanti: abolizione dei concorsi, decreti per l’immissione in ruolo dei docenti valutando anche solo pochi mesi di supplenza, passaggi di cattedra senza alcun criterio scientifico. Ancora oggi la scuola non riesce a liberarsi dagli effetti di questi disastri.

A conti fatti, non ci si stupisca se gli studenti migliori vanno all’estero e se i docenti non godono del rispetto sociale e vengono picchiati.[…]”.

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