La paranza dei bambini e l’abbaglio della felicità. Su “Keaton” il film vincitore dell’orso d’argento

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La Paranza dei Bambini uscito nelle sale italiane il 13 febbraio vince l’Orso d’Argento per la miglior sceneggiatura al 69° Festival Internazionale del Cinema di Berlino.

Il film è il risultato dell’intersezione di due lucidissime intelligenze, quella dell’autore dell’omonimo romanzo, Roberto Saviano (cosceneggiatore insieme a Maurizio Braucci) e del regista Claudio Giovannesi che ha saputo orientare la macchina da presa sulla condizione di un’adolescenza a metà, divorata dalla scelta criminale di ragazzi che si fanno “paranza” delinquenziale e diventano capi della camorra nel rione Sanità di Napoli.

“Dedico questo riconoscimento alle Ong che salvano le vite nel Mediterraneo – ha affermato Saviano – mentre Claudio Giovannesi ha aggiunto: “Vogliamo dedicare questo premio al nostro Paese nella speranza che l’arte, la cultura, la formazione tornino ad essere una priorità per l’Italia”.

Roberto Saviano, all’inizio del suo libro spiega che “Il nome paranza viene dal mare”. Infatti il termine designa la barca provvista di albero maestro e di vela latina impiegata dai pescatori per le sortite notturne in mare alla ricerca di quel “pane” fatto di squame e vita che segue la luce delle lampade che illuminano le onde. I pesci si raccolgono ignari intorno a quel “sole elettrico”, come lo definisce l’autore di “Gomorra”, altro celebre bestseller dello scrittore partenopeo, e cadono in una rete implacabile che brucerà ogni loro respiro. Quando la luce si spegne la rete è piena e l’inganno compiuto. La stessa innocenza, Claudio Giovannesi ha voluto imprimere alla sua pellicola “La Paranza dei Bambini”, che s’ispira a fatti di cronaca realmente accaduti, pur restando di fantasia i personaggi, nel labirinto di una Napoli ineffabile fatta di vicoli e violenza e dove la condizione dell’infanzia diviene troppo spesso inquinata dalle tumefazioni sociali dell’antistato camorristico. Il regista ha voluto innanzitutto rappresentare il terribile equilibrio fra adolescenza e crimine e la “paranza” per estensione vernacolare campana diviene la “combriccola”, il gruppo di inseparabili, l’unione compatta di piccoli gangsters. La scelta dei volti dei giovanissimi attori, soprattutto del protagonista Nicola, avvenuta attraverso un casting di migliaia di ragazzi napoletani durato mesi, denota l’intenzione del racconto filmico: quella di fissare la purezza dell’età adolescenziale elevandola a valore universale nonostante l’abbraccio mortale con la camorra. Nel capoluogo campano, anno 2018, insieme a Nicola altri cinque ragazzi quindicenni, Tyson, Biscottino, Lollipop, o’ Russ, Briatò, vogliono fare i soldi nel modo più rapido perché è il denaro l’unico vero dio. Il sodalizio criminale inizia con una liturgia iniziatica, l’abbattimento dell’albero di Natale che illumina la Galleria Umberto I, ma prestissimo si attuerà con la condivisione ed uso delle armi ottenute da un boss apparentemente in quiescenza. I giovani sono ormai convinti che i vecchi capi camorristici non valgano più niente e sono determinati ad imporre il loro ordine nell’illegalità, con un aspetto “etico”, ad esempio quello di non chiedere il pizzo ai negozianti.

Come nella celebre lirica del poeta-veggente Arthur Rimbaud intitolata il “Battello Ebbro”, l’imbarcazione percorre libera da pesi fiumi e oceani vedendo gli spettacoli naturali più incredibili e rari, così la paranza dei bambini corre alla ricerca dello stupore che trova negli oggetti di lusso, negli abiti firmati, nell’arredamento sontuoso e baroccheggiante delle case dei camorristi, in un tavolo da 500 euro in discoteca, negli occhi di una ragazza. Per avere tutto questo spara, ostaggio dell’abbaglio della felicità, e uccide. Il prezzo da pagare è alto, la perdita dell’amicizia, dell’amore mentre, come sostiene Giovannesi, “si insegue il bene attraverso il male”. Non a caso, il nome della protagonista femminile del film (e del libro) è Letizia, evocativo della recondita aspirazione alla gioia, pace, armonia. Il costrutto semiotico del film è la meraviglia dell’adolescenza conficcata agli angoli del cuore e irrimediabilmente perduta e, per tratteggiarla, la regia ricorre a frequenti movimenti di macchina che sono il segno della concitazione interiore, dell’euforia, della rabbia, molto più che del disegno di spazi ed ambienti. Il finale è aperto e, secondo le principali caratteristiche del Cinema post-moderno e moderno, la storia è consegnata allo spettatore, al suo coinvolgimento, alle sue domande. Per queste ragioni “La Paranza dei Bambini” trova spazio sulla piattaforma Keaton (www.keaton.eu) per l’organizzazione di uscite didattiche al Cinema, un film che si rivolge a tutti, paradigma di un’infanzia violata da un malinteso senso della felicità, connotato da un crudo realismo, capace di emozionare e di rappresentare una deriva estrema del nostro tempo che non può essere sottovalutata.

L’innocenza voluta da Giovannesi e Saviano incontra sorprendentemente quella di Eduardo in “Natale in Casa Cupiello”, dramma in cui c’è un padre che rimprovera le negligenze del figliolo e nel quale l’anima di Napoli si svela e resiste nei legami familiari. D’altra parte, si deve al grandissimo Eduardo De Filippo l’approvazione di una legge regionale del 1987, tre anni dopo la sua morte, che istituiva la realizzazione dei “Villaggi dei Ragazzi” all’interno dei quali i giovani potevano apprendere un lavoro e sfuggire alle paranze e alle maglie del crimine organizzato. Napoli potrebbe essere l’archetipo, valido per ogni luogo del mondo, di valori da reintegrare attraverso reti civiche di sostegno, cultura, cinema, sport, aggregazione sociale. Nel “Battello Ebbro” di Rimbaud, un bambino gioca nella malinconia del crepuscolo intorno ad una pozzanghera con la sua barchetta di carta. Diviene l’icona nostalgica di un tempo da preservare e che invade di sé tutta l’esistenza. L’infanzia contiene una eco di eternità e già millenni fa, come riferisce in un suo testo il filosofo Emanuele Severino, Eraclito (frammento 52) scriveva: “L’eterno è un bambino che gioca a dadi, di un bambino è il regno”.

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