La divisione dell’Italia comincia dalla cattiva autonomia

Di Lalla
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Mauro Alario – Da qualche tempo la Lega intende realizzare i suoi annunciati propositi, sostenuti da gran parte degli esponenti del Popolo della Libertà. Si tratta di una forma di federalismo sorta all’interno di una logica localista e intollerante, volta a marcare la specificità territoriale, con l’inevitabile conseguenza di frantumare l’Unità del Paese per spezzettarla in tante piccole patrie. L’idea di regionalizzazione della scuola, l’insegnamento del dialetto, la volontà di legare la qualità dell’istruzione al territorio anziché alle competenze professionali dei docenti, non riguarda esclusivamente la politica della destra, ma investe, seppur con accenti diversi, anche le province governate dal centro sinistra, come la Giunta trentina, intenta a sottolineare la propria specificità locale e impostazione innovativa.

Mauro Alario – Da qualche tempo la Lega intende realizzare i suoi annunciati propositi, sostenuti da gran parte degli esponenti del Popolo della Libertà. Si tratta di una forma di federalismo sorta all’interno di una logica localista e intollerante, volta a marcare la specificità territoriale, con l’inevitabile conseguenza di frantumare l’Unità del Paese per spezzettarla in tante piccole patrie. L’idea di regionalizzazione della scuola, l’insegnamento del dialetto, la volontà di legare la qualità dell’istruzione al territorio anziché alle competenze professionali dei docenti, non riguarda esclusivamente la politica della destra, ma investe, seppur con accenti diversi, anche le province governate dal centro sinistra, come la Giunta trentina, intenta a sottolineare la propria specificità locale e impostazione innovativa.

I provvedimenti emanati negli ultimi anni dalla Giunta in materia scolastica dimostrano in primo luogo il disinteresse nei confronti degli operatori scolastici, ridotti a pedine consenzienti, dopo un rituale fasullo ammantato di democraticità, dall’altro introducono irragionevoli differenziazioni rispetto al sistema nazionale in vari settori dell’istruzione.

Da ricordare il regolamento sui crediti e debiti scolastici, definiti “carenze”, che consentono allo studente di essere ammesso alle classi successive senza superamento delle stesse, il quattro come voto minimo da assegnare nel profitto in violazione della libertà di insegnamento, la grottesca sceneggiata sulle ore da cinquanta o sessanta minuti e infine il bonus aggiuntivo di quaranta punti nelle graduatorie dei supplenti insieme al divieto di inserirsi da fuori provincia.

Dopo un ricorso di un insegnante per mancato inserimento in graduatoria, il Consiglio di Stato ha definito protezioniste le graduatorie trentine, delegittimando il carattere territoriale e distintivo nel sistema di reclutamento. La Giunta ha sempre giustificato tali scelte affermando di voler tutelare i docenti che lavorano in Trentino, ponendo l’accento sul valore della continuità. Tuttavia, non si capisce cosa c’entri la continuità con l’assegnazione di continui punteggi aggiuntivi assolutamente sproporzionati rispetto al servizio d’insegnamento prestato nel resto del territorio nazionale e fortemente penalizzanti persino per una parte di docenti già inseriti nelle stesse graduatorie provinciali.

Probabilmente, come ho già messo in luce in un’altra lettera, un modo per salvaguardare una cerchia d’insegnanti legati alla politica locale, in barba a qualsiasi principio di uguaglianza e sistema meritocratico. Tale logica permea la visione di molti amministratori locali in senso trasversale, racconta di un orizzonte limitato, chiuso, incapace di guardare al di là del modesto giardino condominiale, descrive la tendenza a realizzare innovazioni per garantirsi un’immagine positiva di pura facciata. In senso pratico, i responsabili locali esercitano una politica berlusconiana quando perseguono meri interessi di cassa attraverso tagli alle risorse e privatizzazione del sapere, leghista quando stabiliscono una relazione tra merito e territorio, di sinistra laddove propagandano il governo amico e solidale, purché condiviso.

Una cattiva gestione dell’autonomia, viziata da scarsa lungimiranza e becero paternalismo, produce decisioni scriteriate, effetti deleteri sulla comunità, vantaggiosi per chi fatica a riconoscersi cittadino in senso ampio. Per questo una politica che respinge, che premia l’appartenenza, utilizzando malamente la propria potestà legislativa, apre la strada a situazioni problematiche, produce inquietudine e divisioni.

Nel dizionario d’italiano curato da Tullio De Mauro il significato estensivo di“razzismo” include altresì ogni atteggiamento discriminatorio nei confronti di persone diverse per provenienza geografica. Si tratta di una specificazione sottile, la cui accezione dovrebbe esser letta oltre le consuete e grossolane valutazioni nei confronti dello straniero immigrato da un altro Paese. Esiste in Italia un radicato e gretto provincialismo, rivestito di folclore, all’apparenza inoffensivo, il quale, raccolto e propagandato da un politica miope e superficiale, tesa a difendere la “propria gente”, i residenti, il proprio angolo di mondo, sta incrinando la convivenza civile tra la stessa popolazione nazionale.

Il problema è serio e una riflessione su tale questione appare necessaria e doverosa, al fine di impedire conflitti sociali che porterebbero soltanto a una lacerazione profonda difficilmente rimarginabile.

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