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La dispersione scolastica: possibili strumenti orientativi e formativi

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Maurizio Forzoni – Il presente lavoro si inserisce nel dibattito attuale circa le problematiche legate alla dispersione scolastica, sia all’interno di scuole del medesimo ciclo di studi, sia dal passaggio da un ciclo all’altro.

Il passaggio da una scuola all’altra, da un percorso didattico diversificato per metodo e programma, da (e verso) una nuova classe, rappresenta un cambiamento di vita e spesso anche di metodo di studio, di relazioni e di incontri, non solo con i propri coetanei, bensì con nuovi docenti e nuovi ambienti di lavoro. Risulta pertanto importante, in questa fase di vita, il sostegno e l’attenzione sia delle famiglie, sia di tutti coloro che si occupano, a vario titolo, di insegnamento, formazione, orientamento ed educazione. Molti errori nel percorso formativo e scolastico, molti abbandoni e rifiuti, finanche le sintomatologie che si riscontrano oggi nella scuola da parte di bambini e ragazzi (come i cosiddetti disturbi dell’attenzione, le iperattività, i mutismi selettivi, gli stati ansiosi, e cosi via), potrebbero essere prevenuti o risolti con un attenzione al significato di cui il sintomo o il disturbo è portatore, in quanto messaggio da interpretare, nonché particolare modalità di dire qualcosa che vada oltre le apparenze e appartenenze.

E’ fondamentale che nell’ambiente scolastico si stia bene, creando un tessuto adatto per stimolare il desiderio e la voglia di imparare, di conoscere, di sapere, di fare ricerca. Allo stesso modo è fortemente avvertito il bisogno di dialogo e cooperazione tra scuola, università, e luoghi di formazione sia informali che non formali. Questi rappresentano tutti patrimoni di cui il discente e il docente possono disporre in maniera non conflittuale, ma produttiva. L’e-learning, la formazione a distanza, rappresenta sempre più una realtà importante e presente nei processi didattico-formativi, e l’auspicio è che sempre più istituzioni scolastiche ne facciano uso, avvicinandosi alle modalità di apprendimento di cui già bambini e giovanissimi risultano ampiamente padroni.

L’insegnamento è formazione e in-formazione, è l’imparare ad attingere con profitto a più fonti e, tra queste, la scuola – occorre sottolinearlo – non rappresenta (e non ha mai in realtà rappresentato) l’unica strada di accesso ai saperi e alle conoscenze. Esiste un universo di luoghi formativi da cui, con buone guide, è possibile trarre profitto.

SOMMARIO

1. Nota introduttiva; 2. La dispersione scolastica in Italia: un po’ di numeri; 3. La dispersione scolastica nella scuola secondaria di I grado; 4. La dispersione scolastica nella scuola secondaria di II grado; 5. La dispersione nel passaggio tra cicli scolastici; 6. Ridurre il fenomeno della dispersione scolastica: orientamento esistenziale come metodologia di lavoro; 7. Conclusioni.

1. NOTA INTRODUTTIVA

Il passaggio dalla scuola secondaria di primo grado, alla secondaria di secondo grado – le cosiddette superiori – è una tappa fondamentale nella vita e nel tragitto formativo di ciascun studente. Sino a quel momento l’allievo ha fatto un percorso di studio uguale (o perlomeno simile) a tutti i suoi coetanei; non si è dovuto trovare nella condizione di scegliere un percorso diversificato per programmi, materie, attività, che poi gli sarà altresì utile (o almeno questo è l’auspicio) per il proseguimento degli studi universitari e/o della carriera professionale/lavorativa. Non vogliamo ovviamente sostenere che sino alle scuole superiori il ragazzo e le famiglie non abbiano avuto possibilità di scegliere, dal momento che ciascuno esercita sempre le proprie preferenze rispetto al tipo di scuola, in un determinato quartiere piuttosto che un altro, in quella specifica classe o sessione, e così via. Ciò che vogliamo sostenere è che, sino alle scuole secondarie di primo grado, la scelta risulta non essere così esistenziale e fondamentale per quanto attiene i percorsi di studio e di lavoro futuri. Il fatto già che si parli di “scuole dell’obbligo”, indica certamente minori possibilità di percorsi autonomi e finisce per incidere sulla libertà di scelta delle materie di studio e delle attività che seguono – pur lasciando un certo ambito di autonomia – programmi e ore di studio ministeriali e ben standardizzati su certe direttive comuni.

Non possiamo non rilevare, ad ogni modo, come nei percorsi di studio e formativi delle scuole primarie e secondarie di primo grado, ma anche nella scuola dell’infanzia, il bambino già metta in evidenza quali siano gli interessi che lo stimolino maggiormente, le materie per le quali nutra più desiderio, i lavori per cui si senta più portato. Spesso tale fatto viene trascurato o addirittura ignorato, procurando a volte anche problematiche di varia entità, tra cui blocchi o rifiuti, o addirittura sintomatologie di vario tipo (le dislessie, le discalculie, le iperattività, ne sono solo alcuni esempi). Nelle scuole, infatti, in nome di una sempre impossibile, a nostro avviso, standardizzazione e tipizzazioni degli apprendimenti, si tende a non tenere conto del fatto che ciascun bambino sia diverso per obiettivi, desideri, vocazioni e ambiente sociale di provenienza. Alcuni sono portati e hanno più interesse per la matematica, altri per la storia, la filosofia, la musica, l’arte, la poesia, la letteratura, e così via. E non solo. Nell’ambito di ciascuna materia, ci saranno ulteriori – quanto infinite – possibilità di scelta, in riferimento agli autori, gli argomenti, i periodi storici, gli eventi, ecc. Pensare quindi di trattare ogni bambino allo stesso modo non solo è impossibile, ma può essere addirittura fuorviante, mortificante, frustrante. Se un bambino non riesce in matematica, ad esempio, non c’è da allarmarsi subito o addirittura pensare ad un disturbo. E’ possibile che per questa materia abbia minore interesse o faccia più fatica degli altri ad entrare dentro certe nozioni, per una minore inclinazione verso di essa. Occorre altresì tenere conto della relazione insegnante/studente. Non tutte le relazioni funzionano. Quando non c’è simpatia tra chi insegna e chi impara, spesso il rifiuto della relazione diventa rifiuto della materia. Abbiamo incontrato ragazzi che andavano molto male in determinate materie che, cambiato il/la docente, abbiano mostrato variazioni e modifiche consistenti nei rendimenti, riuscendo ad ottenere giudizi e voti da insufficienti/scarsi a buoni/discreti/ottimi. Vale, ovviamente, anche la situazione inversa. Così come non possiamo trascurare il cosiddetto effetto “prima impressione”. Un alunno che si farà vedere attento, pronto, preparato nei primi momenti degli incontri con l’insegnante, tenderà ad ottenere buoni voti e giudizi nel proseguo della carriera scolastica, anche quando il suo rendimento subisca delle inflessioni e dei peggioramenti rilevanti. Allo stesso modo uno studente catalogato agli inizi come svogliato, impreparato, tenderà ad avere sempre voti più bassi anche nel momento in cui affronti le prove di valutazione, mostrando preparazione e competenza negli argomenti affrontati e trattati. Tale fenomeno si può chiamare anche l’incidenza del pre-gudizio sia dell’insegnante che dell’allievo. Pregiudizio perché precede un giudizio effettivo/reale, sia quando influenzato, come detto, dalla prima impressione, sia quando dettato da altre questioni (come stereotipi, aspettative, differente provenienza sociale e culturale dell’insegnante e dell’allievo, oppure, molto semplicemente, le cosiddette sensazioni “a pelle”). Un allievo che penserà di non farcela, o di non essere all’altezza, o di essere preso di mira dall’insegnante, qualunque cosa faccia, tenderà davvero a non raggiungere gli obiettivi prefissati, con il fine – a volte conscio, altre inconscio – di non deludere le aspettative, in negativo, del docente. Vale, come sempre, anche la situazione opposta. Un insegnante che non si aspetterà niente di buono da un determinato allievo, potrebbe tendere a non valutare positivamente gli sforzi e i miglioramenti nel rendimento e nell’impegno da questi raggiunti. Certamente ci sono anche casi, per fortuna, che smentiscono le regole appena descritte, ovvero situazioni ed eventi in cui sia l’insegnante che l’allievo sono ben lieti che, dopo un’iniziale difficoltà e incomprensione con ripercussioni nel rendimento, si rilevi dei miglioramenti, talvolta anche molto evidenti, nella valutazione del lavoro svolto.

Valutazioni e giudizio, in ambito scolastico, sono elementi molto importanti che possono condizionare anche il percorso futuro dello studente in formazione. La questione della propria scelta e vocazione, non può e non deve fermarsi qui, ma occorre sempre che il soggetto la ponga ad analisi e rilettura. Si riscontrano infatti allievi molto brillanti nelle scuole primarie e secondarie di primo grado, che poi, nelle scuole secondarie di secondo grado, incontrano gravi difficoltà ad inserirsi, sino ad arrivare a fallimenti, bocciature e rinunce nel percorso di studio prescelto. Così come si evidenziano casi di soggetti con percorsi scolastici inferiori mediocri o poco al di sopra della sufficienza che, in maniera sorprendente, raggiungono ottimi risultati nelle scuole superiori.

Il quotidiano “La Nazione” ha dedicato un articolo – dal titolo : “a scuola si deve stare bene” – alla questione e problematica della dispersione scolastica. In tale articolo si riporta l’intervista del nuovo direttore dell’Ufficio scolastico regionale, il quale afferma che, per contrastare l’abbandono scolastico, sia fondamentale perseguire lo “stare bene a scuola”, perché << solo se si studia serenamente si possono raggiungere i traguardi prefissati>>. A volte, infatti, proprio nella semplicità sta la chiave di risoluzione di molte problematiche. Se a scuola (come del resto possiamo dire in qualsiasi lavoro) un soggetto va mal volentieri, fatica ad alzarsi la mattina, è svogliato, è per lui un peso, non ha stimoli, non è sempre indice di cattiva volontà o pigrizia. Spesso dietro vi sono altre questioni. Un tempo si liquidavano questi fatti affermando che “il ragazzo non era portato per lo studio!!” Tempi in cui la scuola era pensata come un selezionatore di predestinati: solo quelli ritenuti portati (quasi in una sorta di destino) per lo studio potevano godere della possibilità di andare avanti, raggiungendo i titoli accademici più alti: per gli altri vi era il lavoro o le scuole di avviamento al lavoro. Molti talenti, a nostro avviso, si sono persi con tale sistema di pre-giudizio selettivo. A decidere per le sorti dei ragazzi, di fatti, erano spesso i genitori, le famiglie, gli ambienti di appartenenza, i maestri che decidevano chi fosse “destinato” a proseguire gli studi e chi, invece, fosse destinato ad avviare un’attività lavorativa, meglio se nella bottega di famiglia. Ovviamente spesso questa situazione era una scelta contingente obbligata, dal momento che mantenere i figli allo studio era molto costoso. Il diritto allo studio diveniva spesso una norma costituzionale scarsamente onorata nella realtà. La domanda che ci poniamo oggi e che ci guida anche nella presente ricerca, è la seguente: E’ ancora così? Contano ancora le influenze della famiglia nella scelta degli studi? Queste influenze sono ancora alla base di molte insoddisfazioni, difficoltà e/o abbandoni scolastici? La questione economica è ancora motivo di ostacolo allo studio di ragazzi che provengono da situazioni di marginalità e isolamento non solo economico, ma anche socio-culturale? Lo stato riesce davvero a rimuovere gli ostacoli che si frappongono all’effettivo diritto allo studio dei capaci e meritevoli anche se privi di mezzi? Domande fondamentali che non si possono liquidare facilmente.

Nel nostro contemporaneo – continuando la nostra analisi e approccio alla questione – il disagio scolastico, la svogliatezza, gli insuccessi, le difficoltà e i fallimenti, spesso vengono interpretati in maniera diversa che nei tempi remoti. Si è passati dal non essere fatti o votati per lo studio, al non riuscire ad essere al passo con i tempi di apprendimento rientranti in valori ritenuti standard o sulla norma. Nell’epoca, quindi, in cui il diritto allo studio e al raggiungimento di livelli minimi di conoscenza sembra aver compiuto molti passi in avanti, soprattutto nella cosiddetta scuola dell’obbligo, ma, possiamo sostenere, sino alla scuola secondaria di secondo grado, e anche nei gradi superiori, si ritiene spesso che chi non ce la fa a stare al passo con i programmi minimi, manifesti a vario titolo forme di disagio, sino ad arrivare ad un uso a volte improprio e diffuso delle diagnosi di disturbi di vario genere. Si va, in tal senso, verso la normalizzazione dei processi di apprendimento: ossia chi si discosta da questa norma (normalità), è un soggetto da tenere sotto controllo quando non necessitante di bisogni educativi speciali. Anche in tal senso appare evidente che si tratti di una forma di dispersione occulta, ove spesso soggetti vengono etichettati, firmati, ritenuti in uno certo stato di deficit “cognitivo”, con scarse possibilità poi di liberarsi da tali etichette. Invece di classificare è a nostro avviso sempre utile conoscere la storia del soggetto, il contesto sociale di provenienza e anche l’ambiente scolastico ove si trova a vivere e lavorare per diverse ore al giorno. A tale fenomeno si sta per la verità cercando di ovviare sempre più con programmi formativi personalizzati e individualizzati che pongano attenzione ai bisogni e alle inclinazioni di ciascuno. Una didattica inclusiva non può che tenere conto delle specificità di ciascun alunno – ma proprio di tutti, non uno di meno – dal momento che ognuno ha la propria storia e il proprio contesto socio-familiare di appartenenza e provenienza, i propri limiti, ma anche i propri talenti e vocazioni. Non tenerne conto sarebbe un grave errore. Quando si parla di didattica inclusiva, a nostro avviso, non si può che allargarla all’intera classe e universo scolastico.. Non ci sono soggetti che hanno maggiore necessità di essere accolti e inclusi di altri. Se parlassimo di inclusione solo per alcuni soggetti (come ad esempio quelli rientranti nelle cosiddette categorie BES– Bisogni Educativi Speciali), finiremmo per creare in realtà una sorta di preconcetto e di stigma che non giovano a nessuno. Ognuno entra a scuola e in una classe con i propri bisogni non già educativi, quanto piuttosto formativi, e su questa specificità è utile lavorare. Pur riconoscendo ciò che manca o ciò che funziona meno in un soggetto – ad esempio un diversamente abile – è fondamentale lavorare su ciò che possiede, sul suo talento, sugli interessi, sulle capacità di cui ciascun soggetto è sempre portatore. Lavorando su ciò che funziona, si finirà per aiutare il soggetto ad accettare e comprendere anche ciò che non funziona o funziona meno. Non si tratta di negare la realtà di certi disturbi e di certi limiti derivanti da patologie anche di tipo organico, bensì di tenerne conto nella totalità del soggetto, pensiero e corpo, lavorando non su processi di normalizzazione, di adeguamento, ortopedia correttiva, bensì sfruttando (nel senso di far fruttare) le potenzialità della diversità e specificità soggettiva, ovvero quello che possiamo a buon diritto chiamare il capitale del soggetto.

2. LA DISPERSIONE SCOLASTICA IN ITALIA: UN PO’ DI NUMERI

La questione della dispersione scolastica in Italia è oggetto di ampio dibattito e indagine, anche statistica, sia da parte della stampa, sia da parte degli organi preposti, tra cui le dirigenze e le istituzioni scolastiche e, ovviamente, il Ministero dell’Istruzione, della Università e della Ricerca (M.I.U.R).

In particolare il M.I.U.R, aggiornando i dati provenienti da una ricerca relativa agli anni scolastici 2011/2012, ha proposto una nuova indagine risultata più completa, ove si è tenuto conto non solo – come nei precedenti lavori – degli abbandoni che avvengono nel corso dell’anno scolastico, altresì di quelli che avvengono tra un anno e il successivo, sia all’interno dello stesso ordine di scuola sia nel passaggio tra cicli scolastici. Le novità più evidenti di questo nuovo focus di studio proposto dal MIUR ha consistito nell’analisi non solo degli abbandoni scolastici precoci, ma anche sulle scelte, da parte degli studenti, di percorsi formativi alternativi alla frequenza del sistema scolastico.

Sul tema della dispersione scolastica l’indicatore utilizzato per la quantificazione del fenomeno è quello degli early leaving from education and training (ELET), nei quali – in ambito del progetto degli obiettivi formativi fissati nella Strategia Europea 2020 da parte dei paesi membri – si prende a riferimento – tra i giovani tra i 18 e i 24 anni d’età – quelli tra loro che hanno ottenuto un titolo di scuola secondaria di primo grado o una qualifica di durata non superiori ai 2 anni e non più in formazione. Per l’Italia tale indicatore, calcolati sulla base dei dati forniti dall’ISTAT, si sono attestati al 13,8% nell’anno 2016 (mentre nel 2006 si attestavano al 20,8%).

In Italia la raccolta relativa alle informazioni di tutti gli alunni che frequentano le scuole, statali e paritarie, è assegnata, attraverso il decreto legislativo 15 aprile 2005 n. 76, all’Anagrafe Nazionale degli Studenti (ANS). Tale anagrafe gestisce i dati relativi agli studenti, non solo appunto quelli anagrafici (ossia nome, cognome, codice fiscale, comune o stato estero di nascita, sesso, cittadinanza, comune di residenza), ma censisce anche i dati riguardanti le frequenze e il percorso scolastico. Principale scopo dell’Anagrafe, come rileva il MIUR, “è quello di costruire uno strumento di monitoraggio e, di conseguenza, di fornire strumenti per il contrasto alla dispersione scolastica”. Le istituzioni scolastiche sono tenute ad aggiornare in tempo reale la frequenza scolastica, comunicando l’eventuale interruzione della frequenza di ogni singolo alunno o il trasferimento ad altra scuola. Diviene quindi uno strumento di collegamento tra la scuola e tutti coloro che sono interessati a valutare i dati inerenti alla frequenza degli alunni, gli abbandoni e il compimento degli studi. Per raggiungere tale scopo sono stati individuati ben “cinque tasselli della dispersione”, così suddivisi:

  1. alunni che frequentano la scuola secondaria di I grado e che interrompono la frequenza senza valida motivazione prima del termine dell’anno (abbandono in corso d’anno);
  2. alunni che hanno frequentato l’intero anno scolastico ( I e II anno di corso della scuola secondaria di I grado) e che non passano nell’anno successivo né al II o III anno in regola, né al I e II anno come ripetenti, e non passano alla scuola secondaria di II grado (abbandono tra un anno e il successivo);
  3. alunni che hanno frequentato l’intero anno scolastico (III anno di corso della scuola secondaria di I grado) e che non passano nell’anno scolastico successivo alla scuola secondaria di II grado né frequentano nuovamente la scuola secondaria di I grado come ripetenti del III anno di corso (abbandono tra un anno e il successivo nel passaggio tra cicli scolastici);
  4. alunni che frequentano la scuola secondaria di II grado e che interrompono la frequenza senza valida motivazione prima del termine dell’anno (abbandono in corso d’anno);
  5. alunni che hanno frequentato l’intero anno scolastico (dal I al IV anno di corso della scuola secondaria di II grado), che non passano nell’anno successivo né al II, III, IV, V anno in regola, né al I,II,III,IV anno come ripetenti (abbandono tra un anno e il successivo).

Il fenomeno di fuoriuscita non motivata dal sistema scolastico nel corso di un anno scolastico è definito dall’Anagrafe “rischio di abbandono in corso d’anno”; nel confronto con l’anno scolastico successivo è possibile calcolare quanti di questi alunni rientrano nel sistema scolastico nel settembre seguente e quanti invece no, e in tal modo si giunge a determinare quanti alunni hanno abbandonato la scuola nel corso dell’anno scolastico. Va precisato che laddove si dia una definizione di abbandono del sistema scolastico da parte di certi alunni via via presi in esame statistico, non va ovviamente esclusa a priori la possibilità di un rientro nel sistema scolastico da parte di questi alunni negli anni successivi.

3. LA DISPERSIONE SCOLASTICA NELLA SCUOLA SECONDARIA DI I GRADO

Per delineare le caratteristiche della dispersione scolastica nella scuola secondaria di I grado occorre procedere con la quantificazione dei primi due tasselli della dispersione che abbiamo definito in precedenza. Ovvero:

  • l’abbandono in corso d’anno, dato dall’insieme di alunni che ha interrotto la frequenza prima del termine dell’anno scolastico nei 3 anni di corso;
  • l’abbandono tra un anno e il successivo, dato dall’insieme di alunni che, avendo frequentato l’intero anno scolastico nel I e II anno di corso, non si è iscritto a scuola a settembre dell’anno scolastico successivo.

Cominciamo a lavorare e ad esaminare i dati relativi all’abbandono in corso d’anno.

Dei circa 1.710.004 alunni frequentanti all’inizio dell’anno scolastico 2015/2016 la scuola secondaria di I grado, 10591 alunni (tavola 1) hanno interrotto la frequenza scolastica senza valida motivazione, prima del termine delle attività didattiche. Tali alunni rientrano nel cosiddetto “rischio di abbandono”, dal momento che l’interruzione della frequenza non può essere considerato definitivo, perché non si esclude un rientro successivo nel sistema scolastico.

Partendo quindi dalle tipologie di interruzione di frequenza contenute nell’ANS, si possono definire gli “alunni a rischio di abbandono in corso d’anno”, come quell’insieme di alunni che interrompono la frequenza scolastica per:

  • abbandono: ovvero quegli alunni che hanno interrotto la frequenza senza dare motivazione alla scuola e che quindi la scuola definisce come unità che hanno abbandonato gli studi ( non è dato sapere, però, se questa decisione è definitiva);
  • ritiro entro il 15 Marzo: ovvero quegli alunni che hanno interrotto la frequenza scolastica entro la metà del mese di marzo (per tali alunni la normativa prevede che coloro i quali sostengono gli esami di idoneità, possono poi – l’anno successivo – rientrare nel sistema scolastico in regola)
  • trasferiti ma non più frequentanti nell’anno scolastico in corso: ovvero quegli alunni che hanno lasciato la scuola di frequenza dando come motivazione quella di trasferirsi in altra scuola statale o paritaria, ma che poi sono usciti dal sistema scolastico.

Come è possibile verificare nella tavola 1, gli alunni a rischio di abbandono nell’a.s 2015/2016 che poi rientrano nel sistema scolastico nell’a.s 2016/2017, risultano essere il 33,20% del totale.

A questo punto passiamo ad esaminare i dati relativi all’abbandono tra un anno e il successivo.

Se si considera tutti gli alunni (1.136.244) i quali hanno frequentato l’intero anno scolastico 2015/2016 il I e II anno di corso della scuola secondaria di I grado, 8242 alunni, pari allo 0,73%, sono usciti dal sistema scolastico nel passaggio all’anno scolastico 2016/2017 (tavola 2).

Gli alunni – sulla base delle motivazioni addotte dalle Istituzioni scolastiche – hanno abbandonato la frequenza scolastica da un anno all’altro per:

  • abbandono: ovvero alunni che hanno interrotto la frequenza senza dare motivazioni alla scuola e che quindi vengono dalla scuola stessa definiti come alunni che hanno abbandonato gli studi;
  • passaggio a percorsi leFP in strutture regionali, a CPIA e ad apprendistato, oppure passaggio a percorsi alternativi al sistema scolastico, di formazione professionale regionale, per l’Istruzione per adulti e apprendistato;
  • altra valida motivazione: ad esempio passaggio all’istruzione parentale, o trasferimento in scuola all’estero, o decesso.

Gli alunni che hanno “abbandonato tra un anno e l’altro” la scuola secondaria di I grado, sono 7.180, pari all’87,10% degli alunni che hanno interrotto la frequenza nel passaggio tra l’a.s 2015/2016 e l’a.s 2016/2017. Tale insieme costituisce il secondo “tassello” della dispersione e rappresenta lo 0,40% (tavola 3) del totale dei frequentanti a settembre 2015. L’11,90% degli alunni ha formalizzato l’interruzione di frequenza comunicando alla segreteria scolastica il passaggio all’IeFP, ad un corso presso CPIA, a percorsi di apprendistato o il trasferimento in scuola all’estero.

Ponendo in relazione i due dati parziali precedentemente analizzati, si ottiene l’abbandono complessivo nella scuola secondaria di I grado, ovvero l’insieme totale degli alunni che hanno abbandonato nell’anno scolastico 2015/2016 e gli alunni, del I e II anno di corso, che hanno abbandonato tra l’a.s 2015/2016 e l’a.s 2016/2017. Rispetto al contingente iniziale di 1.710.004 alunni frequentanti a inizio anno (settembre 2015), 14.258 alunni (pari allo 0,8%) hanno completamente abbandonato la scuola secondaria di I grado. Tale fenomeno sembra essere più rilevante per la popolazione maschile che per quella femminile (si conta infatti che l’abbandono complessivo per i soli alunni maschi è stato, perlomeno nel periodo analizzato, pari allo 0,90% mentre per le femmine pari allo 0,70% – dati MIUR). Va messo in evidenza, altresì, come si rilevi una maggiore propensione alla dispersione scolastica nelle aree del Sud del paese, mentre nelle are del Nord Est queste percentuali risultano essere più contenute.

4. LA DISPErSIONE SCOLASTICA NELLA SCUOLA SECONDARIA DI II GRADO

Analogamente a quanto già analizzato per la scuola secondaria di I grado, onde analizzare la dispersione scolastica nella scuola secondaria di II grado, si procede alla verifica degli ultimi due “tasselli della dispersione”, ovvero:

l’abbandono in corso d’anno, dato dall’insieme di alunni che ha interrotto la frequenza prima del termine dell’anno scolastico nei 5 anni in corso;

l’abbandono tra un anno e il successivo, dato dall’insieme di alunni che, avendo frequentato l’intero anno scolastico nel I-II-III e IV anno di corso, non si è iscritto di nuovo a scuola a settembre dell’anno scolastico successivo.

Viene considerato, infine, come “abbandono complessivo” nella scuola secondaria di II grado, l’insieme di alunni che hanno abbandonato nel corso dell’a.s 2015/2016 nei 5 anni di corso e quelli, dal I al IV anno di corso, che hanno abbandonato tra l’a.s 2015/2016 e l’a.s 2016/2017.

Come si può evincere dalla tavola 6 di seguito inserita, di oltre 2.613.619 alunni frequentanti all’inizio dell’anno scolastico 2015/2016, 53916 alunni hanno interrotto la frequenza scolastica senza fornire valida motivazione e prima che fossero finite le attività didattiche. Tali insieme di alunni si definisce “a rischio di abbandono”, considerato che quegli alunni che interrompono la frequenza in questa fase possono rientrare a settembre dell’anno scolastico successivo.

Analogamente quanto osservato per la scuola secondaria di I grado, gli alunni “a rischio di abbandono in corso d’anno”, possiamo dire che siano costituiti da quegli alunni che hanno interrotto la frequenza scolastica per:

  • abbandono: ovvero senza fornire motivazione alla scuola;
  • ritiro entro il 15 marzo: ovvero con il fine di non precludersi la possibilità di effettuare l’eventuale esame di idoneità, per rientrare regolarmente a settembre dell’anno scolastico successivo;
  • trasferiti ma non più frequentanti nell’anno scolastico in corso: ovvero quei trasferimenti a cui non corrisponde una presa in carico in un’altra scuola statale o non statale.

A settembre 2016, come è possibile sempre rilevare dalla Tavola 6 prodotta dal MIUR, 13136 alunni, ossia il 24,4% degli alunni che hanno interrotto la frequenza scolastica senza valida motivazione durante l’a.s 2015/2016, si sono iscritti nuovamente alla scuola secondaria di II grado, entrando nel novero dei frequentanti l’anno scolastico 2016/2017 o in quanto ripetenti o in regola nel caso che abbiano superato l’esame di idoneità. Vengono considerati come “abbandoni in corso d’anno” la scuola secondaria di II grado, 40780 alunni che hanno lasciato la frequenza scolastica nell’anno scolastico 2015/2016, non rientrandoci poi nell’anno 2016. Tale insieme di alunni – equivalente all’1,6% dei frequentanti a settembre 2015 – rappresentano il quarto “tassello” della dispersione.

A questo punto è utile passare all’esame dei dati relativi all’abbandono tra un anno e il successivo, sempre a riguardo della scuola secondaria di II grado.

Dei circa 2.093.500 alunni che hanno frequentato l’intero anno scolastico 2015/2016 tra il I e IV anno di corso della scuola secondaria di II grado, 80.161 alunni, corrispondenti al 3,8%, risultano essere usciti dal sistema scolastico nel passaggio all’anno scolastico 2016/2017 (tavola 7). Gli alunni – come è possibile rilevare dai dati forniti dalle Istituzioni scolastiche e raccolti come sempre dal M.I.U.R – risultano aver interrotto la frequenza scolastica da un anno all’altro per:

    abbandono: ovvero quegli alunni che hanno interrotto la frequenza senza darne motivazione alla scuola e che quindi la scuola medesima inserisce tra coloro che hanno abbandonato gli studi

    passaggio a prcorsi IeFP in strutture regionali, a CPIA ed apprendistato: ovvero quegli alunni che risultano essere passati a percorsi alternativi al sistema scolastico di formazione professionale regionale, per l’istruzione per adulti o apprendistato;

ltra valida motivazione: ovvero passaggio all’istruzione parentale, trasferimento in scuola e decesso.

Gli alunni che hanno “abbandonato tra un anno e l’altro” la scuola secondaria di II grado, sono 71460, pari all’89,10% degli alunni che hanno interrotto la frequenza del sistema scolastico nel passaggio tra l’a.s 2015/2016 e l’a.s 2016/2017 (cfr. la seguente tavola 7). Tale insieme costituisce il quinto “tassello” della dispersione scolastica e rappresenta il 2,7% del totale dei frequentanti a settembre 2015.

L’”abbandono complessivo” nella scuola secondaria di II grado, così come rilevato dal MIUR, risulta essere del 4,3%, dato dal rapporto tra l’insieme di alunni che hanno abbandonato nel corso dell’anno scolastico 2015/2016 (40780 alunni), e che hanno abbandonato tra l’a.s 2015/2016 e l’a.s. 2016/2017 (71460 alunni), con il contingente di alunni frequentanti all’inizio dell’anno scolastico 2015/2016, pari a 2.613.619 alunni.

I dati rilevati da Orizzonte Scuola, rilevano, in controtendenza alle analisi precedenti, una nuova impennata della dispersione scolastica, stimata nell’anno 2018 (dato ancora provvisorio) del 14,5%5. Tali statistiche, va altresì rilevato, sono differenti rispetto alle rilevazioni del MIUR perché tengono conto anche della dispersione scolastica relativa al non proseguimento degli studi dalle scuole secondarie di I grado, alle scuole secondarie di II grado. La percentuale di studenti che non proseguono gli studi superiori, sino al conseguimento del diploma, risultano di fatti ancora elevate.

Va altresì rilevato come le percentuali della dispersione scolastica risultano portare il paese Italia ad essere un po’ il fanalino di coda degli altri paesi Europei (e questo è senz’altro un dato che deve farci riflettere). I paesi dell’UE si sono impegnati, infatti, a ridurre la media degli abbandoni scolastici a meno del 10% entro il 2020. Secondo il monitoraggio europeo Early leavers from education and training 2016, l’Italia si assesta intorno il 13,8% (al pari con la Bulgaria e Malta). In una situazione peggiore rispetto all’Italia risulterebbero esserci solo la Spagna (19%) la Romania (18,5%) e il Portogallo (14%). E questo rappresenta un dato preoccupante. E’ vero che nel 2006, come rileva le analisi condotte dal MIUR, l’Italia era al 20,8%, ed oggi la sua posizione è migliorata, essendo più vicina al 10% richiesto, ma resta comunque un divario altissimo del paese Italia, con il resto d’Europa6.

Quali le iniziative e gli strumenti orientativi/formativi da attivare per poter prevenire il fenomeno della dispersione scolastica? Quali possono essere i progetti formativi e in-formativi da proporre nel territorio e che possano essere utilizzati da famiglie e allievi quali utili strumenti di lavoro e raggiungimento degli obiettivi prefissati, tra cui la diminuzione, a livello sociale e soggettivo, della dispersione e abbandono scolastico?

5. LA DISPERSIONE NEL PASSAGGIO TRA CICLI SCOLASTICI

Analizzando il passaggio tra la scuola secondaria di I grado e la scuola secondaria di II grado, rileviamo che gli alunni, i quali hanno frequentato nell’a.s 2015/2016 il III anno di corso della scuola secondaria di I grado, sono 556598 (tavola 4). Dal confronto anagrafico dei dati possiamo evidenziare che – nell’anno scolastico 2016/2017 – il 91,8% degli alunni prosegue gli studi nel sistema scolastico come frequentante la secondaria di II grado, il 2% ripete l’anno nella secondaria di I grado e il 6,2% esce dal sistema scolastico.

L’uscita dal sistema scolastico, che riguarda più di 34.000 studenti, investe maggiormente alcune regioni, piuttosto che altre. In particolare sono state rilevate statistiche di abbandono più elevate in Lombardia, Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Sicilia e Lazio; nella media delle macro aree il Nord Ovest ha riportato una percentuale di abbandono del sistema scolastico nel passaggio tra l’a.s 2015/2016 e l’a.s 2016/2017 dell’11,90%, il Nord Est del 6,8% e il Mezzogiorno del 3,10%.

Questo fenomeno è riconducibile della maggior partecipazione nelle suindicate regioni a corsi di Istruzione e Formazione professionali, ovvero percorsi paralleli e alternativi al sistema scolastico (presso centri formativi accreditati dalla regione di appartenenza) e che consentono agli allievi di inserirsi presto nel mondo del lavoro. Di notevole importanza ai fini statistici e di controllo è l’integrazione dei dati con le Anagrafi regionali della Formazione professionale, prevista dal decreto legislativo n. 76 previa intesa con la Conferenza Unificata, che risulta essere attualmente in corso di realizzazione. Tale sistema consentirà di monitorare il passaggio degli alunni che escono dal sistema scolastico e che approdano a percorsi di formazione professionale.

In attesa di questa importante integrazione del sistema di monitoraggio, a partire dall’anno scorso è stato possibile utilizzare le informazioni relative ad alcune regioni italiane (Piemonte, Lombardia, Veneto, Lazio, Molise e Sicilia) che hanno aderito al sistema di iscrizione on line presso i Centri di Istruzione e Formazione Professionale. In tal modo è stato possibile analizzare i dati e le statistiche degli allievi che, pur uscendo dalla scuola secondaria di I grado, hanno intrapreso percorsi alternativi di qualificazione professionali riconosciuti dalle Regioni.

Tali alunni che hanno optato per percorsi alternativi sono stati così classificati:

  • passaggio a CPIA e ad apprendistato: ovvero passaggio a percorsi di istruzione presso centri provinciali per l’istruzione per adulti e di apprendistato;
  • passaggio a percorso triennale/quadriennali di IeFP presso strutture regionali: ovvero passaggio a percorsi di formazione professionale regionale, alternativi al canale dell’istruzione;
  • ltra valida motivazione: ovvero trasferimento in scuola all’estero, trasferimento in scuola del Trentino A.A e della Valle d’Aosta (le scuole di queste regioni a statuto speciale non partecipano alle iscrizioni on line);
  • abbandono, interruzione non motivata: ovvero interruzione di frequenza senza motivazione data alla scuola.

In definitiva, come è possibile verificare dalla tavola 5 di seguito allegata, dei 556.598 alunni che hanno frequentato l’intero a.s 2015/2016 ( III anno di corso della secondaria di I grado), il 6,16% risultano essere gli alunni che escono dal sistema scolastico nel passaggio tra cicli (tra l’as. 2015/2016 e l’a.s 2016/2017), lo 0,02% sono coloro che sono passati ad apprendistato e CTP, il 4,47% sono coloro che sono passati a IeFP, lo 0,06% coloro che hanno addotto altra motivazione valida, mentre l’1,61% risulta la percentuale di coloro che hanno abbandonato senza dare valida motivazione alla scuola.

6.RIDURRE IL FENOMENO DELLA DISPERSIONE SCOLASTICA: ORIENTAMENTO ESISTENZIALE COME METODOLOGIA DI LAVORO

Come abbiamo visto, nel presente lavoro, si parte sempre dalle domande. Il domandare, infatti, è sempre il primo passo per entrare nel cuore di una problematica e di un evento che si intende sia misurare che tentare di risolvere.

Dalle analisi appena svolte, fondate sui dati a nostra disposizione e rilevate dal MIUR, così come prodotte dalle Istituzioni scolastiche, abbiamo potuto verificare quanto non sia affatto scontato che un alunno, il quale intraprenda un certo e determinato percorso di studio dopo la scuola secondaria di I grado, riesca poi a portare a termine il compito che si è assegnato. Possiamo dire che, addirittura, le probabilità di abbandono del percorso formativo siano ancora oggi molto elevate.

I ragazzi sono spesso influenzati nelle decisioni dalle famiglie e dalle aspettative di carriera che queste si attendono e costruiscono intorno ai propri figli, ma anche da quelle influenze provenienti da amici e dal cosiddetto gruppo dei pari. Si tende spesso a frequentare la medesima scuola frequentata dal compagno o dai compagni del “cuore”. E, diciamolo pure, questo non va interpretato come un fatto meramente negativo, dal momento che è naturale cercare di ritrovarsi nel proprio ambiente scolastico, nella propria classe, persone con cui si sta bene e che conosciamo da lungo tempo. Allo stesso modo però questo può essere un limite, dal momento che un soggetto potrebbe essere portato a frequentare un istituto scolastico che abbia al suo interno programmi e obiettivi formativi per cui l’allievo in questione non nutra interesse, o materie nelle quali abbia manifestato, nel corso degli anni, delle oggettive e soggettive difficoltà. Ciò che va ribadito, ad ogni modo, è che un giudizio non può essere mai preso come definitivo, dal momento che l’interesse per una data materia può venire anche successivamente. La matematica – come qualsiasi altra materia, del resto – può essere amata o odiata, compresa o rigettata, per come è insegnata dal docente. Riteniamo infatti che l’approccio soggettivo all’insegnamento, alla lezione, alla formazione non possa mai essere messo in secondo piano, ma sia fondante e fondativo di un rapporto scolastico che possa essere fruttifero, sia per gli insegnanti che per gli allievi. Una buona prassi formativa è non dare mai niente per scontato.

Ciò che ancora oggi continuiamo a rilevare è una certa distanza tra la scuola e il mondo del lavoro, tra la teoria e la pratica ( e questo avviene nonostante i progetti di alternanza scuola/lavoro, ove spesso i ragazzi si trovano a misurarsi con lavori che non riguardano i propri percorsi di studio e i propri interessi e che, quindi, conducono svogliatamente e solo in quanto obbligati). Una scuola che continua a puntare esaustivamente ed esclusivamente sugli aspetti teorici delle materie insegnate, rischia di rimanere confinata nell’astrazione, perdendo il contatto con il reale. L’allievo, studente di qualsiasi ordine e grado, ha sempre bisogno di mettere in pratica ciò che impara, in quell’atto creativo che viene chiamato “learning by doing”. E’ fondamentale questo passaggio dal sapere, al saper fare e, addirittura, al saper insegnare. Un alunno che diventa anche insegnante per sé stesso e per gli altri ha sicuramente più probabilità di apprendere “la lezione”, di fare propri gli argomenti trattati. Ci viene in mente, a tal proposito, la lezione di quel bambino della prima classe della scuola primaria che, trovandosi a studiare i popoli primitivi, tornato a casa vuole prepararsi il pranzo, in giardino, proprio come facevano i primitivi, utilizzando il fuoco e suppellettili di fortuna. Cosa altro compie questo bambino se non desiderare di mettere in pratica ciò che aveva appena imparato nei libri di scuola? Sicuramente accoglierlo, stimolarlo e appoggiarlo in questo suo desiderio è una buona attività formativa che si pone in continuità con la lezione impartita durante le ore scolastiche. E’ un insegnamento proposto da un bambino che può essere, anche per l’adulto, una buona lezione da raccogliere.

Senza soddisfazione, desiderio, nulla è possibile. Nelle scuole, troppo spesso, si perde di vista il desiderio di imparare, di conoscenza e di sapere, per fare posto ai “doveri”, alla competitività, alla rincorsa “al voto”. Il bambino è naturalmente cooperativo, collaborativo. Il competere per il voto, per l’essere il primo della classe è un qualcosa che impara più tardi, ed è spesso già un sintomo, una distorsione del mondo adulto. Tale fatto è importante anche per la scelta dei propri percorsi di studio. Una carriera scolastica scelta solo per fare piacere agli altri, o perché quella è una scuola ritenuta più prestigiosa di altre, nasconde in sé un’alta possibilità di fallimento e di abbandono prima del tempo. Meglio è scegliere una scuola per vocazione, ovvero perché le materie, i programmi, gli obiettivi formativi interessano e stimolano i desideri dell’allievo in formazione.

Altra questione su cui la scuola, i formatori, occorre si ri-formino, si rifacciano la bocca è, da una parte, il “saper ascoltare” i bisogni formativi personalizzati di ciascuno, dall’altra, il “saper parlare e usare i linguaggi” che le nuove tecnologie offrono nel panorama didattico e formativo.

Personalizzare l’insegnamento, anche se è apparentemente difficoltoso, significa farsi interpreti dei bisogni formativi di ciascuno. Ogni soggetto entra nel sistema scolastico con un bagaglio di conoscenze e saperi propri, i quali derivano da diversi contesti formativi (formali, non formali e anche informali7). Possiamo addirittura affermare che l’incidenza percentuale della formazione formale è molto più bassa, di quella relativa alla formazione non formale e addirittura informale. In pratica i ragazzi oggi imparano molto di più dai contesti informali e non formali che da quelli formali. Pensiamo ai mass media, alla televisione, alla rete, youtube, i social networks, ove è possibile accedere ad una miriade di nozioni, saperi ed informazioni. Così come alla possibilità che hanno i ragazzi di frequentare corsi formativi sia on line (ossia in modalità e-learning), sia in presenza, ossia percorsi alternativi al sistema scolastico. Sarebbe un errore non tenere conto di queste fonti come una possibilità, vedendole solo come una minaccia o come dei percorsi antagonisti al sistema formale di studio e formazione. Imparare il linguaggio dei giovani, dei ragazzi, degli allievi, risulta essere invece molto interessante per puntare e costruire una formazione che sia al passo con i tempi e che possa interessare e stimolare il desiderio di sapere ed apprendere. Sulla base di questi fatti, molte scuole, assieme ad enti formativi privati dislocati nel territorio, hanno ad esempio attivato dei progetti di ricerca che sfruttino le potenzialità della rete e della multimedialità. Diventare da allievi a protagonisti di una lezione sincronica e multimediale è uno dei progetti sicuramente attivabili per rendere più interessanti, agli occhi, alle orecchie e al pensiero dei ragazzi, la lezione e gli argomenti da apprendere. Senza contare che nell’era digitale non è più pensabile un insegnamento che non formi i ragazzi ad avere competenza in ambito informatico e telematico. Anche se, va rilevato, i giovani oggi, in quanto nativi digitali, sono sicuramente preparati e hanno già fatto il salto generazionale che l’attuale contemporaneità richiede. Si propone semmai la problematica di aiutare e supportare tutti quanti, bambini, ragazzi e famiglie, ad un uso consapevole e responsabile della rete, dal momento che, essendo questa un contenitore di fatto senza limiti e confini, ha al suo interno anche molti rischi e molta disinformazione che occorre imparare a riconoscere, per mettere in atto adeguate misure difensive.

Ciascun individuo – occorre ribadire – nasce in un preciso e ben determinato ambiente familiare, ove, di sovente, si fabbricano delle aspettative di vita, di studio, di cammino professionale e lavorativo. L’ambiente familiare, le comunità parentali e i gruppi sociali di appartenenza, influenzano, in maniera sia implicita che esplicita, le scelte di ciascuno, sia per quanto attiene agli studi, sia per ciò che concerne le attività professionali.

Un ambiente familiare, sociale, scolastico stimolante occorre tenga conto dei desideri del soggetto in formazione, delle proprie inclinazioni, delle proprie abilità, delle proprie motivazioni. L’esperienza ci insegna che non sempre questo si verifica, e proprio a causa di queste influenze provenienti dagli ambienti, degli ostacoli, delle obiezioni al rapporto, degli autoritarismi nei quali spesso anche la scuola si disperde, ci sono soggetti che trovano non poche difficoltà a seguire le proprie personali aspettative di carriera. Proprio a causa delle più svariate difficoltà incontrate nel proprio cammino, può succedere che un soggetto necessiti di rettificare o modificare le proprie scelte, in quanto non genuine e derivanti dai propri desideri, ma indotte da criteri e principi di fondo errati. In questi casi, in cui si è incorsi in quelli che soliamo chiamare “errori formativi”, è possibile attivare percorsi di orientamento esistenziale finalizzati nell’aiutare i soggetti – che si trovino in momentanea difficoltà o incaglio nel proprio percorso formativo e scolastico – a ritrovare la bussola dei propri desideri e dei propri obiettivi.

A tal proposito il presente lavoro ci ha fatto riflettere (statistiche – ma non solo – alla mano) sui tanti abbandoni scolastici , i quali avvengono perché il soggetto non ha scelto il proprio indirizzo di studio in maniera conforme ai propri interessi e alle proprie inclinazioni. La realizzazione di sé stessi, come abbiamo già evidenziato in precedenza, non può prescindere dal rispetto delle proprie inclinazioni e dei propri desideri. Occorre, di fatti, partire dal principio che nessun soggetto è uguale all’altro. Ognuno ha una propria storia, contornata di obiettivi raggiunti, ma anche di fallimenti, di incagli, difficoltà, momenti di crisi.

La paura per l’incertezza e per il nuovo molto spesso arreca – come conseguenza – l’accettazione incondizionata di valori, desideri e bisogni che, analizzati nel profondo, non sono i propri, ma provengono da aspettative che altre persone hanno costruito – o si presume lo abbiano fatto– intorno al proprio presente e al proprio futuro.

Il lavoro, lo studio e la formazione, infatti, valgono un’esistenza, e sono fattori essenziali della vita di ciascuno. La non realizzazione della propria attività, il senso di frustrazione per un fallimento scolastico o lavorativo, le scelte sbagliate, possono far cadere il soggetto in stati di sconforto, ansia, panico, agitazione e depressione. L’unica arma che il soggetto ha per far fronte alla propria vita, per segnarla in maniera proficua, per dare o ridare ad essa una svolta importante e positiva, è quella di non cedere sul proprio desiderio8. Ma prima di non cedere su di esso, molto spesso occorre che il proprio desiderio sia ricercato, trovato o anche ritrovato. Questo non è un lavoro mai facile o scontato, dal momento che, alle opposizioni dell’ambiente familiare, del gruppo sociale di appartenenza, si uniscono i conflitti, le paure e le resistenze interne al soggetto medesimo. Non sembri strano che un certo individuo possa scegliere, inconsciamente o coscientemente, i propri fallimenti. E’ più frequente di quanto si creda: ci sono soggetti i quali – nel percorso della propria vita – continuano a scegliere strade sbagliate che, inesorabilmente, li conducono verso reiterati fallimenti. Il lavoro che si può fare in tali casi, assieme al soggetto, è nel comprendere le radici di queste resistenze e di queste scelte, per trasformare degli eventi e dei vissuti negativi – nonché i tentativi di fuga che allontanano dagli intimi e genuini desideri – in motivo di costruzione e ricostruzione dei propri progetti di vita. Ciò che molto spesso non si coglie, negli attuali scenari contemporanei, è che la crisi può essere vista e vissuta come un’occasione per trovare nuovi percorsi, nuove strade, nuovi sbocchi professionali, e per reinventarsi un’attività.

Ciò che non va mai dimenticato è che quando si è in formazione, così come quando si è in orientamento, non c’è netta distinzione tra chi orienta/forma, e chi è orientato/formato. Si forma e ci si forma allo stesso tempo. Si orienta e ci si orienta allo stesso tempo. E lo si fa assieme. Ogni persona, infatti, ha tutto un bagaglio di culture, di saperi, di storie, di conoscenze da apprendere, ma anche da dare all’altro, in uno scambio reciproco di informazioni, risorse e ricchezze. Non può più reggere, nell’attuale società contemporanea, la concezione della scuola, e dell’apprendimento, come un travaso di saperi dall’insegnante al discente, dove quest’ultimo veniva considerato come un soggetto passivo, o peggio, una “tabula rasa” da incidere, modellare e formare a proprio piacimento. Chi è in formazione, oggi, è estremamente attivo, e può senz’altro attingere da svariate e diversificate fonti di conoscenza.

Gli interessi – possiamo sostenere – costituiscono i desideri del soggetto. Una persona sarà tanto più motivata verso un’attività e una strada da intraprendere, tanto più sceglierà tra materie, argomenti e professioni che stimolano i propri interessi e desideri. Oggi la crescita professionale e formativa dura per tutto l’arco della vita, e l’individuo in orientamento occorre sia pronto a ciò che rappresenta, il più delle volte, un cambiamento radicale di modalità di pensiero, nonché la rottura di pregiudizi culturali radicati e ereditati di generazione in generazione. Negli anni passati i percorsi formativi e scolastici venivano considerati secondo un’etichetta standardizzata, più o meno contenente il medesimo percorso: scuole dell’obbligo, istituti superiori, università, mondo del lavoro. Si tendeva molto a sottovalutare i percorsi di formazione alternativi e non istituzionalizzati, come quelli che avvengono all’interno della famiglia, dei gruppi dei pari, e, oggi, attraverso enti di formazione indipendenti e con statuto autonomo. Questi canali formativi – a cui aggiungiamo con pieno diritto l’e-learning – non sono da considerarsi in competizione con quelli formali, ma si integrano e si alternano con reciproco scambio di idee, di pensiero e di progetto. Non è più possibile pensare il mondo del lavoro separato drasticamente da quello formativo, ma, oramai, sono sempre di più gli studenti che si dedicano, in contemporanea, ad esperienze lavorative, o a stages formativi, così come professionisti, lavoratori autonomi o dipendenti – di tutte le età – che si iscrivono ad università e a corsi di formazione di vario genere. Il mondo del sapere e della formazione è sempre più vicino a quello del lavoro, e viceversa, nell’ottica di un apprendimento continuo.

Le competenze, invece, sono tutte quel bagaglio di conoscenze e di saperi che il soggetto ha appreso e continua ad apprendere durante l’arco della propria vita. Quando le competenze sono messe in atto, e al servizio di un’attività, queste divengono abilità. Per tali ragioni, nel corso dei colloqui per l’orientamento, si è soliti mettere sul tavolo e lavorare proprio sugli interessi, le competenze e le abilità che, assieme al desiderio di continuare ad apprendere e a crescere (si è esseri in continua formazione), rappresentano lo stimolo e le motivazioni per proseguire nel proprio cammino, o, perché no, cambiare drasticamente il sentiero percorso sino ad oggi, in quanto riconosciuto come fallace e non più corrispondente agli attuali interessi e desideri.

La formazione di un individuo parte dall’inizio della propria vita, e dura per tutto l’arco della propria esistenza, soprattutto in questa società contemporanea che possiamo definire in continuo e perenne cambiamento.

7. CONCLUSIONI:

E’ sempre difficile, ma sarebbe meglio dire impossibile, parlare di “conclusioni” quando si affronta un compito come quello presente. Tale lavoro infatti non può certamente definirsi né conclusivo, né definitivo, né tanto meno esaustivo. E’ un progetto in continua costruzione, proprio perché, quando si parla di formazione e ri-formazione, orientamento e ri-orientamento, non si può che occuparsi del singolo, della storia di ciascuno, degli obiettivi e traguardi sia raggiunti, ma anche da raggiungere.

Nel corso della presente ricerca abbiamo valutato anche gli aspetti statistici del problema relativo agli abbandoni e alle cosiddette dispersioni scolastiche. Ci è servito per comprendere come la problematica oggi sia tutt’altro che superata; i soggetti che, per vari motivi, abbandonano i propri percorsi formativi e scolastici sono ancora numerosi nel nostro paese, con evidente differenze regionali. Questo ci dà la portata di quanto ancora si debba fare per rendere effettivo il diritto allo studio di ciascuno. I dati in nostro possesso ci hanno mostrato anche che nel nostro paese il fenomeno della dispersione scolastica ci pone in una graduatoria bassa rispetto a molti altri paesi d’Europa.

Ancora oggi riteniamo ci sia troppa distanza tra la formazione cosiddetta formale (istituzioni scolastiche e universitarie), dalla formazione informale e non formale, e addirittura dal mondo del lavoro. L’integrazione e la cooperazione tra contesti formativi diversi è, invece, una delle strade possibili per incentivare il desiderio di mettersi in gioco, di imparare, di lavorare con desiderio e soddisfazione. Non è pensabile una scuola che continui ad essere pensata come un contesto a sé, un momento di passaggio (sino ad una certa età obbligato) nella vita di uno studente. La scuola è solo uno dei contesti formativi possibili: non l’unico.

Passare da “il dover imparare” al “voler imparare” è un salto che ciascuno può fare, in ambienti scolastici che siano aperti all’esterno, ai saperi provenienti dai contesti più svariati e alternativi. Studiare non è solo studiare, ma è un vero e proprio lavoro, un investimento su sé stessi e il proprio capitale. Quando diviene solo un obbligo, un dover essere, dover competere, l’insoddisfazione finisce per regnare sovrana. Allorquando si è obbligati, si finisce per desiderare di andarsene e di uscire da quel sistema il prima possibile. La scuola non è esente da questo rischio.

Si vedono spesso – anche per nostra esperienza – ragazzi imbottiti di compiti che svolgono spesso svogliatamente e senza desiderio, perché appunto obbligati. Si ritorna alla frase pronunciata dal direttore dell’Ufficio scolastico della regione Toscana che ha giustamente affermato “a scuola si deve stare bene”. E, non sembri un paradosso, si sta bene solo se non obbligati, costretti, se la propria singolarità non viene appiattita e mortificata, bensì stimolata, incentivata, nutrita, coltivata.

Noi sogniamo una scuola che non punti solo sui budget, sui programmi, sul raggiungimento a tutti i costi di obiettivi formativi standardizzati, bensì una scuola che investa sull’accoglienza del desiderio di sapere, di conoscere, e di stare in classe volentieri con gli altri. Forse in tale ottica, anche molti rifiuti scolastici si risolverebbero con naturalezza e spontaneità.

Maurizio Forzoni, orientatore esistenziale e educatore professionale socio pedagogico, attualmente svolge attività di orientamento esistenziale e didattico all’interno del Centro Formativo, didattico-pedagogico, di orientamento e ricerca UniSocrates di Arezzo, città nella quale vive. E’ formatore della didattica innovativa iscritto al Registro Internazionale I.E.T, è iscritto al Registro Nazionale Orientatori presso l’Associazione Nazionale Orientatori – Roma, ed è formatore e supervisore autorizzato Eipass – European Informatics Passport. Ha scritto articoli e seminari, tra cui: “Dall’Ideale alla relazione”, “Fare il bene fa bene? Analisi dei rapporti parassitari”, “Questione d’etica”, “Prendersi cura dell’altro nell’era contemporanea”, “Il capitale del soggetto”, “Il partner e la formazione analitica”, “Il soggetto dell’inconscio”, “La paura del vero”, “Sulla formazione dello psicoanalista”, “La psicoanalisi dal divano all’aula di tribunale:psico-appropriazioni indebite”, “In genere l’incontro è speciale”, “Dall’Ideale alla Relazione”, “Pensiero e azione dell’insegnante come imprenditore a scuola” (intervento al corso di formazione accreditato MIUR e organizzato dal Laboratorio di Formazione e Lettura psicoanalitica di Torino, dal titolo “Scuola alla prova dell’appuntamento — Facilitare i rapporti a scuola”)

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